Il parlamento sloveno
A un anno e mezzo dalle politiche la coalizione governativa sembra senza rivali. L'opposizione in Slovenia traballa: il partito liberal-democratico è in caduta libera, la socialdemocrazia regge ma ammiccando al nazionalismo
A un anno e mezzo dalle prossime elezioni politiche in Slovenia la maggioranza di centrodestra, guidata da Janez Janša, sembra spianare la via verso una nuova contundente vittoria. Ma le ragioni dell'ottimismo conservatore più che all'indubbia destrezza politica di Janša vanno addebitate soprattutto alla profonda crisi in cui è venuta a trovarsi l'opposizione parlamentare e in primo luogo il partito liberal-democratico che per quasi dodici anni, dal 1992 al 2004, ha padroneggiato sulla scena politica slovena con un esasperato pragmatismo antiideologico, creando stabilità economica, ma anche un sistema clientelare il cui capolinea è stato ora preso saldamente in mano dai partiti attualmente al governo sostenuti inoltre dalla gerarchia ecclesiastica.
Janša ha portato il clientelismo ad estremi forse mai conosciuti precedentemente, intervenendo con forza nella gestione economica fino al punto da far nominare a capo dei consigli di amministrazione delle più grandi imprese, con presenza di capitale pubblico, dei fedelissimi compagni di partito.
Il peso politico è tale da rendere il sistema completamente invulnerabile anche al cospetto delle rivelazioni con tanto di prove, cifre, date e nomi, pubblicate dai pochi media sloveni ancora indipendenti (Dnevnik,Mladina e Pop TV) sulle connessioni che si tessono al margine della legalità tra partiti di governo e imprese.
Il caso più recente, in odor di corruzione, è quello del ministro dell'Ambiente Janez Podobnik, presidente del governativo Partito popolare sloveno (SLS) che - come rivela in questi giorni, in un dossier documentato, il lubianese Dnevnik - ha ordinato il pagamento di ingenti somme per lavori e opere „aggiuntivi“ mai richiesti e privi di appalti pubblici, nel quadro del risanamento dell'area disastrata da una frana a Log pod Mangertom (nelle Alpi Giulie), ad un'impresa „amica“ e cliente del suo partito, la PUH, nel cui consiglio di amministrazione siedono ben due tesserati del SLS e il cui direttore è amico personale del ministro Podobnik.
Ma anche uno scandalo come questo in Slovenia ormai non sortisce più alcun effetto. I media controllati dal governo (la stragrande maggioranza) lo ignorano, e il premier Janša liquida il caso con un laconico „vedremo, costituiremo una commissione di verifica, ma ho piena fiducia nel ministro“.
Tace anche il parlamento dove a sinistra la confusione nel nome di un „si salvi chi può!“, regna sovrana. L' opposizione infatti è allo sbando; i socialdemocratici di Borut Pahor, che mesi fa aderirono al „partenariato per le riforme“ proposto da Janša per allargare l'area di consenso al suo governo e ammorbidire e dividere l'opposizione, sono intenti ad ostentare un volto buonista e „costruttivo“ che di fatto - stando ai sondaggi - sembra portar loro nuovi consensi tra gli elettori.
In una crisi senza fondo sembra invece sprofondare la Democrazia liberale (LDS) guidata attualmente da Jelko Kacin, un tempo delfino di Janša e ministro dell'Informazione nei 10 giorni della „guerra“ di indipendenza. Oggi Kacin è un avversario durissimo del premier ma con il suo stile radicale e poco incline al dialogo si è inimicato buona parte della vecchia leadership liberaldemocratica che, seguendo l'esempio del primo »disertore«, l'ex presidente del partito e attuale presidente della repubblica Janez Drnovšek, sta abbandonando l'LDS in massa con una emorragia quotidiana di nomi illustri tra cui numerosi sono i parlamentari. Nomi che hanno fatto la storia della democrazia liberale slovena come Gregor Golobič, Slavko Gaber, Zoran Thaler, Pavle Gantar, Majda Širca, Davorin Terčon, ed ex ministri di adesione più recente come Matej Lahovnik e Milan Cvikl, hanno restituito la tessera e alcuni di loro sono diventati deputati indipendenti.
Ci sono poi probabili transfughi, tra cui ormai molti indicano persino l'ex premier Tone Rop e il vicepresidente della Camera di stato ed ex ministro Marko Pavliha. Entrambi stanno trattando con la socialdemocrazia di Pahor. Pavliha si è di recente rivelato un falco anticroato particolarmente aguerrito; agli sloveni ed al governo ha lanciato un accorato appello a boicottare il turismo in Croazia e al ministro Rupel (sempre ben disposto nei confronti di simili parole d'ordine) ha suggerito di impedire l'avvicinamento della Croazia all'UE.
Ha inoltre proposto di considerare nel negoziato con Zagabria anche l'ipotesi di rivendicare il confine in Istria una ventina di chilometri più a sud di quello attuale, spostandolo dal fiume Dragogna al Quieto, sul limite meridionale dell'ex Zona B dell'ex territorio Libero di Trieste.
La popolarità mediatica conquistata con tali sparate nazionaliste, amplificate con particolare enfasi dalla Tv di stato e da Delo, ha reso Pavliha, considerato un „esperto di diritto marittimo“, particolarmente interessante e papabile per Borut Pahor che lo ha invitato ad aderire al proprio partito di „centrosinistra“. Pavliha in passato non si era occupato di politica. Solo nel 2003 aderisce, con atteggiamenti particolarmente radicali e pacifisti, al „Forum per la sinistra“, un movimento di opinione prevalentemente intellettuale. Ma alla prima occasione passa alla liberaldemocrazia, svelando la sua anima „profondamente liberale e pragmatica“ e ottenendo così per quasi un anno l'incarico di ministro dei Trasporti. In parlamento aveva strizzato spesso l'occhio all'ultras nazionalista Zmago Jelinčič con cui ha condiviso alcune bizzarre iniziative, tra cui l' inaugurazione di un busto di Tito e quelle volte all'esasperazione dei rapporti con la vicina Croazia. Alle recenti elezioni amministrative è stato un alleato decisivo del sindaco populista capodistriano Boris Popovič ed ha, insieme a lui, riscoperto la passione per il calcio e le tifoserie.
Vista la crisi dell'LDS, di cui è stato anche vicepresidente, Pavliha ha pensato ora di unirsi a Pahor, nei sondaggi un astro in ascesa, riscoprendosi „socialdemocratico moderatamente conservatore“ incline alla terza via sostenuta dal leader socialdemocratico sloveno. Considerate le prese di posizione antiitaliane nello stesso partito ( il suo responsabile esteri ed ex ambasciatore a Roma Marko Kosin è arrivato a dire in questi giorni che „gli italiani in genere prima sparano e poi chiedono scusa“) è probabile che nel centrosinistra la campagna elettorale farà pericolosamente leva sulle paure del „nemico esterno“ (enfatizzate ulteriormente dal recente discorso di Giorgio Napolitano) e su un populismo nazionalista che supererà persino quello della compagine conservatrice le cui mani sono più legate in quanto responsabile di un governo che nel 2008 presiederà l'Unione Europea.