Il dibattito sulla prevista chiusura dell'Ufficio dell'Alto Rappresentante in Bosnia. Le possibili conseguenze di un disimpegno della comunità internazionale prima di aver avviato un processo di riforma del modello di Dayton. Dal nostro corrispondente
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
Sarajevo, la Biblioteca (foto M. Piccardi)
Quando 11 anni fa fu firmato l'accordo di Dayton sulla Bosnia ed Erzegovina [BiH], la situazione era abbastanza chiara: la guerra era finita e tutti giuravano che sulla base del doloroso accordo di compromesso si sarebbe iniziata a costruire la pace. Secondo l'adagio in base al quale nessuno ha vinto e nessuno ha perso la guerra, che tutti sono colpevoli e tutti sono vittime in parti uguali, si iniziò un grande lavoro che non aveva molte possibilità di successo. In realtà oggi le cose non sono più quelle che erano all'inizio del 1996, e chi viene in Bosnia per un breve periodo dice che nel frattempo “c'è stato un miracolo”. D'altra parte, la maggior parte di quelli che ci vivono crede che il progresso complessivo nella BiH, sul piano economico, sul piano della costruzione delle istituzioni statali e di molte altre riforme sia molto al di sotto di quello che si sarebbe potuto fare. E' calato anche l'ottimismo circa le aspettative da parte della comunità internazionale. Molti oggi in BiH credono che il “mondo”, e in particolare l'Europa, in realtà non sappia cosa vuole in questo paese. Questa opinione muove dal fatto che la maggioranza del mondo ha rinunciato al concetto di costruzione di uno stato civile, multinazionale e multi religioso cui si faceva riferimento dopo Dayton, fino alla convinzione che per la realizzazione di questo concetto l'Europa non ha forze, desiderio né visione.
Inoltre è convinzione comune in BIH che la comunità internazionale abbia stabilito delle diverse priorità sui Balcani. La nuova e più importante ossessione dell'Europa nei Balcani è la Serbia. Questo fatto ha un'importante influenza anche sulla formazione di una diversa percezione degli obblighi globali in Bosnia. La complessiva “stanchezza dell'allargamento” che dall'Europa irradia verso i Balcani è fortemente sentita a Sarajevo.
In questa situazione, di scopi poco definiti e di conseguenze scarsamente analizzate, non molto tempo fa è stata presa anche una decisione molto affrettata da parte della comunità internazionale, secondo la quale l'OHR [Ufficio dell'Alto Rappresentante, ndt] lascerà la BiH il 30 giugno di quest'anno. Questa decisione è stata seguita dalla niente meno che sconsiderata dichiarazione dell'attuale Alto rappresentante Christian Schwarz Schilling che “lui sarà l'ultimo Alto rappresentante in BiH”. La seconda dichiarazione forse è stata anche peggiore. Schilling si è vantato del fatto “che lui nel suo mandato non avrebbe applicato i poteri di Bonn”.
Nella struttura mentale del rappresentante della comunità internazionale entrambe queste dichiarazioni sono suonate come del tutto rispettabili, incoraggianti e piene di complimenti per la “maturità” dei politici locali. Purtroppo, ancora una volta si è dimostrato che gli internazionali valutano catastroficamente male la struttura mentale dei politici balcanici. Come conseguenza di queste dichiarazioni, presso i potenti locali si è messa in atto la vecchia logica che a più riprese in passato è stata anche affermata pubblicamente: dal momento che non abbiamo potuto realizzare quello che volevamo insieme all'OHR, adesso aspetteremo la loro sicura e imminente partenza per poter continuare con la politica che va bene a noi. In modo particolare è stato incoraggiante il fatto che per l'ostruzione della Bosnia non c'è cambiamento!
Cos'è successo? E' vero che Christian Schwarz Schilling è venuto a Sarajevo con l'intento di rimanere solo fino al 30 giugno di quest'anno e questo l'ha ripetuto più volte. Nel frattempo, molti ambasciatori dei paesi europei in BiH hanno raccontato a voce alta la stessa storia. L'impero della politica balcanica ha prontamente restituito il colpo: sulla scena politica della BiH sono iniziate delle pesanti ostruzioni persino su ciò che che era già stato catalogato come successo. Per primo sono falliti i cambiamenti costituzionali già concordati. Con questi, finalmente, si doveva per la prima volta mettere mano all'Accordo di Dayton che, senza alcun dubbio, è stato una cornice distruttiva per la costruzione di qualsiasi paese normale.
Poi si è iniziato con la distruzione di tutti gli altri processi di riforme, a partire dalla riforma della polizia. Nella Republika Srpska è stato accettato chiaramente un atteggiamento secondo il quale niente di ciò che assomiglia, anche solo vagamente, al passaggio di competenze dalle entità al livello statale, deve passare. Nella Federazione sono fermi tutti i processi di riforma economica e la privatizzazione, che doveva garantire la base economica per lo sviluppo. Attraverso la campagna elettorale la reciproca retorica politica è stata portata a limiti scandalosi, alla volgarità e alla maleducazione. La conseguenza è stata la vittoria di blocchi politici estremamente contrapposti e una vera e propria guerra per gli incarichi senza alcun desiderio di stabilire gli interessi del paese e dei suoi cittadini. L'Alto rappresentante nel frattempo è rimasto fermo sulla decisione che in questo caos non venissero applicati i cosiddetti poteri di Bonn che gli danno il diritto anche di sostituire gli irresponsabili e quelli che fanno ostruzione al sistema. L'arroganza dei politici ha prevalso.
L'Europa e le sue istituzioni, completamente assorbite dalle elezioni in Serbia e dalla imminente decisione sul Kosovo, hanno apertamente rinunciato a qualsiasi tentativo, in caso di avvenimenti di questo tipo in Bosnia, di imporsi come sarebbe stato necessario, in modo decisivo, di principio e con una visione.
In breve, l'intera costruzione politica basata sulla affermazione, espressa in modo ingenuo, precoce e non tattico, che l'OHR è pronto a fare le valige e a lasciare la Bosnia, lasciando il posto a una missione assolutamente non definita “di aumentata sorveglianza dell'UE”, è fallita. Come risultato, si perde nuovamente tempo in discussioni non necessarie: deve o non deve il 30 giugno andarsene l'OHR? Può o no può Schwarz Schilling rimanere ancora un po'? I motivi, sia di quelli che sono a favore del prolungamento del mandato dell'OHR sia di quelli che sono per la partenza, sono del tutto chiari. Allo stesso tempo, l'argomentazione in entrambi casi è espressa in modo del tutto errato.
L'enorme maggioranza di quelli che vorrebbero vedere il prima possibile la schiena della comunità internazionale in Bosnia si richiama ad un motivo di principio, ma questo motivo non è quello che li motiva veramente a sottolinearlo: con l'eterna presenza di un (semi)protettorato, la BiH non crescerà e non maturerà mai politicamente per potersi occupare in modo responsabile del proprio destino. Questa non è la via per l'Europa.
Tutto questo sembra bello e vero, ma agli avversari locali dell'OHR non importa la partenza di Schilling per questi motivi. Loro sanno molto semplicemente che la partenza dell'OHR, con la costituzione attuale che permette tutte le possibili ostruzioni del sistema, ridurrebbe definitivamente la Bosnia ed Erzegovina ad una storpiatura politica con la quale si può fare tutto ciò che si vuole. Fino alla sua abolizione.
Molti di quelli che sono perchè l'OHR rimanga, d'altra parte, cercano in buona misura nell'Alto rappresentante l'alibi per non occuparsi in modo responsabile del futuro del paese e prendere sulle proprie spalle i compiti assegnatigli dalle elezioni.
Per come stanno le cose adesso, è chiaro che la soluzione esiste ma la domanda è se c'è la forza, la determinazione e la voglia di realizzarla nel modo in cui fino ad ora non si è stati in grado di fare. Per diventare in qualsiasi modo uno stato auto sostenibile, la BIH deve cambiare la costituzione, e deve firmare l'Accordo di associazione e stabilizzazione con l'UE. E' difficile che riesca a farlo da sola, in particolare il primo punto. Le cause di questa sua incapacità, in buona misura, potrebbero essere attribuite anche alla comunità internazionale.
Significa che l'OHR è stato troppo a lungo, e quasi non necessariamente, in BiH, ed è un bene che se ne vada il prima possibile per iniziare finalmente il vero processo di crescita del paese e della società. Ma, per poter realizzare tutto ciò, bisogna arrivare ad una costituzione che non permetta ricatti e blocchi a favore di coloro che per questo spingono l'OHR fuori dalla BIH. Se già domani si arrivasse a una tale costituzione, l'OHR potrebbe andarsene anche domani sera. Se non si riuscirà a farlo nemmeno nei prossimi dieci anni, la comunità internazionale dovrà rimanere qua a fare la guardia per altri dieci anni.
Si potrebbe fare anche diversamente, è ovvio, ma è tutta un'altra storia. Con conseguenze drammatiche.