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Da nido delle aquile a porta dei Balcani

08.05.2007   

Una cartina dell'Albania
Quale sviluppo per l'Albania? Quali gli elementi endogeni che influiscono su quest'ultimo e quali dipendono invece dal contesto regioneale e internazionale? Una tesi di laurea
Di Marco Lecis

Per delineare le prospettive di sviluppo dell’Albania non è sufficiente individuare gli ostacoli endogeni, radicati nell’assetto politico, sociale ed economico dello stato, ma è indispensabile anche comprendere quale ruolo esercitino gli agenti internazionali sulle possibilità di sviluppo del paese.
Innanzitutto, quali sono gli ostacoli endogeni allo sviluppo dell’Albania, alla base dell’attuale condizione di sottosviluppo?

1. La mancata maturazione del senso civico dei cittadini albanesi, che non nutrono fiducia nelle istituzioni dello stato. La storia degli albanesi è la storia di un popolo disabituato ad avere un proprio stato e, per questo motivo, il cittadino schipetaro prova un’innata diffidenza ed una naturale disaffezione nei confronti delle istituzioni pubbliche e di tutto ciò che rappresenta lo Stato.

2. Il basso profilo dello stato di diritto, sul quale grava il peso di un alto grado di corruzione in tutti i settori della vita pubblica e una preoccupante collusione tra il potere politico e la criminalità organizzata,

3. L’assenza di una good governance nell’amministrazione pubblica, che può essere garantita soltanto da una classe di funzionari pubblici indipendenti, reclutati non sulla base di affiliazioni politiche o logiche clientelari, ma attraverso procedure pubbliche e concorsuali di selezione.

4. La persistenza dell’antico diritto consuetudinario, il Kanun, il cui carattere misogino si riflette ancora oggi sulla condizione femminile.

5. La scarsa interazione tra le ONG locali e il governo nazionale, interazione necessaria per il potenziamento e l’autonomia della società civile.

6. Un’iniziativa economica privata estranea alle regole del libero mercato e una stretta dipendenza economica dall’estero, in termini di importazioni di beni non prodotti all’interno, di rimesse degli emigranti, di aiuti internazionali e di riciclaggio di denaro sporco.

7. Il rischio di un’irreversibile fuga di cervelli, per eludere la quale il governo del paese non ha ancora predisposto una politica sistematica, tesa ad incoraggiare il rimpatrio del capitale umano di eccellenza.

8. Il senso di inferiorità e di dipendenza maturato nei confronti dell’Occidente e il disprezzo per il proprio passato e per la propria identità, con la conseguente mancanza di fiducia nelle proprie possibilità.

In un siffatto contesto, il ruolo delle organizzazioni internazionali (governative e non) diventa assolutamente indispensabile allo sviluppo dell’Albania e, in particolare, il processo di associazione all’Unione europea si configura come un’ineguagliabile opportunità per sollevare finalmente il paese dalla condizione di sottosviluppo in cui versa.

L’opinione pubblica albanese desidera entrare nell’Unione, in quanto in essa vi identifica i valori democratici, i benefici economici e la libera circolazione delle persone nel continente, ma non è ancora chiaro fino a che punto la popolazione sia realmente informata dei sacrifici e dei doveri che il processo di integrazione comporta. Responsabile di questa scarsa informazione è proprio la classe politica albanese, che cavalca l’europeismo degli elettori albanesi, senza tuttavia affrontare con realismo e sincera volontà le problematiche dell’integrazione.

Il problema cruciale quindi è proprio la classe dirigente albanese, che non ha la competenza né l’onestà e nemmeno il desiderio di servire il proprio stato. Tuttavia, contrastando le possibilità di una rigenerazione della classe politica, la comunità internazionale e gli stati più influenti non hanno espresso con sufficiente intensità il proprio dissenso nei confronti della leadership esistente, sebbene questa governi con metodi non democratici e sia palesemente corrotta.

Gli Stati Uniti, infatti, sono più interessati alla stabilità politica del paese come dell’intera area balcanica, in vista della realizzazione del Corridoio n. 8, e ad avere un alleato in più nella guerra al terrorismo internazionale, piuttosto che alla qualità della democrazia in Albania.

Alla luce, dunque, dell’attuale contesto internazionale, dinanzi alla condotta diplomatica degli stati più influenti, tesa al mantenimento dello status quo e alla sopravvivenza dell’attuale classe dirigente, soltanto la supervisione dell’Unione europea, insieme a una nuova generazione di leaders ed intellettuali (soprattutto coloro che hanno studiato all’estero) pronti a sacrificarsi per il proprio popolo, può ancora far sperare in un reale progresso sulla strada dell’integrazione.

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