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Sospesi tra conflitto e consenso
Mica facile designare un presidente della Repubblica “consensuale” – parola d’ordine di media e politici locali – in un’Albania politicamente spaccata come quella odierna. Secondo gli analisti albanesi e stranieri, il paese è dilaniato da uno dei peggiori conflitti politici della sua storia democratica e proprio il termine “conflittuale” è l’altro tormentone del momento. “Conflittuale” sarebbe il clima politico instaurato dai due anni di governo di Sali Berisha, “conflittuale” sarebbe la personalità del leader del Partito Socialista (PS), Edi Rama, “conflittuale” sarebbe l’atmosfera che il futuro capo dello Stato dovrebbe placare… quando verrà eletto.
Al momento, il successore di Alfred Moisiu, il cui mandato scade il 24 luglio, non ha ancora né un nome né un volto, mentre le forze politiche a tratti negoziano e a tratti paiono boicottare il processo di nomina del nuovo presidente.
Le regole del gioco
Il presidente della Repubblica d’Albania rimane in carica per cinque anni ed è eletto con voto segreto dai 140 deputati dell’unica Camera del Parlamento. I suoi poteri sono soprattutto onorari: egli è tenuto a garantire il rispetto della Costituzione ed è capo supremo delle forze armate.
Per candidarsi alla carica di capo dello Stato occorre presentare al Parlamento una petizione siglata dalle firme di almeno 20 deputati sostenitori. La Costituzione prevede che la nomina abbia luogo entro un massimo di cinque tornate elettorali. Il candidato deve ottenere i tre quinti dei voti del Parlamento, vale a dire 84. Se nessun candidato vince al primo turno, se ne tiene un secondo in base alle stesse regole del primo, e così via fino alla quinta sessione. Se anche l’ultimo round si conclude con un nulla di fatto, il Parlamento viene sciolto e si va ad elezioni anticipate entro 60 giorni.
Poiché l’attuale coalizione di maggioranza detiene 78 seggi – quindi meno dei tre quinti del Parlamento – deve per forza scendere a patti con l’opposizione. Le due parti sono pertanto chiamate a individuare una figura
super partes in grado di conciliare le divergenze politiche: quel presidente consensuale del quale l’Albania ha più bisogno che mai.
La campagna presidenziale
Che sarebbe stata dura lo si era capito sin dall’inizio: dopo l’estenuante braccio di ferro tra governo e opposizione per fissare la data delle elezioni locali e una tornata amministrativa al calor bianco, la campagna presidenziale si è aperta sotto i peggiori auspici. Già a febbraio l’opposizione reclamava elezioni anticipate e l’eventuale fallimento della nomina del nuovo capo di Stato si presentava come una ghiotta occasione per tornare alle urne.
Il 7 marzo scorso il premier Berisha ha presentato come proprio candidato alla presidenza della Repubblica il secondo uomo del Partito Democratico (PD), Bamir Topi, indicato dai sondaggi come il politico più amato dagli albanesi. Il capo dell’esecutivo non ha tuttavia consultato la sinistra, che si è infuriata e ha rivendicato il diritto di partecipare alla scelta del candidato. Anzi, il PS e i suoi alleati hanno reclamato che il futuro presidente fosse nominato dall’opposizione, come era accaduto nel 2002, quando i socialisti al potere avevano accettato Moisiu, proposto dalla destra minoritaria.
E tuttavia, da sinistra le candidature languivano e si lasciava intendere che il cambio della guardia al Palazzo delle Brigate non fosse un tema d’urgente attualità. L’unico “volontario” emerso dalle file dell’opposizione è stato l’ex premier socialista Fatos Nano, che il PS riformato da Rama e i suoi alleati hanno rifiutato di sostenere, ma che pareva godere del supporto dell’ex nemico Berisha.
Quest’ultimo, in visita a Bruxelles lo scorso 25 maggio, ha garantito l’impegno del suo governo a designare un capo dello Stato sul quale si accordino tutte le forze politiche, riferendo in patria che “l’Ue pretende l’elezione di un presidente consensuale”. A sua volta, il commissario europeo per l’Allargamento, Olli Rehn, ha più volte richiamato i partiti albanesi a raggiungere il “consensus”, ricordando che la strada dell’Albania verso l’Europa passa anche attraverso questa tappa cruciale.
Il lungo giugno caldo
La primavera volgeva al termine e l’elezione presidenziale incombeva. Se giugno è iniziato a stelle e strisce e la visita del presidente americano George Bush ha distratto un po’ tutti, in casa socialista si guardava già oltre. Non appena l’uomo più potente della terra ha lasciato l’Albania, Nano ha comunicato di accettare la proposta di 20 deputati per candidarsi al Palazzo delle Brigate.
L’11 giugno i leaders del Partito Socialdemocratico (PSD) e del Partito d’Alleanza Democratica (PAD), Skënder Gjinushi e Neritan Ceka, hanno annunciato l’intenzione di non partecipare al primo turno dell’elezione presidenziale. Apertamente ostili alla candidatura di Nano, questi alleati minori della “Sinistra Unita” hanno invocato un rapido ritorno alle urne.
Il giorno stesso anche il leader socialista Rama ha dichiarato l’intento di boicottare la procedura elettorale, adducendo come motivo la candidatura di Topi da parte della maggioranza: da quel momento, il capo del PS ha insistentemente rivendicato il ritiro di Topi dalla gara presidenziale. Tuttavia, la candidatura dell’uomo del PD non era ancora ufficiale e, pur caro a Berisha e sostenuto anche dagli alleati di destra, Topi non godeva delle simpatie di alcune frange del suo stesso partito.
Il dato più lampante era quindi la mancanza di candidati ufficiali, un fattore che ha condotto allo scontato fallimento del primo turno di consultazioni, tenutosi il 20 giugno – stessa sorte toccata al secondo round del 27 giugno, anch’esso segnato dall’assenza di candidature. Lo spettro di elezioni anticipate iniziava ad aleggiare, allarmando la comunità internazionale perché, per dirla con la Reuters, “dato il curriculum delle consultazioni albanesi, questo potrebbe significare instabilità e allontanare l’Albania dal suo percorso verso la NATO e l’Ue”.
Il balletto delle candidature
La terza sessione di consultazioni, fissata per il 4 luglio, rappresentava un punto di non ritorno. Se i partiti non avessero presentato candidature concrete, non vi sarebbe stato un quarto turno: questo il decreto del Consiglio di Regolamento del Parlamento, esasperato dall’esito delle prime due sessioni e dalla negligenza dei partiti nello stilare le liste. L’aut aut era chiaro: candidati entro il 4 luglio o scioglimento del Parlamento ed elezioni anticipate.
Rama continuava ad affermare che “le candidature di sinistra saranno presentate dopo il ritiro di Topi”, mentre Berisha insisteva nel definirlo “una scelta eccellente”; ma era evidente che l’unico modo per evitare la crisi fosse accettare un candidato proposto dall’opposizione. La palla passava dunque a sinistra, dove parte della coalizione era nettamente contraria all’ipotesi Nano, Ilir Meta e il suo Movimento Socialista per l’Integrazione (LSI) in testa. Questi esercitava un’intensa pressione su Rama, col quale ha raggiunto picchi d’alta tensione. Meta ha perfino inviato un ultimatum ai capi della sinistra, esortandoli a stilare una lista dei candidati guidata dal nome dell’attuale presidente Moisiu, ufficialmente sostenuto dal LSI. Così è stato, benché parte dell’opposizione temesse il blocco del dialogo con una maggioranza ostile a Moisiu. Da parte sua, Nano era il secondo nella lista, a dimostrazione del sostegno del gruppo parlamentare del PS.
Nel PD si profilavano intanto due linee, una favorevole alla sola candidatura di Topi e l’altra propensa alla presentazione di una lista. “Il più amato dagli albanesi” pretendeva di essere l’unico candidato, ma Berisha ha optato per la linea morbida, onde aprire al dialogo con l’opposizione. Inviperito, Topi ha dichiarato di abbandonare la gara, accusando Berisha di “aver scherzato col suo nome” e rilasciando dichiarazioni di fuoco sul premier, su Rama e sulla stessa destra albanese.
La prima volta di Edi e Sala
Alla vigilia del terzo round, maggioranza e opposizione hanno bocciato le reciproche liste e il tanto sospirato “consensus” appariva più lontano che mai. Così, poiché la sessione del 4 luglio risultava fondamentale per consentire il quarto turno, la presidente della Camera ha ritenuto di sospenderla. Diventava sempre più chiaro che soltanto un incontro Berisha-Rama avrebbe potuto sbloccare la situazione perché, come rimarcato dal capogruppo parlamentare del PS, Ben Blushi, “il nome del futuro presidente l’avrebbero scelto solo a livelli alti”.
Mentre Rama si diceva pronto a sedere col capo dell’esecutivo “quando vuole lui”, Berisha tentennava, dichiarandosi disponibile all’incontro solo a patto che “il processo sia istituzionalizzato e che l’incontro valga a risolvere i problemi”. Ha quindi rimarcato il peso degli alleati, “temendo che le firme mia e di Rama possano non bastare”.
Finalmente, il 5 luglio, i capi di maggioranza e opposizione hanno conversato per due ore – la prima volta in due anni di governo della destra. Non ne è uscito il nome del futuro presidente, ma si è aperto uno spiraglio verso il “consensus”. La sessione del 4 luglio è stata rimandata a domenica 8, quando si auspica che il Parlamento dia inizio a una vera votazione del presidente – restano quindi ancora tre chance per eleggere il futuro capo dello Stato.
L’ombra lunga del piccolo Fatos
Molti gli imputano la responsabilità della crisi politica, ma in un’intervista rilasciata il 5 luglio alla TV “Top Channel”, Nano ha riversato la colpa su Berisha, richiamandolo al dialogo. Nano ha quindi precisato che la sua candidatura non è ufficialmente sostenuta dalla sinistra, ma ha sottolineato di essere “l’unico candidato non scartato da alcuna delle due parti”. Ha infine rimarcato che le sue relazioni con Rama sono tornate alla normalità, definendolo “capo legittimo del PS” e descrivendo il loro rapporto come “quello di un giovane politico con uno di esperienza”.
Rama e Nano si erano incontrati il 13 giugno, quando l’ex capo del PS aveva presentato al suo successore la propria candidatura, chiedendogli sostegno. La posizione di Rama era ed è delle più difficili. Da una parte deve gestirsi un gruppo parlamentare socialista sul quale Nano esercita una notevole influenza – il PS ha 42 seggi e almeno una dozzina di deputati socialisti sarebbero pronti a seguire il vecchio capo in caso di spaccatura del partito. Dall’altra, il capo dell’opposizione deve vedersela con gli alleati, che detestano Nano. Rama si è pertanto limitato a dichiarare che “l’opposizione non esclude nessuna candidatura tranne quelle della destra”.
Le quotazioni dell’ex premier parrebbero dunque in ascesa e la pace conseguita anche con Rama potrebbe promuoverlo al ruolo di vero “presidente consensuale”. Palesemente gradito ai deputati della minoranza greca e in rapporti distesi coi democristiani, Nano deve sperare che a Berisha non convenga silurarlo e lasciarlo a combattere entro il PS per mantenere in tensione l’intera sinistra, in modo da governare con calma e magari ottenere anche un secondo mandato.
E mentre la Reuters riferisce che “USA ed Ue sarebbero favorevoli alla nomina di un presidente proveniente dal sistema giudiziario” e si ipotizza che Rama e Berisha concepiscano nomi tratti dal mondo accademico o diplomatico, i due candidati eccellenti potrebbero proseguire nella corsa tentando una raccolta di firme “private”. Benché escluso dalla lista del PD, Topi starebbe cercando appoggi parlamentari, mentre Nano, pur non essendo il candidato unico della “Sinistra Unita”, non demorde. Sia come sia, il “fattore F.N.” continua a incidere sull’Albania.