Gli auguri per il nuovo anno da parte di Ahmed Uzun, il più importante scrittore vivente in lingua curda, recentemente trasferitosi dalla Svezia a Diyarbakir a seguito di una grave malattia. Nostra traduzione
Di Şeyhmus Diken, per Birgün, 31 Dicembre 2006
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Fabio Salomoni
Diyarbakir (foto Dick Osseman)
Pensando alla fine dell’anno e al 2007 cosa ti viene in mente?
Soprattutto dal punto di vista personale il 2006 è stato un anno negativo, forse il peggiore, il mio corpo è stato scosso da un grande terremoto. I miei familiari, gli amici, sono stati coinvolti dalla mia malattia ed anch’io mi sono molto affaticato, quindi per me è stato un anno estremamente negativo. Lo è stato in genere però anche per la Turchia e per il mondo. Nonostante tutto questo però voglio dire che non dobbiamo dimenticarci di essere in un nuovo secolo e credo ancora che sarà il secolo della libertà e della democrazia, continuo a sperarlo. Gli anni 2000 sono cominciati nel peggiore dei modi, scontri, guerre di religione, attacchi militari di stampo sciovinista, aggressioni ai diritti dei popoli in nome del globalismo. Credo però che il nuovo secolo sarà all’insegna della libertà, della democrazia e dei diritti umani e spero che si possano fare i primi passi in questa direzione fin dal 2007.
Cosa ti aspetti dal 2007?
Il mio corpo è stato scosso da un terremoto del nono grado come hanno detto i dottori e tutto il 2006 l’ho trascorso con la malattia. Spero personalmente in un 2007 più sereno per me e la mia famiglia. Per tutto l’anno scorso mi è stato impossibile leggere, e nemmeno scrivere lettere. Mi aspetto di tornare a tempo pieno alla lettura e alla scrittura, ad essere produttivo. Al di là di questo mi sono ripromesso di essere più attivo in tema di libertà di pensiero, diritti umani, diritti dei curdi e delle minoranze. Voglio fare cose più concrete, più incisive. Spero che insieme agli altri scrittori ed intellettuali nel 2007 si possano realizzare molti progetti. Voglio poi fare i miei auguri alla gente che non mi ha mai abbandonato durante la malattia.
Il prossimo 13-14 gennaio alla Conferenza della Pace ad Ankara Yaşar Kemal terrà il discorso inaugurale e tu quello conclusivo. Si tratta di uno dei progetti di cui parlavi?
Attribuisco molta importanza alla questione del cessate il fuoco ed a tutte le iniziative che possono contribuire alla pace. Credo molto agli sforzi che soprattutto nella regione curda cercano di prendere le distanze dalle armi, dal conflitto, è un compito che spetta a tutti noi, ed anch’io voglio fare la mia parte, per questo ho immediatamente accettato la proposta degli amici che organizzano la conferenza. La mia intenzione in quell’occasione è quella di mettere l’accento sulla libertà di pensiero, la democrazia ed i diritti umani. Allo stesso tempo non mancherò di criticare anche noi stessi, i curdi, perché anche i curdi hanno problemi in materia di pace e democrazia e credo che i curdi di queste cose debbano discutere. Sarebbe un passo importante nella direzione della democratizzazione della Turchia e dell’ottenimento dei diritti per i curdi
Hai sempre avuto un piede in Europa ed uno nel Medio Oriente. La tua decisione di trasferirti a Diyarbakir mi è sembrata molto radicale. E’ stato facile?
In realtà non è stata una decisione difficile, perché per me e la mia famiglia Diyarbakir non è una città straniera, ci siamo sempre sentiti parte di questa città, anche quando eravamo molto lontano. La malattia mi richiedeva riposo e controlli costanti ed ho deciso di venire a Diyarbakir. Qui dottori, ospedali, il comune, hanno realizzato un ottimo coordinamento ed ho trovato quello di cui avevo bisogno. D’altra parte poi non ho mai considerato Diyarbakir una città di provincia, è uno dei più importanti centri del patrimonio culturale mondiale. Ha una storia magica e molto emozionante. La porta da cui sono passate civiltà, lingue, culture e religioni. Tutti noi abbiamo molto da fare per rivitalizzare e riportare alla memoria questo patrimonio, ed anch’io devo fare la mia parte. Essere qui mi emoziona molto. Io e gli altri amici, il comune, le associazioni democratiche, cercheremo di mettere in pratica queste idee. Faremo di Diyarbakir un centro culturale di rilevanza mondiale, a patto che ci sia una programmazione adeguata.
Credo che una città come Diyarbakir abbia un grande bisogno di tornare alla ribalta e deve essere una nostra preoccupazione quella di integrare di nuovo nel mondo Diyarbakir dal punto di vista letterario, artistico ed intellettuale. Quindi nessuna preoccupazione di finire in provincia quando ho deciso di trasferirmi qui. Del resto il mondo si è fatto più piccolo, certamente continuerò a mantenere relazioni con il mondo e l’Europa ma non sarà più possibile farlo come in passato. Io credo di poter mettere in pratica le mie idee da qui, perché non dovremmo trasformare Diyarbakir in un polo di attrazione culturale?
Come passi adesso le tue giornate? Hai ripreso a leggere, a prendere appunti...
Lo sai, ho vissuto una malattia pesante, cure mediche pesanti, ma adesso lentamente il mio corpo comincia a riprendersi. I dottori insistono sul riposo ed io cerco di farlo ma allo stesso tempo cerco di seguire il mondo della letteratura, di leggere riviste, libri, di fare progetti per romanzi futuri. Cerco soprattutto di conoscere scrittori ed opere che sono rimaste un po' nell’ombra. Vorrei scrivere su di loro per cercare di farli conoscere e scriverò in due lingue, turco e curdo. Sono ormai in grado di riprendere la piena vita intellettuale e cerco naturalmente di costruirmi la mia vita qui.
Puoi raccontarci dei tuoi progetti di romanzo?
Quando mi sono ammalato stavo lavorando ad un nuovo romanzo, avevo appena cominciato a scrivere. Avevo lavorato tre o quattro anni per prepararmi, viaggi, letture, incontri, appunti e poi quando ho cominciato a scrivere è arrivata la malattia. “La speranza di Auerbach” era il titolo, e credo potrebbe essere un romanzo importante. Ricomincerò a lavorarci molto presto. Con la malattia però sono stato testimone dell’affetto del popolo curdo, si pregava per me dappertutto, centinaia di migliaia, forse milioni di persone pensavano a me. Anche tu ne sei stato testimone. Nell’ospedale di Diyarbakir sono venute a trovarmi migliaia di persone, un grande affetto che mi ha dato un grande appoggio morale. Per ricambiare questa attenzione ho pensato di scrivere un piccolo romanzo, un regalo. Questa sarà la prima cosa che farò.
Xevnan Melayê Batê - Il sogno di Melaye Bate - sarà un romanzo che racconterà della ricchezza del paese curdo, dell’importanza dei classici della letteratura curda e allo stesso tempo un romanzo che parli della morte, della vita, di come divenire immortali, di come si possa rendere la vita vivibile.
Voglio poi adesso lasciare un messaggio a Birgün. Quando ero in ospedale avevo promesso che la mia prima intervista sarebbe stata con voi ed adesso sto mantenendo la parola, per ringraziare Birgün del suo sostegno.
Certamente non solo la gente curda ma anche i turchi e gli intellettuali turchi sono stati solidali con me, non mi hanno mai lasciato solo, telefonate, lettere e visite, attraverso il vostro giornale voglio ringraziare anche loro. Abbiamo ancora molto da fare insieme, la democratizzazione della Turchia è un problema di tutti noi ed anch’io farò la mia parte. Buon anno a tutti.