Un acceso dibattito ha occupato negli ultimi mesi la stampa albanese. All'ombra di Huntington, studiosi e accademici si confrontano sulla questione dell’identità nazionale. Da Kadaré a Qosja, il post comunismo nel paese delle aquile tra Oriente e Occidente
Ismail Kadaré
Per mesi la stampa albanese é stata teatro di un animato dibattito dove hanno partecipato personalità di svariate discipline da tutte le terre albanofone. Tutto si è scatenato dopo la pubblicazione di un libro di Ismail Kadaré “L’identità europea degli albanesi”, una sorta di saggio col quale il grande scrittore si fa paladino dell’integrazione europea dell’Albania, puntando soprattutto sulla cristianità della cultura albanese e deducendo un inevitabile ritorno degli albanesi al “continente madre”.
Sembra che Kadaré voglia promuovere la cultura albanese a un occidente che al vuoto di conoscenze sull’Albania rischia di sostituire fobie riduttive basate su luoghi comuni di malavita e criminalità. In assenza di politiche culturali dello stato albanese in tal senso, Kadaré è diventato un pilastro dell’orgoglio nazionale a cui è stato affidato tacitamente questo compito. Non è la prima volta, infatti, che egli si fa portavoce della causa albanese in senso lato con una scrittura a metà tra denuncia politica, narrativa e lamento di stampo nazional-romantico.
Nell’“Identità europea degli albanesi” Kadaré scrive dell’antichità del popolo albanese, dei signori cattolici del medioevo, dei legami con l’occidente e dell’intrusione degli ottomani quale cultura straniera poco compatibile, che non riuscì a lasciare tracce. La sua è una visione statica, di una situazione data in epoche remote che resiste ai tempi. E’ una logica che ricorda la retorica nazional-comunista secondo cui il popolo eroico sopravvive, solo, contro tutti, resistendo agli invasori e conservando intatta la propria integrità. Per questo motivo a detta di Kadaré gli albanesi hanno un’identità pienamente europea, intendendo con Europa esclusivamente la sua parte occidentale.
Sembra che Kadaré creda al conflitto di civiltà lanciato da Huntington e voglia posizionare a occidente l’Albania. Tuttavia tale pubblicazione, come egli stesso ha più volte ribadito, non meritava di infuocare un dibattito di tale portata non essendo in alcun modo un’esposizione di tipo scientifico o saggistico sulla questione dell’identità albanese.
Rexhep Qosja
Precedentemente Rexhep Qosja, noto accademico kosovaro, aveva parlato di un’identità albanese fatta di albanità e di islam, tesi animosamente criticata da Kadaré. A sua volta Qosja ha stilato una replica all’identità europea degli albanesi, intitolata “La realtà negletta”, riferendosi per l’appunto al notevole ruolo dell’islam, che secondo l’autore è presente nell’identità nazionale albanese.
Si è trattato in realtà di un’analisi negativa del libro di Kadaré dove Qosja ne contesta frasi, espressioni e persino la punteggiatura per poi cadere nel personale e chiamare in causa il passato comunista di Kadaré. Inoltre non ha esitato ad accusarlo di islamofobia, razzismo, e discriminazione verso la maggioranza del proprio popolo.
Alla polemica tra i due si sono aggiunti commenti e articoli che hanno invaso tutta la stampa locale. Si è trattato di un dibattito per lo più poco critico che tendeva a sostituire al concetto di identità quella che in realtà è l’aspirazione dell’Albania nel post-comunismo. In molti hanno espresso enorme stupore verso questa improvvisa necessità di doversi definire in termini di occidentali od orientali. Altri l’hanno ritenuto un dibattito inutile non adatto al pragmatismo di cui si devono armare gli albanesi di oggi.
Le tesi occidentaliste di Kadaré hanno avuto caloroso seguito in Albania mentre Qosja è stato accusato di sopravalutare la presenza dell’islam nella cultura albanese. Non è mancato chi ha parlato di albanesi occidentali, quelli dell’Albania statale, e albanesi orientali in Kosovo e in Macedonia, quali identità distinte. Lo stesso Qosja ha accusato Kadaré di vedere nella propria nazione una fazione occidentale costituita dagli albanesi cristiani e una fazione orientale degli albanesi musulmani. Alcuni hanno considerato inevitabile l’esistenza di due identità albanesi distinte tra Albania e albanesi dell’ex Jugoslavia, prodotte dalla lunga separazione e dall’aver subito differenti percorsi storici, politici e sociali. Un simile dibattito era iniziato anche in aprile dopo un concerto di Goran Bregovic a Tirana, che ha avuto inaspettatamente un clamoroso successo. Negli ambienti kosovari e albano-macedoni, però è stato interpretato come offensivo e gli albanesi dell’Albania sono stati accusati di cosmopolitismo artificiale e mancanza di amore per la patria.
Il dibattito ha trascurato, ma ha anche reso indirettamente visibile, quella che è la percezione di sé degli albanesi nell’epoca post-comunista. Innanzitutto vige ancora il senso di solitudine sulla cui base è stato costruito il nazionalismo albanese, enfattizzatosi in seguito dall’isolazionismo surreale che è stato applicato. Ciò fa sì che dopo l’apertura con i vicini, l’Albania non abbia ancora recuperato la dimensione di una coscienza balcanica. I Balcani infatti rimangono ancora una nozione meramente geografica lontano dall’essere percepiti come un assetto socio-culturale di cui si fa parte. Nessuno ha esteso il dibattito alla regione balcanica e alla questione della dicotomia tra oriente e occidente che riguarda l’intera penisola. Tra tutti i partecipanti al dibattito solo il noto intellettuale Ardian Klosi ha affermato scherzosamente in un’intervista che “se non fosse per la lingua sarebbe facile scambiarci per macedoni, serbi o bosniaci”.
Nell’epoca post-comunista la società albanese si presenta radicalmente laicizzata e si ha di solito scarsa conoscenza delle dottrine religiose. La definizione del musulmano nella percezione comune non si basa sul credo religioso della persona, bensì sull’etimologia turca o islamica del cognome. Inoltre di recente la stampa albanese ha reso pubblico un nuovo rapporto apparso sull’ Oxford Christian Dictionary secondo cui il 38 % della popolazione albanese si dichiara di fede musulmana, più del 35 % si dichiara cristiana (ortodossi, cattolici e protestanti) e la parte restante è costituita da atei, o appartenenti a sette di recente ingresso in Albania. L’islam tra l’altro è stata forse la religione più penalizzata dal regime comunista in nome dell’emancipazione femminile già avviatasi dal regime di re Zog. Per questo la maggior parte di coloro che hanno risposto al dibattito si sono opposti fermamente alla considerazione della religione come elemento costitutivo della propria identità.
L’identità albanese nell’epoca post-comunista è una questione ben più complessa di quanto si possa evincere dal dibattito di questi mesi. Il crollo del regime ha dato via a un lungo processo di rottura con il passato comunista manifestatosi con un totale rigetto del comunismo e di tutto ciò che esso inglobava. D’altronde la distruzione del comunismo è stato anche uno slogan molto in voga nei primi anni ’90 che ebbe il suo riscontro persino in una tendenza vandalica a distruggere tutto ciò che era di proprietà dello stato o di proprietà comune.
L’elemento forse assolutamente più doloroso del nazional-comunismo era il lungo isolamento che sfociò negli anni ’90 in un esacerbato xenocentrismo e in un rifiuto di tutto ciò che era nazionale. Questo si dispiegò nella smania per le lingue straniere, nella tendenza all’estraniazione della lingua albanese per i troppi e inutili prestiti linguistici dalle lingue straniere o l’adozione di espressioni inadatte alla logica dell’albanese - fenomeno che da tempo a questa parte i linguisti non cessano di far presente, l’enorme interesse per la letteratura straniera a scapito degli autori albanesi, e il bisogno di demistificare il passato non solo quello comunista ma anche quello più remoto che è stato tradizionalmente trasmesso in chiave nazionalistica.
Gli storici, infatti, avvertono il bisogno di riscrivere la storia liberandosi dai principi nazional-accademici mentre i giornali quotidianamente sono colmi di dossier che rivelano nuove versioni di fatti ed eventi storici. Dagli anni ‘90 i modelli comportamentali e il sistema dei valori sono tutti ispirati all’estero, rappresentato soprattutto dall’occidente. A questo punto della storia albanese il concetto di patria sembra perdere di significato e il rifiuto del nazionalismo diventa un valore da tutti sostenuto nel corso di questi mesi.
Nonostante il comunismo non sia riuscito a creare il “nuovo uomo socialista” in Albania come molti studiosi ritengono, non si può negare che sia riuscito ad attuare un profondo sradicamento della società. L’avvento del pluralismo negli anni ’90 avviò un nuovo sradicamento che è tuttora in atto. In siffatte circostanze l’identità albanese necessita di una ridefinizione aggiornata, da parte degli esperti del campo.