Un testo su due patrie, una la Bosnia, l'altra l'Italia. Una sorta di editoriale “intimo” e di amarcord di Zlatko Dizdarevic, ex direttore di Oslobodjenje e corrispondente di Osservatorio sui Balcani
Di Zlatko Dizdarević, 26 maggio, Novi List (tit. orig. Zašto neće potonuti)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
Non molto tempo fa Avdo Sidran, bardo della poesia bosniaco-erzegovese, durante una chiacchierata con whiskey e burek – solo lui può mangiare e bere così – mi ha detto: Ogni buona persona qui ha due patrie. Una è questa nostra Bosnia, e l’altra è l’Italia!” Dopo di ché abbiamo parlato a lungo di questo. Sulla prima patria sappiamo quello che sappiamo, non c’è molto di nuovo da dire. Qualunque cosa dici è difficile e ti fa male, e al tempo stesso è bella e scalda il cuore. Sulla storia dell’Italia abbiamo scoperto un migliaio di piccole e grandi storie, cosa che mi ha fatto più tardi pensare alla constatazione di Avdo, che di primo acchito mi sembrava strana, sulla “seconda patria che ogni brava persona qui da noi ha”.
Abbiamo parlato di San Remo, del Milan e della Juventus, degli spaghetti e di Sofia Loren, dei caffè di Trieste e degli impermeabili, della Sicilia, di Napoli, di Adriano Celentano e della Vespa, della Cinquecento e della torre di Pisa. Avdo mi ha spiegato perché quando è iniziata la guerra, volendo spiegare tutta la grandezza del dramma della fine dell’universo, a causa di quello che accade in Bosnia, scrisse il poema “Perché Venezia affonda…” Perché proprio Venezia? Ma perché essa è la misura di ciò che c’è di più grande, di più apprezzabile e di strabiliante.
Immediatamente ci siamo trovati d’accordo su cosa fosse in questione tra noi e gli italiani. In particolare tra noi e quegli italiani di qualche tempo fa. Dice Avdo, “quelli di Pertini, e un po’ meno questi di Berlusconi”. Pensava dolcemente, almeno così mi è parso, a quelli de “I ladri di biciclette” di Vittorio de Sica, se capite cosa voglio dire. I nostri, fratello, ecco quelli.
Dopo di che siamo passati alle storie tristi e ridicole su di noi, e al silenzio sulla Bosnia. Il silenzio sulla Bosnia è sempre importante. E significativo. Avdo beveva whiskey e mangiava burek e qui e là tracciava degli appunti su pensieri di passaggio che svolazzavano sul tavolo del caffè. A me il burek in quella combinazione non andava proprio ma questo non è importante. Ricordo che aveva scritto un pensiero di qualcuno sulle persone che sono “a posto con se stesse”.
Impoooortante, dice Avdo, è mooolto impooortante essere a posto con se stessi!
Non ho dimenticato cosa diceva Avdo sull’Italia. Non che l’abbia sempre in mente ma me ne ricordo di tanto in tanto. E poi in questi giorni sul giornale leggo una notizia di come Mia Jelicic, una ragazza di Sarajevo, è andata a Pisa per un trapianto del rene e del fegato. La notizia dice, sarà operata grazie all'impegno della Croce rossa italiana, dell'ambasciatore italiano a Sarajevo e all'Ufficio della cooperazione italiana allo sviluppo in Bosnia. La notizia dice che il Centro per i trapianti dell'Istituto per la sanità della Regione Toscana ha preso la decisione di svolgere là questa operazione molto delicata di trapianto di fegato e rene e che tutte le spese, che ammontano ad oltre 300.000 euro, saranno sostenute dalla Regione Toscana e dal locale Istituto per la sanità...
Mi ricordo di Mia quando era piccola, una ragazzina bionda e snella, di un'infinita vivacità, figlia del mio grande amico Troka che tutti i ragazzini di Sarajevo conoscono bene per via della radio e della televisione. Lui ha dedicato la vita alla sua ragazzina alla quale il diabete è sopraggiunto praticamente subito dopo la nascita, e ha divertito i bambini di Sarajevo coi programmi che quei bambini ricordano ancora oggi, a distanza di molto tempo quando ormai bambini non sono più.
Più di venti anni fa, tra gli amici si diceva già che l’incredibilmente allegra e caparbia, la infinitamente cara Mia non sarebbe vissuta per più di qualche anno. Ecco, sono trascorsi più di due decenni e la caparbietà ha condotta la sua vita fino al limite estremo: cinque dialisi al giorno, e ognuna può anche essere l'ultima. Poi da qualche parte, dall'altra patria come direbbe Avdo tra un whiskey e un burek, è comparso il dottor Michele, è comparso quell'eccezionale persona dell'ambasciatore Fallavollita, e il dottor Ricci, e molti altri di quella “Venezia” che non è ancora affondata. Mia è andata a Pisa. Sarà, dicono, un duplice trapianto.
So che al mondo ci sono molti casi drammatici come questo. Che sono moltissimi quelli sfortunati che non hanno avuto la fortuna di conoscere dei dottori come quel Michele e quel Ricci, che non hanno avuto l'appoggio dello splendido Fallavollita. Però, questo triste fatto non diminuisce in me la sensazione di quanto Avdo avesse ragione.
Il mondo è diventato grezzo ed egoista e piccolo. E l'animo umano è come se, così mi pare, fosse diminuito. Ecco perché i drammi umani sono dappertutto aumentati. L'angustia è sempre più presente e la bellezza sempre più rara.
Così mi sento spesso, anche se i motivi per questo sentimento non mi riguardano da vicino.
E allora il cuore mi si è riempito di gioia perché Avdo mi racconta in modo così bello, col whiskey e il burek. Il grande poeta ha sentito ciò che probabilmente anche gli altri qualche volta sentono ma non sanno come esprimerlo.
Allora, quando è così, penso che anche l’operazione a Pisa deve riuscire, non può essere altrimenti. La ragazza di Sarajevo con due patrie se lo è meritato. Forse, un pochino, anche noi altri di qua. E proprio per questo, credo fermamente, che nemmeno Venezia affonderà.