Gli albanesi tra autobus dirottati e orologi rubati
26.07.2007
scrive Rando Devole
Diaspora (disegno di Krypa, www.krypasgame.blogspot.com)
Un forte scollamento tra percezioni e realtà. Emerge da un recente sondaggio su come in Italia vediamo gli immigrati. Prende spunto da qui quest'analisi che ripercorre le tappe della percezione italiana degli immigrati albanesi
“Gli immigrati: come li vediamo...”. Era questo il titolo dell’articolo pubblicato su “Donna Moderna” (31 maggio 2007) che commentava il sondaggio svolto dalla Swg, nota società di indagini demoscopiche. L’idea della rivista era di confrontare l’immagine che gli italiani hanno degli immigrati con i dati reali. E, com’era prevedibile, le sorprese non sono mancate. A cominciare dalla percezione statistica. Il 27% del campione intervistato pensa che gli immigrati in Italia siano circa 5 milioni. Il 43% ritiene che siano 2 milioni e il 15% solo un milione. E i clandestini? La risposta non poteva essere precisa, specialmente in tempi di raid mediatici, dove i clandestini fanno paradossalmente i missili e le vittime nello steso tempo. Infatti, il 75% pensa che i clandestini siano la metà della popolazione immigrata. Addirittura c’è uno strano 13% che considera tutti gli immigrati come dei clandestini. Sul fronte del lavoro le cose non vanno meglio. Il 60% degli intervistati è convinta che meno del 50% degli immigrati abbia un lavoro.
E gli immigrati albanesi in Italia, come sono usciti da questo sondaggio? Decisamente con le ossa rotte, anche se gli altri non hanno molto da ridere visto il contesto generale. Innanzi tutto, sono menzionati solo nelle risposte alle domande negative. In quelle positive non appaiono o comunque non risultano tra i primi nelle graduatorie delle risposte. Ecco un esempio. “Quali sono i meglio integrati nel nostro Paese?”. A questa domanda il 17% risponde “i cinesi”, il 12% “i filippini”, il 10% risponde “i brasiliani”, e così via. Stranamente, ma poi non tanto, gli albanesi vengono percepiti come i più numerosi tra le etnie presenti in Italia. Lo pensa il 66%. Subito dopo vengono cinesi, rumeni, marocchini, ecc.
Ci sono due momenti inquietanti per gli albanesi nel sondaggio. Il primo quando si elencano una serie di aggettivi (pericolosi, simpatici, lavoratori, scansafatiche, furbi, inaffidabili, umili, pacifici, permalosi, precisi) e si chiede: “Se Le dico questo aggettivo, a quali immigrati lo associa?”. Gli albanesi vengono associati all’aggettivo “pericolosi”, ma anche “permalosi”. Va leggermente meglio per i rumeni che sono solo “scansafatiche” e “inaffidabili”, mentre i cinesi totalizzano il massimo: “lavoratori” e “precisi”. L’altro momento angosciante è quando il 42% risponde “gli albanesi” alla domanda “Chi le fa più paura?”. Seguono i rumeni e marocchini, ma il primo posto spetta agli albanesi.
Che la percezione degli immigrati in generale e degli albanesi in particolare sia del tutto sbagliata ed essenzialmente drogata non c’è bisogno di ribadirlo, visto che quasi tutte le risposte non coincidono con la realtà. Ciononostante, il sondaggio ci deve far riflettere. È vero che il mito negativo degli albanesi è cresciuto grazie alla rappresentazione mediatica, alle generalizzazioni facili, ai pregiudizi insensati, agli stereotipi persistenti; ma è altrettanto vero che si era di fronte ad una opinione pubblica piena di ansie e insicurezze per il futuro, dunque facilmente impressionabile.
Questo ha fatto sì che negli anni gli albanesi diventassero il parafulmine ideale di un nervosismo sociale strisciante e nello stesso tempo un vero motore del circolo vizioso che si è creato tra i media e l’opinione pubblica. Ovviamente, non si può negare che la benzina non è mai mancata a questa macchina manipolatrice, il cui serbatoio è stato sempre pieno, principalmente a causa dei delitti e dei misfatti commessi da alcuni immigrati albanesi. Ad ogni modo, le percentuali dei reati compiuti – condannabili fino in fondo e senza nessuna esitazione – non riescono a spiegare il rigoglio dell’immagine negativa.
La stigmatizzazione degli albanesi ha raggiunto il suo apice con il massacro di Novi Ligure (21 febbraio 2001), quando una adolescente italiana accusò gli albanesi per l’omicidio di sua madre e del suo fratellino. Erica non riuscì a deviare le indagini delle forze dell’ordine e l’indignazione iniziale antialbanese per fortuna non si trasformò in una caccia alle streghe. Il caso emblematico di Novi Ligure segnò il momento in cui il mito, convinto della sua onnipotenza, si mise il bastone tra le ruote, inciampando proprio al culmine della sua esuberanza. È probabile che quel caso scioccante abbia segnato inoltre una specie di svolta nella rappresentazione mediatica degli albanesi. Fatto sta che la pressione dei media nei confronti degli albanesi cominciò a scendere, mentre articoli, titoli e sottotitoli sugli albanesi si spostarono verso le ultime pagine dei quotidiani. Nel frattempo i casi positivi presero più forza. Gli schermi televisivi e le riviste patinate ospitarono generosamente artisti, ballerini e calciatori albanesi. Le voci ottimistiche per un cambiamento definitivo dell’immagine degli albanesi aumentarono a dismisura.
In questo contesto si sono sviluppati alcuni eventi importanti per l’immagine degli albanesi. Il caso più recente è quello di Novara, il 15 maggio 2007, quando tre giovani albanesi sequestrarono un pullman pieno di passeggeri. Un delitto senza precedenti e non solo per gli albanesi. Il caso di Novara va ancora analizzato, ma non ci vuole molto per capirne la gravità: per la prima volta gli albanesi sono stati associati al “terrorismo” e al “satanismo”, anche se alla fine le ipotesi risultarono infondate. Tale delitto, in un certo senso, ha svegliato il mito dal suo sonno leggero, dando ragione a coloro che, senza voler essere Cassandre, non erano d’accordo con l’ottimismo infantile, ma comprensibile, di alcuni che vedevano l’immagine albanese ormai completamente restaurata.
Come se non bastasse si è aggiunta la storia dell’orologio di Bush. Che sarebbe stata una bufala o notizia dilettevole, se non fosse capitata in un periodo difficile per l’immagine degli albanesi nel mondo. Quasi tutti i media del mondo si sono affrettati a dare la notizia del furto dell’orologio dell’uomo più potente del mondo durante la sua visita in Albania. L’ironia della sorte si è mostrata proprio nel momento in cui gli albanesi volevano far vedere a tutti che non erano come i media li mostravano. Il danno è arrivato insieme alla beffa, poiché le smentite sulla falsità della notizia dell’orologio non hanno avuto, come sempre succede, lo stesso spazio. Ma anche se l’avessero avuto, ormai la frittata era fatta. La notizia era di quel tipo a cui le smentite, che appaiono sempre doverose e scontate, danno solo la forza di crederci ancora. Per di più il furto dell’orologio non è che andava contro una “certa opinione” sugli albanesi. Anzi.
Il sondaggio sopraccitato dimostra che l’immagine mediatica fa ormai parte del corpo sociale. Il mito nato e cresciuto nei media si è alla fine adattato alla società, cambiando struttura e Dna. È successo quello che si spera non succeda mai all’influenza aviaria. E malgrado alcuni albanesi siano finiti sugli schermi occidentali, purtroppo ciò non ha portato alla disintossicazione dell’opinione pubblica. Il meccanismo dell’eccezione, ossia quello che considera tutti gli immigrati albanesi come eccezioni positive in un ambito totalmente negativo (del tipo “Tu non sembri albanese”, “Tu non sei come gli altri”), non tentenna facilmente; il mito non si commuove nemmeno di fronte alla retorica vuota, le lacrime facili, l’orgoglio malato, l’autocompiacimento, ecc., che hanno accompagnato le piccole stelle nel firmamento mediatico occidentale.
Appurate le responsabilità degli altri, cosa debbono fare gli albanesi? Se da un lato ci sono elementi comprensibili e/o giustificabili come l’orgoglio rinato dopo anni di frustrazione, gli applausi per uso e consumo interno, l’intenerimento per qualsiasi balbettante in albanese, le onorificenze inflazionate e demodé, la tachicardia dopo ogni delitto senza autore, l’aggrapparsi dietro miti romantici…; dall’altro lato ci sono cose che non si comprendono facilmente, come l’ingenuità con cui gli albanesi vedono talvolta il mondo e se stessi, la schizofrenia tra il ruolo della vittima e quello del supponente, oppure la leggerezza insostenibile con cui trattano i problemi gravi. Eppure la via d’uscita non è lontana. Sta nella normalità del quotidiano, nei valori nuovi e tradizionali, senza j’accuse pomposi o sensi di colpa, senza eccessi di qualsiasi genere. Basta un po’ di dignità e serietà. Che agli albanesi, di certo, non mancano.