Nei corridoi
Nepotismo, corruzione, incompetenza, incapacità di insegnare a pensare in modo indipendente e critico. Secondo uno studio di KIPRED la crisi del sistema universitario mette a rischio il futuro del Kosovo, quale che sia il suo status finale
L’educazione superiore in Kosovo è allo sbando, e gli effetti deleteri della scarsa qualità degli studi, che continuano a riproporre vecchi stili di insegnamento, insieme alla rigidità e al nepotismo delle istituzioni universitarie, sia pubbliche che private, rischiano di lasciare una pesante eredità sul futuro della regione, quale che sia il risultato finale della discussione attualmente in atto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu sul suo status finale. Sono queste le conclusioni di uno studio presentato da KIPRED (Kosovar Institute for Policy Research and Development) durante una tavola rotonda tenuta giovedì 5 aprile al Grand Hotel Pristina. Il materiale, raccolto sotto il titolo “Governance and Competition in Higher Education”, fa riferimento soprattutto alla situazione nell'università in lingua albanese di Pristina e nei numerosi istituti universitari privati sorti in Kosovo dalla fine del conflitto del 1999.
In questi anni, denucia la ricerca di KIPRED, nel settore dell’istruzione universitaria si sono creati e rafforzati numerosi trend negativi: utilizzo di strutture dell’università a scopi commerciali, episodi di corruzione per passare gli esami, una riforma che consiste soprattutto in una nuova etichettatura di corsi di laurea ormai obsoleti. Visto il numero chiuso vigente, il poter assicurare l’ammissione di uno studente è divenuto un favore particolarmente ricercato, e molti nomi vengono aggiunti “misteriosamente” alle liste degli ammessi all’ultimo minuto. I professori utilizzano lo stesso libro per corsi diversi, e spesso non ricevono alcuno stipendio per anni. Molti simulano una produzione scientifica copiando a man bassa testi apparsi in altre lingue, fenomeno più volte denunciato dai media locali.
Tutto questo, lascia intendere lo studio, sta avendo effetti dirompenti non solo sulla preparazione degli studenti, ma anche sulla loro visione del mondo, in un ambiente in cui, molto più che l’impegno e lo spirito critico, per riuscire contano le amicizie e la capacità di saper ripetere la lezione “a pappagallo”.
“Quello che abbiamo scritto è sicuramente provocatorio, ma il nostro obiettivo è quello di stimolare in Kosovo un vero dibattito sull’educazione superiore”, ha dichiarato ad Osservatorio Leon Malazogu, curatore dell'indagine. “Tra tutti i problemi evidenziati, forse il più preoccupante è l’incapacità dell’università di far nascere tra gli studenti un’approccio critico. Quale che sia il futuro economico della regione, saper ragionare e lavorare in team resteranno comunque qualità essenziali dal punto di vista professionale”.
Oggi il Kosovo non ha una vera economia di mercato funzionante, e questo condiziona le scelte dei giovani che entrano nel sistema universitario. L’amministrazione pubblica rimane il più importante datore di lavoro, e quindi non sorprende il fatto che il maggior numero di domande di iscrizione riguardi le facoltà di filosofia e giurisprudenza. La mancanza di opportunità di lavoro in campo tecnico e scientifico spiega inoltre perché, mentre in tutte le altre facoltà il numero di domande è superiore al numero di posti a disposizione, in quella di Matematica e Scienze naturali nell’ultimo anno accademico ci sono state soltanto 174 domande di iscrizione su 330 posti disponibili.
In questo senso, l’obiettivo di avvicinare l’università alle esigenze del mondo del lavoro sembra particolarmente frustrato dalla mancanza di un serio dibattito e di una visione complessiva sulle reali possibilità di sviluppo economico del Kosovo e, d’altra parte, il fallimento dell’università nel creare specialisti competenti potrebbe rivelarsi il più serio ostacolo nell’attirare nella regione investimenti dall'estero, speranza spesso recitata come un mantra salvifico dalla classe politica albanese kosovara.
Neanche la concorrenza dei numerosi istituti privati sembra poter portare un contributo veramente positivo. “In realtà quasi tutti quelli che si iscrivono alle università private sono stati prima respinti da quella pubblica. Molti professori insegnano le stesse materie sia nell’una che nelle altre. Dalle interviste effettuate, emerge che l’unica differenza sostanziale è che nelle università private si comportano in modo più gentile con gli studenti, visto che sono pagati regolarmente”, ci ha spiegato Valmir Ismajli, uno dei ricercatori che ha contribuito alla raccolta dei dati.
Alcuni, come Enver Hoxhaj, presidente della Commissione Parlamentare per l’Educazione Superiore in Kosovo, credono che una possibile soluzione possa venire dalla ristrutturazione e divisione dell’Università di Pristina in diverse istituzioni indipendenti, ma molti criticano l’idea per i costi maggiori che comporta la moltiplicazione delle strutture.
Al problema della qualità degli studi, si aggiunge quello del basso numero di laureati che le università del Kosovo sono in grado di produrre. In termini assoluti, ricorda lo sudio di KIPRED, il numero totale dei laureati in Kosovo è pari a quanti la Slovenia ne riesce a produrre in appena due anni. In Kosovo, nonostante il gran numero di giovani, ci sono appena 1387 studenti universitari ogni 100mila abitanti, contro i 2929 della Bulgaria e i 5504 della Lettonia.
“Per migliorare questi dati, non escludo che potrebbe essere necessario un aumento dei fondi a disposizione", ha aggiunto Malazogu. "Quello che vogliamo sottolineare, però è che anche soltanto con quanto viene speso oggi, si potrebbero ottenere risultati molto migliori”. Una delle idee proposte da KIPRED è quella di non disperdere indiscriminatamente le risorse per il supporto allo studio (oggi il 91% degli iscritti all’Università di Pristina ha accesso alla piena borsa di studio), e di utilizzare i fondi che verrebbero a liberarsi per creare le condizioni e strutture che renderebbero possibile l’iscrizione di un maggior numero di ragazzi e ragazze all’università.
Sullo sfondo di questa discussione, rimane il problema dell’incomunicabità e separazione tra l’università in lingua albanese di Pristina e quella in lingua serba attualmente dislocata a Mitrovica nord ed unica possibilità di istruzione superiore per la comunità serba in Kosovo, anche questa segnata da forti problemi organizzativi, tanto che il regolare svolgimento delle lezioni, tenute da professori che viaggiano da Belgrado, Nis e Novi Sad, rimane un’utopia per i circa 10mila studenti iscritti. Per superare l’isolamento, negli anni scorsi è stata proposta da più parti la creazione di un’università multilingue sul modello della South East European University di Tetovo, in Macedonia, finanziata come istituzione no-profit da donatori internazionali. Al momento però, nessun passo concreto è stato fatto per la sua realizzazione.
La possibilità che un giorno studenti serbi e albanesi del Kosovo possano tornare a condividere i banchi dell’università sembra una prospettiva lontana, di cui oggi non si riescono ad intravedere segnali concreti. Quello che è certo è che, sul lungo termine, questa prospettiva rimane legata alla speranza che la soluzione dello status possa lasciare aperte le porte del dialogo tra due comunità.