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L'economia albanese: dalla dominazione ottomana al crollo del comunismo
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Data pubblicazione: 12.02.2007 10:50

Una prima bibliografia ragionata degli studi in lingua italiana, francese e inglese sulla storia economica dell’Albania in Età Moderna e Contemporanea. Dalla vigilia della dominazione ottomana fino alla caduta del regime comunista
Di Paolo Tachella*

Questo lavoro ha l’intento di proporre una prima bibliografia ragionata degli studi in lingua italiana, francese e inglese che ci possano aiutare a tracciare dei lineamenti di storia economica dell’Albania in Età Moderna e Contemporanea. A partire quindi dalla vigilia dell’inizio della dominazione ottomana del paese, nel XV secolo, fino alla caduta del regime comunista albanese nei primi anni ’90 del secolo scorso

L’Albania ha una storia travagliata: è passata dallo status di periferia occidentale dell’Impero Ottomano, durato fino al 1912, all’essere uno degli avamposti per gli investimenti economici in oriente dell’Europa, fino alla situazione di totale chiusura verso l’esterno durante gli anni del regime di Enver Hoxha. Questo carattere “periferico”, insieme con la morfologia montagnosa e impervia del territorio e con i caratteri antichi della popolazione autoctona, ha connotato l’Albania come una nazione continuamente isolata e marginalizzata, una terra di confine che ha suscitato nella comunità scientifica molte curiosità e diversi studi di tipo storico-antropologico. Gli albanesi stessi, per varie motivazioni storiche, sono un popolo da sempre votato all’emigrazione: un fenomeno che, come vedremo, è stato soltanto temporaneamente sospeso dal regime comunista e che è drammaticamente tornato agli onori delle cronache a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo.

Solo in questi ultimi anni l’Albania si apre nuovamente all’esterno in una maniera spesso affannosa e ricca di contraddizioni. Questo processo disordinato è conseguente alla spinta di un popolo che per cinquant’anni è stato costretto a guardare ad un orizzonte che aveva nello stesso Mare Adriatico una barriera invalicabile.

In conseguenza di questi fatti e considerato il suo scarso sviluppo industriale ed economico, il piccolo stato balcanico non è certo un soggetto di primo piano nella storiografia economica ma esiste comunque una serie di articoli e monografie che possono essere utili, e in certi casi fondamentali, per ricostruirne un profilo storico economico di lungo periodo.

Una precisazione ulteriore va fatta rispetto all’oggetto spaziale della ricerca visto che nel caso dell’Albania non vi è identità tra l’attuale stato albanese e la nazione albanese. Quest’ultima è infatti maggiormente estesa del primo comprendendo parti più o meno vaste della popolazione di Kosovo, Montenegro e Macedonia: territori di dimensioni variabili fuori dalla sovranità dello stato a motivo di passate contese territoriali e che costituiscono oggi l’oggetto teorico della possibilità della formazione di una “grande Albania”. Nel presente studio per Albania non si intende allora tale Albania di tipo etnico-nazionale ma quella, più limitata, di natura statuale e corrispondente grosso modo al territorio di quella odierna.

Saranno invece qui analizzati nei loro aspetti economici i movimenti migratori di lungo periodo che hanno dato origine, tra il XIV e il XIX secolo, alle grandi comunità albanesi all’estero e derivanti quindi non da contese territoriali ma esclusivamente da rilevanti flussi storici di emigrazione.

Il prodotto della ricerca è quindi una rassegna bibliografica, di circa 250 titoli, sulla storia economica albanese dal XV al XX secolo, che considera altresì gli studi economico-sociali sul fenomeno dell’emigrazione ed una doverosa traccia degli studi di antropologia storica, spesso fondamentali per gli argomenti giuridici e sociali in essi trattati.

Come detto l’obiettivo perseguito è stato quello di definire una bibliografia di tipo storico-economico ma, date le particolarità che la storiografia sull’Albania presenta, è stato necessario introdurre tra i testi anche alcuni studi particolarmente interessanti di carattere sia sociologico che storico antropologico. Si è preferito inoltre non dare alla ricerca uno stretto termine cronologico, per ciò che riguarda la data di pubblicazione delle opere, ma si è scelto, rispettando l’esigenza di fornire un panorama il più possibile completo della produzione scientifica sul tema, di prediligere la storiografia più recente. Sono state altresì inserite opere più datate solo quando testi più attuali non esistevano, risultando dunque tali opere ancora punti di riferimento per chi volesse approfondire gli aspetti specifici in questione.

L’analisi della ricca bibliografia permette di evidenziare alcuni nodi problematici. Il primo è senz’altro legato al surplus strutturale di forza lavoro nel territorio albanese con l’odierna continuazione, per le scarse prospettive interne di occupazione, di quei fenomeni migratori che sono solo l’ultimo atto di una storia antica. Si è visto come l’economia dei territori italiani si sia spesso giovata di questi spostamenti di popolazione, sempre rilevanti nelle fasi storiche di integrazione economica tra Albania ed Europa occidentale.

Accettando come ineluttabile, e anzi per certi versi auspicabile, questa realtà, alcuni studiosi propongono oggi la definizione di Albania come “ventunesima regione” italiana: questa formula, se non intende ovviamente delineare un nuovo assetto territoriale tipo 1939, ha il pregio di porre in modo anche provocatorio l’odierna questione albanese. Sembra impossibile cancellare infatti questo stato da un mercato comune che storicamente lo include da secoli e dal quale oggi non si può arbitrariamente e artificiosamente escluderlo.

Una seconda questione, strettamente legata alla prima, riguarda l’emigrazione osservata dal punto di vista dell’economia albanese. Nel passato questi spostamenti ingenti di popolazione sono, come visto, una valvola di sfogo per il surplus di forza lavoro rispetto alla domanda produttiva interna. Non è però possibile, alla luce degli studi disponibili, fare chiarezza sui rapporti economici tra gli emigrati e la madrepatria. Sembra comunque da escludere la possibilità di un flusso apprezzabile di rimesse economiche da parte degli albanesi all’estero, soprattutto perché molto spesso si trasferiscono intere famiglie, peraltro da considerare in una accezione molto allargata.

Al contrario in epoche più recenti, e massicciamente dopo la caduta del regime comunista, l’impatto economico sulla madrepatria delle rimesse degli emigrati è ingente. Le famiglie albanesi all’estero hanno un tasso di risparmio molto alto, arrivando ad accumulare in media più di 5000 Euro all’anno. Nella maggioranza dai casi queste famiglie, accanto all’invio di capitali in patria, dichiarano di prevedere un ritorno nel paese d’origine portando con sé i capitali accumulati all’estero1.

Il terzo nodo problematico è quello degli investimenti di capitale dall’estero: si evidenzia oggi un flusso che riprende un trend in atto, come gli studi hanno dimostrato, già a partire dalla fine dell’Ottocento e poi interrotto drasticamente dopo la seconda guerra mondiale dalla politica strettamente autarchica imposta dal regime di Enver Hoxha. Questo fenomeno economico sembra oggi capace di coniugare l’interesse italiano di investimenti esteri profittevoli con l’esigenza di uno sviluppo albanese che vada anche a sollievo dei molti disoccupati costretti a scegliere ancora tra l’emigrazione e il nulla.

L’ultimo problema, più squisitamente antropologico e culturale, resta quello della persistenza di un modello sociale clanico, familiare e tradizionale che ostacola un pieno “ingresso” dell’Albania nel mondo e del mondo esterno in Albania. Ancora oggi in Albania infatti lo “stato” conta poco mentre i veri valori riconosciuti sono la Nazione, la famiglia e il suo onore.

Le questioni esposte, pur apparentemente disparate tra loro, sono riemerse prepotentemente al termine di una fase storica che ha costituito per l’Albania una cesura nel tempo e nello spazio: la dittatura di Enver Hoxha. Essa infatti ha, in primo luogo, costretto la storia dell’Albania nel solo orizzonte interno togliendole quella prospettiva europea che è stata spesso il suo riferimento naturale, anche ma non soltanto come meta d’emigrazione. La dittatura ha negato poi la possibilità all’occidente di intervenire nelle vicende albanesi politicamente e soprattutto economicamente. Questo isolamento è stato alla fine causa di un mancato sviluppo economico le cui conseguenze sono oggi chiaramente visibili in un paese alla ricerca affannosa del benessere perseguito attraverso un liberismo che appare decisamente una reazione all’assoluto dirigismo centralizzato dei decenni precedenti.

* Dott. Paolo Tachella
Università degli studi di Milano
Facoltà di Scienze Politiche
Tel. 347-2499357

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