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Dieci anni di guerra alle porte di casa

15.11.2006   

Il ruolo dell'Unione europea in Bosnia Erzegovina, prima e dopo Dayton. Riceviamo e volentieri pubblichiamo la tesi di laurea di Pietro De Luca, collaboratore dell'ICMO (Centro di ricerca per l’educazione alla pace) di Srebrenica
“Figlio mio fai il tuo dovere”: così parlava il contadino serbo mentre il figlio ustascia, croato, lo uccideva
D. Volcic, “Sarajevo, quando la storia uccide”


di Pietro De Luca

La tesi di Pietro De Luca allegata a questo articolo è stata discussa presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università Cattolica di Milano, laurea specialistica in Relazioni internazionali e integrazione europea

La guerra dei Balcani è stata una guerra che ha sanguinosamente colpito popolazioni, lacerando, dentro di loro, comunità e relazioni interpersonali consolidate da anni e sconvolgendone il modello di vita quotidiana, retto sulla convivenza pacifica, anche là dove essa non è arrivata a colpire con le armi. La guerra dei Balcani, in tutta la sua violenza – certo tipica di ogni conflitto, ma in questo caso particolarmente feroce – è scoppiata appena oltre i nostri confini, a una distanza insolitamente esigua dall’Italia. Eppure una guerra, questa, troppo poco conosciuta, nonostante la sua vicinanza; una guerra di cui la maggior parte di noi ricorda più o meno nitidamente le immagini dei TG sui bombardamenti, sugli scontri e sulle pulizie etniche e i resoconti degli assedi e dei massacri, ma raramente ne conosce le cause e le dinamiche. Soprattutto per queste ragioni ho intrapreso questa tesi, in cui cerco di analizzare quel conflitto sotto un ottica particolare, essenzialmente considerando, cioè, il suo contesto europeo.

La mia attenzione infatti si è rivolta al ruolo assunto nel conflitto dall'Unione Europea (UE), alle sue eventuali responsabilità per non averlo saputo impedire così come ai suoi eventuali meriti per averlo fatto cessare. Era allora la prima volta che una guerra scoppiava così vicino a quel “cuore europeo” da cui cinquant'anni prima aveva avuto origine il grande progetto dei padri fondatori: “dieci anni di guerra alle porte di casa” erano inevitabilmente una sfida pericolosa per quel disegno europeo che, sebbene fosse in fieri da parecchi anni, non poteva ancora sentirsi consolidato, tanto meno definitivo.

Un’Europa che, come vedremo, incontrò molteplici difficoltà nel disinnescare la bomba balcanica prima e nel limitarne la barbarie (nella durata e nell’ampiezza) dopo; difficoltà determinate da disattenzione e sottovalutazione iniziale e di conseguenza da una evidente incapacità di comprensione di un conflitto che nessuno in Europa avrebbe mai immaginato potesse avvenire.

Il Vecchio Continente non capisce; o quando capisce qualcosa di ciò che sta per succedere nei Balcani non sa trovare una strategia comune per evitarlo. L’Europa di inizio anni ’90 è un insieme di Stati che fortemente affermano di cercare la cooperazione e il dialogo, ma che di fatto non trovano quell’intesa e quella convergenza così auspicate e così necessarie. Un’Europa ancora Comunità e non ancora Unione – Maastricht è ancora di là da venire – che cerca coesione e punti di vista univoci ma che, in particolare in politica estera, ricorda ancora il Continente del secolo precedente: Europa “stile 1800”, la si definisce spesso; proprio per sottolineare la forte autonomia dei singoli Paesi e la gelosia, da parte di ciascuno, della propria “sovranità” politica.

Del resto come stupirsi di questa molteplicità di politiche tra gli Stati quando ancora oggi, 15 anni più tardi, dopo aver creato e istituzionalizzato ufficialmente una politica estera comune come la PESC, l’Europa ha battute d’arresto non infrequenti dovute a opzioni politiche ed economiche differenti, che determinano divergenze anche tra i Paesi di maggior peso nell’Unione?

Oltre a questo primo limite, grave e a lei intrinseco, ve ne è un secondo che ci aiuta a comprendere gli impacci e le insicurezze incontrate 15 anni fa dall’Europa nell’area balcanica. Se infatti il Vecchio Continente, pur tra le mille difficoltà appena menzionate, era credibilmente avviato verso la strada dell’integrazione, delle aperture reciproche, della eliminazione di ogni muro o barriera – a cominciare da quella di Berlino dell’89 -, nei Balcani il linguaggio che si parlava era del tutto opposto, così opposto da trovare forse l’Europa culturalmente impreparata a farvi fronte. Le logiche che attraversavano la ex-Jugoslavia in quei mesi erano logiche di divisioni, di creazione di muri, di allontanamento e accentuazione delle differenze. Se in Europa tanti Stati stavano diventando Unione, di là dall’Adriatico uno Stato stava implodendo e dava vita a sei nuovi Paesi, dalle frontiere ben marcate se non invalicabili.

Oltre a non aver visto i segnali che avrebbero portato al conflitto e a non aver capito le logiche politiche che sottostavano a essi, l’Europa si è trovata a fare i conti anche con difficoltà di comprensione “tecnica” della guerra stessa una volta scoppiata. E’proprio parlando della guerra nella ex-Jugoslavia, infatti, che Mary Kaldor parla di “nuova guerra”, alludendo, con questa espressione, a un tipo di guerra che esce dai canoni conosciuti fino ad allora e che avevano caratterizzato tutti i principali conflitti del XIX e del XX secolo. La guerra in Bosnia, e molte di quelle che si sono combattute in questo ultimo decennio, presentano aspetti nuovi – che verranno analizzati nella tesi – ai quali l’Europa non era abituata. Una guerra quindi, quella bosniaca, che oltre a sconvolgere la vita delle popolazioni colpite è arrivata a modificare le regole e i canoni classici di interpretazione dei conflitti validi fino a quel momento.

In Bosnia oltre tutto non ci sono stati veri vincitori, ma solo sconfitti; come ci insegna bene Ikenberry nel suo Dopo la vittoria, al termine di ogni scontro armato le regole del nuovo ordine internazionale sono stabilite e poi gestite da colui che ha vinto (così l’America dopo la seconda guerra mondiale). Nel 1995 a Dayton, sebbene tutti si autoproclamassero vincitori, nessuno in realtà poteva ritenere raggiunti i propri obiettivi e oggettivamente mancava la figura del vincitore.

In conclusione, il conflitto che ho analizzato si è caratterizzato per alcuni elementi di novità importante che hanno spiazzato un’Europa comunque poco attenta e reattiva, impedendole di sviluppare un’analisi lucida e realistica degli eventi e quindi di prevenire un’evoluzione così tragica.

La tesi si divide in 4 parti.

Il primo capitolo ha un taglio decisamente storico, in quanto vengono analizzate le varie fasi della guerra, gli attori principali che hanno partecipato a essa, gli interessi e le logiche militari in gioco. Infine, i rapporti internazionali intrattenuti dalla Jugoslavia durante la Guerra fredda e il sentimento nazionalista riemerso prepotentemente in tutta la zona alla morte del Maresciallo.

Il secondo capitolo si pone diverse domande sul ruolo dell'Unione Europea all'interno dell'area balcanica. Partendo dalle evidenti responsabilità che la UE avrebbe dovuto assumersi, in quanto la vicenda si svolgeva “nel cortile di casa”, cerchiamo di vedere quali risposte sia stata in grado di dare, quali possano essere le sue colpe, quali le sue attenuanti. Ha risposto, l'Europa, alla sua prima vera sfida internazionale? Che cosa ha fatto per risolvere il conflitto?

Più breve e “tecnico” è il terzo capitolo, il quale si focalizza quasi esclusivamente sugli accordi di Dayton: con essi, nel 1995, si riuscì finalmente a porre termine al conflitto.

L'Unione Europea infine torna protagonista del quarto capitolo: viene analizzato il suo contributo alla messa in atto degli accordi, evidenziando l’importanza che la stessa Unione ricopre nella sforzo per una definitiva ricostruzione della Bosnia. In questo processo di rinascita viene considerato non solo il ruolo dell’Europa, ma anche quello delle Organizzazioni internazionali che, con risultati più o meno confortanti, vi hanno significativamente contributo in questi dieci anni.

Un ultimo paragrafo della tesi è dedicato al racconto della mia intensa e costante attività a Srebrenica, dove mi reco periodicamente con altri ragazzi e amici all’interno del progetto di ricerca ICMO - Istraživački Centar za Mirovno Obrazovanje, Centro di ricerca per l’educazione alla pace – che ci impegna con entusiasmo e gratificazione ormai da due anni.

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