Un nostro commento alle proposte di FMI e Banca Mondiale per ridurre la povertà in Albania. Il nuovo orientamento sociale di WB e IMF: vero ripensamento o "copertura ideologica" del neoliberismo?
Presentiamo qui il “Poverty Reduction Strategy Paper” (PRSP), che il governo albanese ha licenziato nel novembre 2001.
Il commento è a cura di Claudio Bazzocchi.
PRSP è il nuovo strumento che
Banca Mondiale e
Fondo Monetario Internazionale hanno deciso di chiedere di adottare ai vari paesi che, all’interno della
Heavily Poor Countries Initiative (HIPC), intendono chiedere prestiti alle due istituzioni.Il
PRSP è in sostanza un documento che ogni governo dei paesi in oggetto dovrà sottoporre a WB e IMF per ottenere ulteriori prestiti .
Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale non hanno stabilito riferimenti precisi per la preparazione del documento, ma hanno indicato ai vari paesi i sei principi fondamentali che caratterizzano i piani per la riduzione della povertà. Ogni strategia di riduzione della povertà dovrà così essere:- legata ai bisogni reali del paese, con il coinvolgimento della società civile e del settore privato in ogni tappa operativa;
- orientata ai risultati, concentrata su ciò che può essere effettivamente utile ai poveri;- esaustiva, nel riconoscere il carattere multidimensionale della povertà e delle sue cause;
- orientata alla collaborazione con i vari partner dello sviluppo (bilaterali, multilaterali e non-governativi);- basata su una prospettiva di lungo periodo.
La strategia di riduzione della povertà di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale è il risultato della crisi di legittimità che aveva coinvolto le due istituzioni alla fine degli anni Novanta a seguito della crisi del Sud-est asiatico e della denuncia delle ONG impegnate nel Sud del mondo, che hanno attaccato con grande forza e in modo molto documentato i piani di aggiustamento strutturale. Così, al meeting annuale di Banca Mondiale e Fondo Monetario del 1999, i massimi dirigenti delle due istituzioni ammisero che la stabilità macroeconomica da sola non garantisce lo sradicamento della povertà e la sicurezza sociale dei cittadini.
È evidente che questi “ripensamenti”, se così li vogliamo chiamare, sono importanti e sono il risultato della campagna di denuncia delle ONG, che negli anni hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale l’impatto drammatico dei piani di aggiustamento strutturale sulla condizione di vita delle popolazioni dei paesi che avevano subito quelle terapie finanziarie.
In modo generico, ma sempre salutare quando si parla di Banca Mondiale Fondo Monetario Internazionale, si potrebbe richiamare alla cautela nei confronti di tali ripensamenti, avanzando il sospetto che si tratti di una mossa ideologica per meglio mascherare la reale portata del credo liberista e delle sua applicazioni che tutto sommato rimarrebbero invariate. Qui però vogliamo dire che c’è più della cautela da adottare. Siamo in presenza di un salto di qualità, nella strategia di rilegittimazione delle istituzioni di Bretton Woods, che va oltre la semplice mascheratura ideologica. Ora infatti il progetto è quello di cambiare non solo i mercati, le istituzioni finanziarie e le politiche economiche dei vari governi, ma anche e prima di tutto la mentalità, le istituzioni e i modelli di vita. È in questo senso che grande attenzione viene posta dalle istituzioni finanziarie internazionali sulla povertà, lo sviluppo umano, l’educazione, la cultura e le politiche sociali e sanitarie. È da lì infatti che passa la trasformazione delle mentalità, delle culture, delle istituzioni e dei paesi in cui si interviene.
Questa nuova strategia richiede anche il contributo di tutto il settore dell’aiuto umanitario, affinché si possa agire proprio nel campo della trasformazione delle istituzioni, dei servizi sociali, della cultura e dell’educazione. Siamo all’interno di quella che alcuni studiosi hanno chiamato “liberal peace”, in cui un nuovo umanitarismo politico "riflette una radicale agenda di sviluppo della trasformazione sociale".
In questo quadro l’aiuto umanitario diventa radicalmente politico, poiché si prefigge di trasformare la società, ma all’interno del quadro dell’economia di mercato e neoliberista. L’agenda politica dello sviluppo non è mai quindi una politics, ma una policy, cioè una serie di pratiche politiche adottate affinché tutte le società in cui si interviene adottino il neoliberismo, secondo l’assunto che il sottosviluppo è dato dalle nuove guerre e dai loro leader, e lo sviluppo dalle libere forze del mercato e istituzioni che le sorreggano.
Le politiche di trasformazione sociale, di eliminazione della povertà, culturali ed educative diventano delle mere tecniche all’interno dell’incontestabile quadro neoliberista.
Il
piano albanese, che si compone di 192 pagine (scaricabile all’indirizzo http://poverty.worldbank.org/files/Albania_PRSP.pdf) è così articolato:- un sommario di circa trenta pagine;
- un introduzione in cui si spiega in quale contesto strategico per il governo albanese il piano si inserisca;- un capitolo in cui vengono enumerati vari soggetti istituzionali e della società civile consultati per la sua stesura;
- una parte di analisi delle cause della povertà albanese;- il capitolo fondamentale del paper in cui si annunciano le principali e prioritarie politiche pubbliche per la riduzione della povertà;
- un ultimo capitolo in cui vengono descritti gli strumenti utilizzati per monitorare i risultati delle politiche che saranno messe in atto. Il tutto è corredato da una corposa appendice di tabelle, grafici e dati statistici.
A partire dalle prime pagine del rapporto capiamo qual è il quadro entro il quale il ragionamento si muove. Le riforme economiche, si dice, hanno sì portato squilibri e povertà nel paese, ma non perché siano sbagliate in se stesse, semplicemente perché i governi albanesi precedenti non sono stati abbastanza bravi ad applicarle ed hanno avuto istituzioni inadeguate.
Le riforme economiche sono fatte salve e la stabilità macroeconomica è sempre l’unica strategia possibile per combattere la povertà, seppure in un quadro nuovo di maggiore attenzione alle questioni sociali.Rimane quindi intoccato anche il dogma delle privatizzazioni, che vengono proposte nella sanità e nei settori strategici dell’energia, delle telecomunicazioni e dei trasporti, ed anche nel sistema bancario.
Uno dei punti fondamentali nel paragrafo che riguarda la riforma della pubblica amministrazione, è la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, che vengono considerati come "uno dei più negativi fenomeni della transizione". Vediamo come un fenomeno strutturale dello sviluppo albanese, l’economia illegale la criminalità organizzata, vengano considerati solo come effetti della transizione e come tali un fenomeno da combattere con metodi giudiziari e di repressione. L’idea che l’economia illegale sia attività di pochi corrotti mantiene salva la possibilità dello sviluppo secondo i crismi dell’economia liberale e ne fa un fenomeno transitorio che, una volta sconfitto, lascerà il posto al vero sviluppo. L’idea che l’economia illegale sia una forma di sviluppo in sé e uno strumento di trasformazione sociale e ridislocazione dei poteri a seguito della caduta del regime socialista e dei processi di globalizzazione, non viene neppure considerata. Vogliamo dire che le economie non formali sono una risposta alla logica escludente del capitalismo della globalizzazione e all’indebolimento degli stati e delle loro classi dirigenti. Dalle economie-ombra nascono infatti nuovi modelli di protezione sociale, nuovi signori locali e quindi nuove forme di autorità politica sul territorio, e nuovi tipi di legittimazione sociale.
La stessa riforma del fisco di cui si parla nel piano non tiene conto del fatto che la creazione di ricchezza in Albania passa per buona parte dalla possibilità di muovere varie merci, legali e illegali, fra i vari confini, senza controlli doganali e con l’attiva collaborazione dei funzionari dello stato, assieme alla complicità della classe politica. Si sa che in Albania i bassi salari dei funzionari dello stato, dai doganieri agli ufficiali giudiziari, vengono compensati dalle ricompense degli attori dell’economia illegale. La classe politica beneficia inoltre direttamente dei fondi dei trafficanti per le proprie campagne elettorali, e per ottenere legittimità politica nei territori controllati dalla criminalità organizzati e dai vari signori locali. Parlare di riforma del fisco in termini di efficienza, informatizzazione o capacità di monitoraggio, è assolutamente inadeguato e ancora una volta vediamo come la politcs scompaia, per lasciare il posto alla policy, un insieme di tecniche che nulla hanno a che fare con la lettura sociale ed economica dei fenomeni realmente in atto nel paese e sullo scenario internazionale.
Sconcertante è il paragrafo dedicato alla crescita economica del paese. Quasi del tutto assenti sono i ragionamenti sulle vocazioni produttive del paese – tranne poche righe sull’agricoltura e sulle sue potenzialità –, sui possibili rapporti di cooperazione con i paesi poveri vicini e sui rapporti con i paesi ricchi dell’Unione Europea. La crescita economica è solo questione di percentuali da programmare, di privatizzazioni da conseguire, e di competizione sul libero mercato da potenziare, assieme agli immancabili investimenti esteri da attrarre.
È sicuramente molto istruttivo leggere questo rapporto, poiché ci indica chiaramente quali siano in questo momento le strategie delle istituzioni finanziarie internazionali e quanto sia impoverito il quadro interpretativo della situazione internazionale per i paesi più poveri. Prima dell’89 esistevano le interpretazioni provenienti dal blocco socialista, il terzomondismo e il movimento dei paesi non-allineati che, in vario modo, consideravano lo stato come fattore fondamentale del possibile sviluppo, e lo sfruttamento dei paesi più ricchi come causa della povertà. Questi quadri di riferimento sono ora scomparsi, e ai vari paesi non rimane che indicare tecniche e pratiche di sviluppo all’interno del quadro dato e immodificabile del neoliberismo.
La stessa attenzione delle istituzioni finanziarie alle questioni sociali e al problema della povertà non deve ingannare. Essa infatti, a nostro avviso, radicalizza solamente l’agenda dell’intervento occidentale nei confronti dei paesi più poveri, legando lo sviluppo e l’aiuto umanitario alla stabilità e alla sicurezza internazionale .