Gli albanesi bussarono alle porte dell’Occidente come semplici sconosciuti, dopo tanti decenni di oblio forzato tra confini inviolabili. Persi nella foresta della storia, cresciuti nella solitudine e nel terrore, vissuti nella sofferenza e nella povertà, si presentarono davanti all’Europa stravolti, ma con una valigia piena di sogni. Erano i primi anni del periodo turbolento del postmuro, fatto di speranze, paure ed incertezze. Per tutti. L’identikit dell’albanese fu affidato ai media, che tratto dopo tratto, notizia dopo notizia, fotogramma dopo fotogramma, trasmissione dopo trasmissione, delineò in poco tempo un’immagine inequivocabile. All’opinione pubblica fu mostrato un ritratto essenziale, senza sfumature, profondamente negativo. L’immagine offerta al pubblico forse coincideva con i suoi desideri più inconsci, forse era una semplice imposizione; fatto sta che da allora in poi l’albanese divenne sinonimo di delinquente, malvivente, prostituta, fannullone, incivile, e altro ancora.
Il caso albanese non poteva non attirare l’attenzione degli studiosi, per la sua emblematicità tra i fenomeni migratori, ma anche per la semplicità con cui ha sintetizzato i rapporti tra i mass media e l’opinione pubblica. L’esempio “albanesi” è finito in parecchi manuali di studio, ma ciò non si è tradotto in una presa di coscienza da parte della collettività dei rischi che comporta il sistema attuale mediatico. Tanto meno si è avviata una riflessione profonda e sincera sul ruolo dei mezzi di comunicazione nel mediare la realtà. Se è vero che negli anni Novanta il mito negativo sugli albanesi viveva la sua stagione migliore, non si può certo dire che il nuovo secolo abbia assistito al suo disfacimento. Per parecchi anni i media hanno doppato un’immagine negativa sugli albanesi, magari sfruttando ricostituenti reali che la cronaca, vera o presunta, metteva a loro disposizione. Solo poche voci, peraltro fievoli ed isolate, riuscirono a reagire prima che l’opinione pubblica offrisse passivamente glutei e vene per continue iniezioni di rappresentazioni distorte. Da allora i pregiudizi e gli stereotipi sugli immigrati albanesi hanno fatto parte della società stessa, indotta ma anche quasi in simbiosi con i suoi media.
Mentre gli anni Duemila aspettano ancora di essere studiati seriamente per quanto riguarda i media e gli albanesi, la percezione di molti riscontra un certo calo nella pressione dell’immagine negativa. Dall’altro lato, gli albanesi “buoni”, prima esiliati in trafiletti timidi, adesso vengono posti sotto i riflettori della prima serata. Finora i casi non sono stati numerosi (eccezion fatta le trasmissioni di Maria De Filippi tipo “C’è posta per te”, “Amici”, ecc.), ma sono sufficienti per avvertire una differente presenza nei media. Tuttavia, il vero salto qualitativo e quantitativo deve essere ancora registrato, mentre rimane da capire se i protagonisti albanesi del “Canale 5” siano la versione catodica degli articoletti di una volta sui bravi albanesi, nella loro funzione da bilanciere, oppure un nuovo modo di rappresentare la realtà. Non è detto che le due cose non coincidano, anche perché nella percezione pubblica perfino le contraddizioni estreme possono dividere lo stesso letto.
La reazione degli albanesi alla presenza di ballerini e cantanti connazionali sui palcoscenici televisivi italiani era assolutamente prevedibile. D’altronde, un’identità frustrata e umiliata all’inverosimile, vissuta per anni con l’angoscia di essere riconosciuta nel profilo delineato dai media, percepita e autopercepita come un problema sociale, un’identità che si è rapportata agli altri come i sopravvissuti ai terminator, non poteva che gioire di fronte a chi è uscito fuori dai cunicoli della paura. La felicità era dovuta anche alla velocità con cui i bravi ballerini albanesi toccarono gli olimpi della tv popolare, dove presero le sembianze degli eroi, venuti a salvare il loro popolo dall’oppressione mediatica e dalla discriminazione dei pregiudizi. Per qualcuno i ballerini sono diventati motivo di orgoglio nazionale, da aggiungere alla lunga sfilza di papi e imperatori romani di origine albanese, con cui non si perde occasione per attestare la dignità del proprio popolo. Dunque, era normale che insieme agli albanesi esultasse anche il loro Presidente, il quale ha deciso di conferire alla famosa presentatrice televisiva Maria De Filippi una medaglia di riconoscimento per aver promosso un’immagine positiva degli albanesi, premio ritirato dall’interessata qualche giorno fa. Vista in questo contesto, la scelta di premiare chi ha dato la possibilità di mostrare un’altra faccia dell’Albania è più che plausibile, tanto più quando si tratta di trasmissioni tipo “Amici”, dove la bravura conta davvero, e non si riduce all’ozio perverso nella casa del “Grande Fratello”.
Forse non è un caso che le notizie sui premi accordati ai vari personaggi di spettacolo, incluso l’ultimo appena menzionato, siano rimasti principalmente nel circuito albanese. Ciò che succede dall’altra parte, ossia nell’opinione pubblica italiana, nessuno lo sa con certezza, ma probabilmente la questione si presenta ben più complessa e articolata. L’unica cosa ancora fuori discussione è che oggi l’immagine degli albanesi in Italia non può considerarsi positiva. Il resto aspetta di essere scoperto ed analizzato. Nel frattempo i casi positivi non è che hanno oscurato del tutto le rappresentazioni discutibili dei media. Dall’altra parte, sebbene si tratti solo di canti e danze, l’operazione mediatica, se così si può chiamare, ha incoraggiato molti albanesi ad uscire dal mimetismo sociale e ad affrontare con coraggio le reazioni, interne ed esterne, nei confronti della propria identità.
Ciò che preoccupa è lo sfondo in cui vengono analizzati i fenomeni sociali, ossia lo spazio pubblico albanese, che diventa spesso testimone passivo di scelte problematiche e poco dibattute. Non è ovviamente in discussione il conferimento della medaglia alla De Filippi, che in fin dei conti potrebbe essere visto come un semplice atto di galanteria istituzionale oppure come un nobile gesto di gratitudine, concetto tanto caro alla psicologia popolare albanese. Qualcuno potrebbe giustamente dire che in tempi di penuria è un vero proprio sacrilegio rifiutare un tozzo di pane in regalo. D’accordo, ma qui si cerca di guardare oltre la sopravivenza. Infatti, la posta in gioco è molto più alta delle modiche
fiches rappresentate dal suddetto premio, tra l’altro per tanti versi plausibile. Il gioco appare veramente più complicato e oneroso, appunto perché tocca alcune attitudini acritiche delle elite albanesi.
Purtroppo, molte domande non sono state poste per nulla e altre sono rimaste senza risposta. I ballerini albanesi sono stati scelti in quanto albanesi o in quanto competenti nel loro mestiere? La TV è una finzione o una realtà? Lo schermo televisivo – catodico o a cristalli liquidi che sia – trasforma le persone in personaggi? Se si tratta di un albanese, quanta albanesità rimane ad un personaggio televisivo? E come viene percepita dai vari pubblici? Domande specifiche e generali. Comunque, nel nostro caso è difficile che la famosa e brava presentatrice accetti pubblicamente di aver scelto i suoi concorrenti dal suo passaporto. È come se accettasse che nel suo programma è tutto finto. Allora perché viene premiata? Per la sua bravura come professionista della TV? Ma non ci sono i Telegatti per questo? Se ha fatto solo una scelta dettata dalla sua indubbia professionalità, allora lei è identica all’agricoltore emiliano oppure al costruttore milanese che assume un abile potatore o un valevole muratore albanese.
Che il Presidente albanese abbia solo interpretato un desiderio collettivo dei suoi cittadini, non ci sono dubbi; rimane invece il dubbio che la medaglia sia solo il sintomo benigno del noto “pragmatismo” albanese. Visto che le scelte della tv italiana sono dettate dalla professionalità, è forse azzardato chiedersi se gli albanesi “premiano” in realtà quel meccanismo mediatico che generalizza tutto? Nel bene e nel male? Se dovessimo accettare l’idea che i media scelgono di presentare i fatti in base all’etnia dei loro attori, con la logica del tavolino, allora siamo costretti ad ammettere che l’immagine negativa costruita intorno agli albanesi era non solo profondamente falsa, ma anche intenzionalmente discriminatoria, nonché fabbricata
ad hoc, per mezzo di una perfetta regia occulta. Forse troppo, anche per chi ama vedere complotti ovunque.
Allora l’unico modo per dare un senso a premi del genere è rifiutare innanzi tutto l’attuale logica dei media,
en bloc, senza compromessi, senza esitazioni. Un sistema mediatico che modella il proprio rapporto con l’opinione pubblica sulla logica dell’anfiteatro, alla ricerca dell’audience e del puro divertimento, porta prima ad osannare i gladiatori, poi ad esultare con i pollici in giù tifando per le bestie. Da parte loro i gladiatori non possono atteggiarsi da trionfatori e da vittime nello stesso tempo. Quando il gioco è sporco va rifiutato
in toto, insieme alle sue regole. Per gli albanesi forse non sarà semplice uscire da una sudditanza mediatica e culturale, in cui sono sprofondati dai tempi della cortina di ferro, ma forse vale la pena di tentare. Almeno per ripudiare quel meccanismo perverso, per cui basta un telecomando per mandare qualcuno dalle stelle alle stalle. E se il viceversa assomiglia ad una favola, bisogna accettarla solo in quella veste. In piena consapevolezza.