La Romania mira a sostituire la Bulgaria come maggior paese esportatore di energia nel sud-est Europa? Bucarest alle prese con centrali nucleari, piani energetici e privatizzazioni. Una rassegna della nostra corrispondente
All'interno della centrale nucleare di Cernavoda (dal web)
La recente chiusura dei reattori 3 e 4 della centrale nucleare di Kozlodui in Bulgaria rovescia gli equilibri energetici nell’Europa del Sud-Est. La dismissione dei reattori era stata una condizione per l’adesione all’Unione europea in quanto gli impianti di costruzione sovietica erano considerati poco sicuri.
La Bulgaria, che finora era il maggiore esportatore di energia elettrica nel Sud Est Europa, non intende perdere la leadership e non solo si prepara a costruire un'altra centrale nucleare a Belene (a realizzarla sarà la compagnia russa Atomstroyexport di cui Gazprom detiene la maggioranza delle azioni) ma sta per chiedere all’Ue il consenso per riaprire i reattori chiusi – dice il ministro dell’Economia e dell’Energia Rumen Ovcharov – secondo il quale il dibattito sulla riapertura dei due reattori non è una mossa populista ma un tentativo di difendere gli interessi nazionali.
Preoccupati dell’attuale situazione sono soprattutto Albania, Macedonia, Montenegro e Kosovo - che dipendevano in gran parte dall’energia importata dalla Bulgaria. Ma anche la Serbia, la Croazia, la Grecia e la Slovenia potrebbero affrontare dei problemi come conseguenza della chiusura dei reattori bulgari. Senza i reattori 3 e 4 di Kozlodui l’energia elettrica disponibile nell’Europa del Sud Est si riduce di almeno 10-15%. Ciò a fronte di una richiesta di energia che nella regione è aumentata annualmente in media del 5% annuo mentre di tutti i paesi dell’area solo la Bulgaria, la Bosnia Erzegovina e la Romania godono di una certa indipendenza dal punto di vista energetico.
Gli altri paesi della regione sono quindi preoccupati e alla ricerca di fonti alternative per l’approvvigionamento di elettricità. Gli esperti indicano la Romania come possibile nuovo leader regionale sul mercato dell’energia se ovviamente saprà dotarsi di un piano strategico nel settore.
Il ministro romeno dell’Economia e del Commercio annuncia che entro maggio la Romania elaborerà la sua strategia energetica che avrà come principale obiettivo la crescita della produzione di energia elettrica del 25% entro il 2014.
Entro la fine del mese di marzo anche l’Unione Europea dovrà concludere i dibattiti sull’energia. La Commissione europea propone un piano di azione comune nel settore, centrato sulla lotta contro i cambiamenti climatici, il sostentamento alla crescita economica e la limitazione della vulnerabilità esterna dell’Ue per quanto riguarda le importazioni delle idrocarburi. Anche la Romania intende incrementare la produzione dell’energia elettrica, migliorare la produzione di energia da fonti rinnovabili – energia eolica, solare – oltre a idrocarburi e nucleare. Secondo il presidente della Romania, Traian Basescu, le principali direzioni per lo sviluppo della politica energetica sono il carbone e il nucleare. D’altronde le previsioni a livello mondiale indicano che le riserve conosciute di petrolio possono sostenere un livello attuale di consumo fino al 2040 mentre quelle del gas fino al 2070.
La centrale di Cernavoda
Dal 1996 la Romania ha in funzione il suo primo reattore nucleare della unità 1 della centrale nucleare elettrica di Cernavoda (nel Sud-Est del paese). Costruito sotto il coordinamento della canadese AECL e dell’italiana ANSALDO, il reattore 1 assicura il 10% della produzione energetica del paese. Questo autunno dovrebbe partire anche il reattore 2 di Cernavoda con una potenza di 770 MW, 100 MW in meno rispetto alla produzione che la Bulgaria ha perso con la chiusura dei reattori 3 e 4 di Kozlodui.
Tutto questo ha portato la stampa specializzata romena a sostenere che la Romania miri proprio a riempire il vuoto lasciato dai bulgari. Inoltre la Romania si trova in una tappa avanzata per la costruzione dei reattori 3 e 4 della centrale nuclearo-electtrica di Cernavoda per investimenti che ammontano a 2,2 miliardi di euro. Se fossero finalizzati entro il 2013, la produzione di energia elettrica aumenterebbe del 25%.
Il ministro romeno dell’Economia Varujan Vosganian ribadisce però che è necessario assumere una decisone politica relativa all’azionariato maggioritario - se di stato oppure privato - nel caso dei reattori 3 e 4. Per la loro costruzione sono rimaste in corsa 13 compagne e consorzi tra quali Alro Slatina (Romania), Ansaldo (Italia), AECL (Canada), Dogan Enerji Yatirimlari/Dogus Holding (Turchia), Electrabel (Belgio), Electrica Bucuresti (Romania), ENEL (Italia).
Così come si presenta l’attuale situazione del mercato interno di energia la Romania potrebbe sostenere un’esportazione al massimo di 1.000 MW. Di andare oltre a questa cifra si potrebbe pensare - sostengono alcuni analisti - solo dopo l’apertura del reattore 2 di Cernavoda.
Il vicedirettore della Compagnia nazionale di Trasporto dell’Energia Elettrica-Transelectrica, Marian Cernat, commentava su un giornale di Bucarest, che “la Bulgaria esporta ora al massimo 200 MW mentre l’inverno scorso arrivava a 1.000 MW. Anche le esportazioni romene si sono dimezzate fino a 500 MW in seguito alla diminuzione della produzione interna. La regione del Sud-Est Europa è deficitaria di energia. Di conseguenza c’è un flusso di elettricità che attraversa il nostro sistema dal nord al sud verso la Bulgaria, Albania, Macedonia, Grecia” ha concluso Cernat.
Rappresentanti del ministero dell’Economia avvertono però su un possibile aumento del prezzo dell’elettricità a livello regionale. Le compagnie del settore romene, infatti, potrebbero constatare di poter ottenere profitti maggiori con la vendita di elettricità all’estero con il risultato di provocare una crescita dei prezzi sul mercato interno. Altri esperti considerano che il sistema energetico romeno non è in grado di coprire in questo momento la richiesta di energia nella regione. Gli unici investimenti rilevanti nel settore energetico sono stati fatti per l’unita 2 di Cernavoda e per l’infrastruttura del trasporto dell’energia - nota Jean Constantinescu, presidente dell’Istituto Nazionale Romeno per l’Energia. Per Aureliu Leca, responsabile della cattedra UNESCO dell’Università Politecnica di Bucarest, c’è invece il rischio che la Romania si trasformi in importatore netto di energia se non prende misure per creare nuove capacità soprattutto nel contesto di una previsione di un aumento del consumo interno del 2,5%-3% ogni anno.
Ma la Romania ha anche altre questioni in sospeso. Il presidente della repubblica Traian Basescu ha chiesto di recente al ministero dell’Economia di rallentare il processo di privatizzazione nel settore energetico, soprattutto per quanto riguarda Romgaz. Le autorità di Bucarest hanno l’intenzione di riprendere la privatizzazione solo dopo una accurata analisi dei risultati prodotti da altri processi di vendita, incluso Petrom, la più grande compagnia di stato privatizzata nel 2004 e comprata da OMV Austria per 1,49 miliardi di euro.