Primo, Secondo...Terzo mondo
11.09.2007
In coda e una forte sensazione di claustrofobia. E la voglia di dimostrarsi il più adatto per lavorare ''nei loro paesi''. L'ultimo dei racconti che abbiamo tradotto dalle code dei visti
Davor Radulj, Kučevo
Traduzione a cura di Antonia Pezzani
È la prima volta che mi trovo in questa situazione, e posso già dire che non mi piace. Non mi sento a mio agio nella ressa, e questa fila diventa sempre più lunga. Piove gente da tutte le parti, mi fanno pensare a delle cavallette che si apprestano a razziare il loro campo di grano preferito; spuntano da viuzze anguste, a passi brevi e veloci; atterrano con il paracadute, come commandos ben addestrati balzano al loro posto; sbucano dai tombini, come le migliori spie, tastano il terreno, e si tirano fuori scuotendosi via lo sporco con nonchalance dai vestiti, ordinano un drink con il martini, ma non shakerato, e si mettono in fila. Ci sono alcuni, che ritornano dalle botteghe, con in mano una borsa con filoni di pane e litri di yogurt, tentando la sorte di nuovo e contando di non svenire questa volta dallo sfinimento. Un odore sgradevole si propaga per la fila, credo venga da questi due anziani signori dagli abiti sbiaditi e cenciosi che si sono messi in fila per sbaglio, illusi che si distribuissero aiuti umanitari. Le persone si scansano (e io faccio uguale), provano a spiegarglielo, a bassa voce all'inizio, poi con gesti delle mani e alzando il tono di voce, alla fine, sto a guardarli mentre li scacciano dalla fila. I vecchi, smarriti da tutta la situazione, mormorano qualcosa che somiglia a una scusa, che la gente in fila non comprende, e si allontanano, curvi, per la via.
Sono nervoso, esco dalla fila e respiro un po' di aria fresca, ritorno, la mia mossa ha infastidito molti, mi guardano dall'alto. E sui loro visi in genere c'è una smorfia di odio e disprezzo, e non potrebbe essere altirmenti, in questo momento sono il loro avversario. Mi chiedo sempre come mai, nonostante siano pieni di speranza quando stanno in questa fila, pieni di fantasticherie di un'imminente vita migliore, riescano a partorire cupi pensieri, cupe parole...Lotta per la vita nuda e cruda. La maggiorparte arriva qui con la teoria che non possono passare tutti, che solo a una piccola parte di prescelti sarà concesso ciò che desidera, e gli altri...ritorno a una vita meschina. Da qui la paura, l'invidia, l'odio perfino, che serpeggiano per questa fila, i molteplici tentativi di intrufolarsi nel pensiero altrui, con l'intento di svelare un oscuro segreto del passato, per diminuire le possibilità dell'avversario, per bisbigliare passando, sfruttando una disattenzione della massa, l'orribile verità al funzionario d'ambasciata, per fare fuori il mostro dal gioco. Come il nonnetto con i baffi, col cappotto scuro, tutto tremante. Gli altri credono sia per il freddo. Sbagliano. Muore dalla voglia di denunciare qualcuno, di fare la spia, si vede che si è molto preparato per questo, che è studioso, analitico, può essere che presenti pure prove documentarie, non è un pappamolla come pensa la gente, senza risorse, glielo farà vedere. 'Professionalità prima di tutto, signore,' pronuncerà fieramente all'ambasciata, per dimostrargli che è lui l'uomo giusto per il loro paese, che sarà un bravo lavoratore, obbediente e uomo valente, forse perfino per un lavoro statale, se solo fosse padrone della loro lingua, cosa che più di tutte lo preoccupa, ma a loro non ne farà parola. Qui basta il minimo sbaglio e non ti prendono. 'Però, come avere un contatto più ravvicinato con qualcuno degli impiegati, come penetrare quelle maschere di ghiaccio sui loro visi? Con un punteruolo per il ghiaccio, come Sharon Stone? No, così proverei solo il loro benessere carcerario, e nient'altro. Da cosa dipende questa freddezza nei nostri confronti? I lineamenti del viso rasentano la crudeltà, come se non li avessimo accolti amichevolmente, come dei nostri. Che non gli piacciano i miei baffi? Gli taglio appena arrivo nel loro paese. Forse odiano il loro lavoro, il fatto che li hanno spostati qui, in un paese del Secondo mondo, Terzo...Quinto...Com'è che fin dalla prima classe mi hanno insegnato che il pianeta Terra è un mondo abitato da tutte le genti? Avevo anche preso un quattro dalla maestra di geografia, quando mi aveva fatto uscire alla cartina del mondo. Mi aveva chiesto di mostrarle dove vivono gli inglesi. Che ne so, le avevo risposto, se qui non ne vedo neanche uno. Torna al posto, mi aveva gridato e mi aveva decorato con una nota sul registro. Francamente, ero preoccupato, non vedevo l'ora di allontanarmi dalla cartina che aveva srotolato da un congegno cigolante, che stava appeso quasi al soffitto. Dondolava sinistro e minaccioso, e ogni volta che ci andavo vicino pensavo, che se si fosse inspiegabilmente sganciato mi sarebbe caduto il mondo in testa e... non sarebbe rimasto più niente di me. Che cose ci hanno insegnato! Un mondo, certo, come no! Non è una sorpresa che poi dovessi ripetere geografia ogni anno. Eh, se non passo questa volta, faccio causa allo stato per il sapere erroneo che mi hanno inculcato in testa. Mi servirà un avvocato, mmh, la cosa migliore sarebbe contattare Toma Filu, lui è sempre in disputa con lo stato. E poi perché dovrei aspettare, in effetti, atterreranno gli americani su Marte prima che parto per l'Inghilterra!'
- Ne ho fin sopra i capelli, dichiarò il nonnetto con i baffi in protesta, e uscì dalla fila.
La gente lo fissò allibita. Io no.
- Il signore ha ragione, sbottò un giovane con gli occhiali, molto probabilmente studente di elettronica o meccanica, ci trattano come se fossimo, non so, chissà cosa. E ci guardano con quei volti di pietra! Come se ci scrutassero dentro, a volte ho l'impresione che abbiano installato un chip in testa, direttamente collegato alla base M16 a Londra dove seguono attentamente ogni nostro passo. Se mettiamo la gamba destra allo stesso modo della sinistra, da matti! Ho perfino sentito da un amico che nelle grandi città hanno collocato schermi giganteschi e i cittadini guardano queste code tutti i giorni e votano chi accogliere nel loro paese, e chi no. Vi immaginate! E se, per caso capita, che non piaccio a una tale Jane Austen, e ancora peggio, questa ha una famiglia numerosa e un mucchio di amici? Lì non ci sarà verso di arrivarci, mai!
- Sì, si intromette una voce, e se invece vai a genio a un tipo come Hugh Grant? Se la rise, e con lui l'intera fila.
Il giovane arrossì di vergogna, balzò fuori dalla fila e si dileguò per strada, senza rendersi conto che con quel pensiero la sua fantasia era straripata. Video schermi, chip...Elettronica, nessun dubbio.
La gente incominciò a sfregarsi i palmi delle mani non tanto per il freddo, era piuttosto una gioia velata per l'infiacchimento della concorrenza. Ciascuno ritornò di nuovo alla propia matematica interiore di preventivi, scrutando di tanto in tanto l'edificio dell'ambasciata, il sacrario, l'alfa e l'omega delle loro vite, quel portale spaziale che nell'istante del sigillo ufficiale, li avrebbe trasposti nello stato sospirato. Hey, in un solo colpo! Come nei film di fantascienza, perché no, non potrebbe capitare il miracolo, che uno si ritrovi nel luogo in cui, senza tante cerimonie, attendere il principio di una vita migliore, o se non altro averne una prospettiva autentica, una vita futile?
Lo spostamento della fila mi dava i nervi, non riuscivo a stare al mio posto tanto quanto avrei voluto. Proprio quando incominciavo a sentire il calore diffondersi, cominciavano il brulichio, gli spintoni, i calci, gli strattonamenti: 'Andiamo e muoviti...su!'
Di colpo mi venne così freddo che fui costretto a uscire dalla fila alcune volte, per stirarmi gli ossicini, fare alla svelta un paio di passi per riscaldarmi, respirare un po' d'aria senza l'odore della gente d'ogni genere che mi attorniava. Gettavo occhiate alla fila di persone alle mie spalle, puramente per vedere quanta gente si fosse raccolta, se ci fosse qualcuno di interessante tra quelle persone. E veloce ritornavo, per non perdere il posto. La cosa, probabilmente, deve avere dato molto fastidio al tipo che mi seguiva e quello mi ha dato un pestone. Di proposito o no, mi fece comunque così tanto male che sono diventato verde dal dolore. Urlai e saltellai perfino per alcuni secondi fino a che il dolore non si mitigò.
- Così si fa...stava proprio diventando una seccatura!
- Dimmi se è normale!
- Gente, che vi prende, calmatevi...comportiamoci civilmente!
Si alzarono ovunque frecciatine, urla, insulti, minacce, la massa si agitò, la gente incominciò a perdere la pazienza. 'Le forze vengono meno, supposi, e aumenta il tormento.' Sbottavano, si ribellavano, alzavano la voce, era un'ottima occasione per buttare fuori tutta la sofferenza, a costo anche di finire in una rissa. Sentivo che sarebbe potuto accadere, che l'aria era elettrica e che l'esito, dipendeva dalla mia reazione. Dalla mia e dalla sua. Aspettavano tutti che gli dessi addosso o mi facessi da parte. Sentii il dolore svanire e, a dire la verità, non ero in vena di combinare guai. Li capivo, erano in una situazione difficile, sapevano che solo poche persone avrebbero potuto sentirsi come si sentivano loro in quel frangente, tanto meno aiutarli a superare l'intera cosa. Mi calmai poco a poco, e così gli altri.
Lei uscì dalla porta dell'ambasciata con il sorriso sulle labbra.
Finalmente.
- Il visto...VIS-TO!
Sventolò alto il passaporto sopra la testa, guardando me, indubbiamente, con lo sguardo colmo d'amore. Gli altri non li vedeva nemmeno.
Mi si avvicinò
- Vieni...vieni, cucciolo mio...vieni dalla tua mammina...Su! Cooosì...tesorino mio.
Mi baciò teneramente sulla bocca, uh, se puzzava. Era stata di nuovo a bere whisky nell'ufficio dell'ambasciatore. Ecco perché si era trattenuta tanto. Negli ultimi tempi beve parecchio, ma che c'entra, io l'amo molto comunque. Mi si appoggiò contro con la sua pellicia di visone e io mi sentii beato. Incominciai a leccarle il viso e a mugolare di felicità.
- Ma sei gelato, amore...Vedi cosa ti succede a non voler entrare con mami, che ti sarà preso poi, vai a saperlo? Vedi! Ti sei fatto male, eh, eh, non ti preoccupare piccolo mio, se ne occuperà mammina quando arriviamo a casa. Scusa se hai dovuto aspettare tanto, sono stata trattentuta da alcune persone ma, ecco, andiamo in Inghilterra, piccolo mio! Poi magari facciamo un saltino in America, ti va? Penserà a tutto la mamma, non ti preoccupare. Vedrai che ti piacerà.
Certo che sì, e se era vero che lì erano pieni di rispetto per noi, cocchi di casa, e nelle città ci costruivano appositi holtel, di sicuro non avrei patito molto la nostalgia di casa. Anche se, a me piaceva anche qui. La mia mami è una personalità importante, anche se non so bene di cosa si occupi, so che viviamo bene. Non patiamo mai il freddo né facciamo le file. Casa nostra è perfino più grande dell'edificio dell'ambasciata. E oggi...beh, è stata colpa mia se mi sono fatto prendere dai passeri e non sono entrato con lei.
Lanciai uno sguardo alle persone in fila, con l'intento di fare ciao, per salutarli. Ma mi è parso che non fossero in vena. Fissavano silenziosi noi due, sconvolti, increduli, e poi abbassata la testa si rivolsero verso l'ingresso dell'ambasciata aspettando qualcosa che, può darsi, gli sarebbe toccato in sorte. Capivo come si sentivano, mi dispiaceva un po' per loro, ma non potevo farci niente. Mi sentii riempire il viso di vergogna e affondai la testa nella pelliccia della mia mami.