Lo status giuridico della minoranza albanese in Macedonia
18.04.2007
Macedonia, 2001
Una tesi di laurea discussa alla facoltà di giurisprudenza dell'Università degli Studi di Trento. Gli albanesi di Macedonia prima e dopo gli accordi di Ohrid. In allegato il testo completo in inglese. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Stefania Ziglio
Questo lavoro consiste essenzialmente nella comparazione tra lo status giuridico della minoranza albanese in Macedonia nel periodo precedente al conflitto armato che, nel 2001, oppose i ribelli albanesi all’esercito macedone, con lo status acquisito in seguito agli emendamenti costituzionali e legislativi adottati conformemente a quanto stabilito negli Accordi di Ohrid.
Innanzitutto vengono ripercorse le fasi che hanno portato alla creazione, nel 1944, della Repubblica di Macedonia, anno in cui Tito decise di riconoscere i macedoni come nazione costitutiva della Federazione di Jugoslavia, concedendo al contrario agli albanesi lo status di mera nazionalità (minoranza nazionale).
La scelta di mettere tra virgolette la parola minoranza [v. titolo della tesi, ndc] è già di per sé assai significativa e può, a ben vedere, rappresentare una chiave di lettura della questione albanese in Macedonia.
La decisione di Tito venne accolta assai negativamente da parte degli albanesi, poiché questi ultimi ritenevano di aver tutti i requisiti per essere classificati come nazione costituente.
Essi, infatti, avevano iniziato il processo di costruzione dell’identità nazionale a partire dalla fine del diciannovesimo secolo e avevano ottenuto il loro proprio Stato nel 1912. Più della metà della popolazione albanese rimase al di fuori dei confini dell’Albania, parte in Kosovo, parte nella Serbia meridionale, e parte in Macedonia. Il sogno di una Grande Albania si realizzò solo temporaneamente con l’invasione italiana durante la seconda Guerra Mondiale, ma quell’episodio fu sufficiente per riscaldare gli animi dei nazionalisti anche a distanza di anni.
Il territorio abitato dai macedoni era stato dominato nel corso degli ultimi secoli da popoli diversi, e a partire dal 1878 aveva avuto inizio la “questione macedone”.
L’attribuzione di gran parte del territorio macedone alla Bulgaria in seguito alla sconfitta dell’Impero Ottomano nella guerra russo-turca era stata una decisione che le grandi potenze avevano rinnegato poco tempo dopo, durante la Conferenza di Berlino.
In quell’occasione stabilirono che, per evitare un’eccessiva influenza russa nei Balcani, la parte del territorio macedone, precedentemente assegnata alla Bulgaria, sarebbe tornata sotto il controllo dell’ormai morente impero Ottomano. Tale scelta fu una delle cause scatenanti delle prima guerra balcanica in cui Serbia e Grecia combatterono a fianco della Bulgaria, contro la Turchia, anche nell’intento di spartirsi il territorio della Macedonia. La questione rimase aperta, e nella seconda guerra balcanica la Bulgaria combatté a fianco della Turchia con lo scopo di conquistare una porzione più ampia di territorio. Tuttavia la Conferenza di Bucarest, che nel 1912 sancì la divisione della Macedonia tra Serbia, Grecia e Bulgaria, attribuì proprio a quest’ultima la parte più piccola (Macedonia del Pirin).
La decisione di Tito, in realtà, trovava la sua giustificazione nella distinzione che egli aveva tracciato tra nazioni e nazionalità. Solo alle nazioni costituenti, indicate nella Costituzione, venne attribuito il diritto di avere la loro repubblica, poiché le nazionalità (minoranze nazionali) riconosciute avevano già un loro Stato (kin - State) al di fuori della Federazione Jugoslava. Non era possibile, inoltre, che si riconoscesse l’esistenza di due nazioni costituenti all’interno della stessa repubblica (Macedonia), poiché la teoria dello Stato etnico, applicata alle repubbliche della Federazione Jugoslava, comportava che a ciascuna repubblica corrispondesse un’unica nazione (intesa come nazione- ethnos) titolare.
I macedoni, impegnati a costruire la loro identità e a rivendicare la loro diversità rispetto a serbi, bulgari e greci, non avevano intenzione di concedere agli albanesi i diritti che questi rivendicavano. Gli albanesi in effetti costituivano una potenziale minaccia per l’integrità territoriale della neonata repubblica macedone poiché spesso manifestavano apertamente il loro desiderio di unirsi al Kosovo e formare la settima repubblica della Federazione Jugoslava.
Nel 1974, sull’onda di importanti riforme operate a livello di costituzione federale per quanto riguardava le minoranze nazionali, anche il preambolo della costituzione macedone venne modificato stabilendo che lo stato macedone era lo Stato del popolo macedone e delle minoranze albanese e turca.
Nel 1989 la repubblica macedone era seriamente preoccupata per le sorti della Federazione Jugoslava, in quanto lo smembramento di quest’ultima avrebbe quasi certamente fatto riemergere la “questione macedone” riaccendendo le ambizioni espansionistiche di Serbia, Grecia e Bulgaria sul territorio macedone. Questa paura fu determinante nella decisione di mutare il preambolo della Costituzione in modo tale da trasformare la Macedonia in uno Stato-nazione etnico del popolo macedone.
Il Paese fu tuttavia in grado di ottenere l’indipendenza senza attraversare la fase della guerra civile. Dovette però affrontare le difficili relazioni con gli Stati vicini, soprattutto con la Grecia, che pose addirittura un embargo e accettò dopo lunghi negoziati e onerose condizioni per la Macedonia di riconoscere il nuovo stato con il nome di FYROM (Former Yugoslav Republic of Macedonia), dato che Macedonia è anche il nome della regione greca con capoluogo Salonicco.
La costituzione del 1991 solo apparentemente si prefiggeva di costruire uno Stato civico assicurando alle minoranze piena uguaglianza in quanto cittadini. Infatti, il preambolo continuava a fare riferimento allo Stato macedone come lo stato del popolo macedone e questa affermazione ebbe dei risvolti pratici molto negativi per gli albanesi, i quali subirono ancora numerose discriminazioni.
Una serie di fattori esterni fu poi determinante per l’inizio del conflitto armato del 2001 che vide coinvolti quasi esclusivamente i ribelli albanesi e l’esercito macedone.
Gli Accordi di pace di Ohrid, nel sottolineare il fatto che non ci sarà soluzione territoriale ai conflitti etnici, rappresentano la volontà della comunità internazionale di cambiare totalmente rotta rispetto a quanto stabilito negli accordi di Dayton.
L’obiettivo principale era quello di creare una società macedone multi-etnica, in cui tutte le minoranze assurgessero al ruolo di popoli costituenti, basata sull’eguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge.
Tale obiettivo non venne in realtà realizzato in quanto gli elementi di democrazia consociativa introdotti andarono a privilegiare quasi unicamente la comunità albanese. La democrazia consociativa è una teoria che tenta di mitigare il principio maggioritario laddove la società è profondamente divisa etnicamente ed esiste il rischio di avere minoranze permanenti che non avrebbero alcuno strumento per far sentire la propria voce. I quattro elementi che caratterizzano tale teoria sono: la grande coalizione, che obbliga ad includere nella coalizione di governo anche forze politiche che rappresentano la minoranza; il veto di minoranza, che consente alle minoranze di opporsi a decisioni che vadano ad intaccare i loro interessi vitali; il principio proporzionale applicato sia a livello elettorale che per quanto riguarda i posti di lavoro nella pubblica amministrazione; e infine l’autonomia segmentale che consente ad una minoranza prevalentemente concentrata su di una parte del territorio nazionale di amministrare il proprio territorio. Solo quest’ultimo elemento è assente dall’impianto dagli accordi di Ohrid in conformità a quanto detto precedentemente. I poteri delle municipalità vengono comunque ampliati notevolmente rispetto al passato e vengono attribuiti una serie di diritti linguistici e culturali, esercitabili su base territoriale, nel caso in cui la minoranza costituisca almeno il 20% della popolazione locale.
Lo Stato macedone diventa per certi aspetti bi-nazionale (non esiste più il rapporto minoranza-maggioranza) garantendo agli albanesi un’eguaglianza istituzionale (che a prescindere dalla consistenza numerica delle diverse etnie attribuisce ugual peso ad entrambe) all’interno della grande coalizione, della Commissione per le Relazioni Inter-Comunità e tramite lo strumento del veto di minoranza. Certi elementi rimangono invece quelli tipici di uno Stato promozionale (in cui si riconosce ancora l’esistenza del rapporto maggioranza-minoranza): l’eguaglianza sostanziale perseguita attraverso il principio di equa rappresentanza nel pubblico impiego e la realizzazione di un’autonomia territoriale di fatto, realizzata tramite una legge che ha ridisegnato i confini delle municipalità in modo tale che in più municipalità gli albanesi potessero raggiungere la percentuale del 20% e godere dei diritti territoriali di cui ho accennato precedentemente.
La democrazia consociativa ha finora funzionato bene in Macedonia e le disposizioni degli Accordi di Ohrid sono state implementate senza particolare ritardo.
Tuttavia, il malcontento dei macedoni rispetto al fatto che gli albanesi siano divenuti nazione costituente e che abbiano ottenuto un’autonomia territoriale di fatto, è emerso nel referendum organizzato nel febbraio del 2004 per abrogare la legge sul ridisegno dei confini delle municipalità. Il referendum è fallito solo perché il giorno prima delle votazioni gli Stati Uniti avevano riconosciuto la Macedonia con il suo nome costituzionale e l’euforia per tale decisione fece passare in secondo piano le ragioni che avevano portato i macedoni alle urne. Comunque l’approvazione della legge fu fondamentale per non bloccare l’implementazione degli accordi e il processo di avvicinamento all’Unione Europea.
L’opinione positiva della Commissione Europea del dicembre 2005, riguardante l’opportunità di concedere alla Macedonia lo status di candidato ufficiale all'adesione, si è basata principalmente sull’implementazione degli Accordi. Nonostante i seri problemi economici che il Paese sta attraversando, e il gran numero di riforme ancora necessarie per adeguare il sistema macedone agli standard europei, la prospettiva di entrare a far parte della grande famiglia europea migliorerà probabilmente le relazioni tra albanesi e macedoni ed eviterà il riemergere di nuovi conflitti etnici.
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