Al tempo di Internet, spazio pubblico trasparente e luogo sorvegliato, diventa interessante studiare il caso della Turchia, Paese cerniera tra Oriente e Occidente. Una tesi di laurea
A cura di Anna Lisa Ratta
Cosa fa di uno Stato un paese libero? Come si conciliano vecchie e nuove tecnologie a supporto di uno sviluppo democratico? Questo progetto di ricerca parte da questi interrogativi e dal presupposto che la vera democrazia si sostanzia di libero accesso agli strumenti di comunicazione e l’uguaglianza si sorregge su prerogative ineludibili: la comunanza di diritti e doveri nell’ambito dell’informazione.
Al tempo di Internet, spazio pubblico trasparente e luogo sorvegliato, diventa interessante studiare il caso della Turchia, un Paese cerniera, tra Oriente ed Occidente. L’analisi del caso affonda le mani nelle dinamiche storico-politiche della Turchia, indispensabili per comprendere i limiti di uno Stato nel quale la rigorosa difesa della laicità si scontra con le spinte estremistiche; la prospettiva europea con un assetto di potere che vede alternarsi mondo politico ed esercito; l’identità turca con un sistema che di fatto ostacola le libertà fondamentali.
Si è scelto poi di ricostruire il grado di sviluppo di Internet, attraverso i dati forniti da Recep Çakal – capo del Dipartimento di Informazione e Comunicazione presso il Ministero Turco – applicando il modello formulato da Peter Wolcott. Secondo il teorico americano a guidare lo sviluppo di Internet in un dato Paese sarebbe la combinazione di
Dimensions (variabili come la pervasività, la diffusione geografica, il grado di sofisticazione d’uso, ecc.) e di
Determinants, prime fra tutte le politiche di governo e il framework legale e giuridico che regolamenta l’ambiente web.
Cercare di comprendere come la Rete in Turchia possa essere al tempo stesso luogo aperto e libero e anche quello spazio nel quale il potere del governo non si arresta e dà luogo a nuove forme di censura. Da qui la scelta di analizzare la blogosfera turca rispetto a due fatti di cronaca che hanno tenuto banco nei mesi scorsi e fatto ripiombare nuovamente il Paese nell’occhio del ciclone – la visita di Benedetto XVI, lo scorso novembre, e l’omicidio del giornalista armeno Hrant Dink, avvenuto nel gennaio 2007.
Il dibattito on line, estremamente vivace – che dà modo ai blogger turchi di protestare contro l’arrivo del pontefice e che trova in Rete, attraverso il Saadet Partisi, un ulteriore via di espressione – cozza, tuttavia, con episodi di censura (ultimo in ordine cronologico il caso
You Tube) e con le misure restrittive della libertà in uno spazio potenzialmente democratico e aperto come Internet. Un handicap quest’ultimo che spinge l’Europa dei ventisette a rimandare a data da destinarsi la decisione in merito all’adesione di questo Paese, il primo musulmano nel “club cristiano” e che ne farebbe di essa un
unicuum nell’Unione Europea.
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