Di Vanja Filipovic e Kurt Bassuener*, per Transitions Online, 25 luglio 2007 (titolo originale: “Bosnia: Mayor With a Plan”)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta
Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina – La riforma costituzionale resta uno dei principali impegni in agenda per la comunità internazionale e per i partiti politici della Bosnia ed Erzegovina. Le élite politiche locali stanno preparando le loro posizioni per una nuova tornata di negoziati che potrebbe dare vita ad un nuovo ordinamento costituzionale. Da parte internazionale, al di là del “pacchetto di aprile” che si è arenato lo scorso anno al Parlamento bosniaco, c'è un vuoto di proposte e di linee guida.
Il Primo ministro della Republika Srpska (RS), Milorad Dodik, vorrebbe un modello costituzionale che riorganizzi il Paese in tre unità federali, con la RS immutata rispetto a com'è ora. Bisogna ricordare che l'aggettivo “federale”, nel contesto post-Jugoslavo, comporta l'implicito diritto alla secessione.
Questa proposta in sostanza dividerebbe ulteriormente il Paese lungo linee etniche e rafforzerebbe il potere e l'autonomia delle unità territoriali “federali”. Come possibile contropartita, la leadership della RS ritornerebbe sulle fallite riforme del 2006, che erano intese a rafforzare il governo centrale. Ma non acconsentirà a trasferire altri poteri dalle due entità del Paese, la Republika Srpska e la Federazione croato-bosgnacca di Bosnia ed Erzegovina, al livello statale.
Divide et impera
I principali partiti croato bosniaci stanno preparando una proposta congiunta che dividerebbe il Paese in territori rispettando princìpi “etnici, economici, culturali, storici, e altri”. Come l'idea di Dodik, con cui ha molto in comune, questa proposta richiederebbe una nuova divisione del Paese, e quasi certamente ai negoziati non avrebbe successo.
La leadership politica bosgnacca (bosniaco musulmana), divisa tra il Partito per la Bosnia ed Erzegovina e il Partito per l'azione democratica, ma essenzialmente personificata da Haris Silajdzic, il rappresentante bosgnacco nella presidenza tripartita, non ha ancora proposto un piano serio e dettagliato per le riforme costituzionali, limitandosi piuttosto a criticare gli altri approcci.
Tutte e tre i raggruppamenti politici su base etnica hanno perciò dimostrato di continuare a vedere i livelli intermedi di governo – entità e cantoni – come il centro del potere politico e fiscale, a spese dell'amministrazione locale e del governo statale. Le proposte dei loro leader rivelano mancanza sia di realismo che di pensiero creativo.
Eppure, stando ad un nuovo studio del Programma di sviluppo dell'ONU, i bosniaci d'ogni tipo hanno una fame di cambiamento del sistema politico che, ancorché non ben definita, è maggiore di quella mostrata dai loro rappresentanti eletti. C'è una chiara discrepanza tra le opzioni che i politici propongono e quelle che i loro elettori vedrebbero favorevoli ai propri interessi. Questo non deve sorprendere, dato che l'attuale sistema di Dayton fu costruito proprio attorno all'attuale classe politica ed espressamente a suo beneficio. E con gli incentivi politici intrinseci di Dayton per la divisione e l'omogeneizzazione i politici hanno mano libera, di fronte ad una cittadinanza scoraggiata che ha poche speranze di riformare la società attraverso la politica.
Innovazione dal basso
Una persona che sta rompendo questo schema è Zdravko Krsmanovic, sindaco di Foca, un piccolo centro nella Republika Srpska orientale. Krsmanovic invoca un modello costituzionale notevolmente innovativo, la “municipalizzazione”, che si basa sull'idea che il Paese necessita di due soli livelli di governo, quello municipale e quello statale. La premessa è che il governo locale è il più adatto a provvedere ai bisogni dei suoi residenti, ed è l'unico livello in cui essi possono esprimere facilmente le loro istanze al di fuori del ciclo elettorale.
Per fare fronte ai problemi dei residenti però, alle municipalità dev'essere data indipendenza finanziaria ed amministrativa, per gestire progetti, investimenti di capitale e operazioni di ordinaria amministrazione, liberi da intromissioni (e parassitismi) politici e fiscali da parte degli attuali livelli intermedi di governo – i cantoni e le entità.
Krsmanovic parla di municipalizzazione basandosi sulla sua esperienza a capo della municipalità di Foca, che ha attraversato cambiamenti importanti sotto la sua guida. Foca era un tempo considerata “il peggior caso di nazionalismo”, un rifugio sicuro per gli indiziati di crimini di guerra. In un momento in cui le tensioni etniche nel Paese sono ai livelli più alti dalla fine della guerra, Krsmanovic esibisce con orgoglio la stretta collaborazione da lui sviluppata tra la sua municipalità e la vicina municipalità di Gorazde, nella Federazione bosgnacco-croata.
Aree d'interesse comuni nello sviluppo economico e scambi sociali, culturali e sportivi hanno costituito delle solide teste di ponte che hanno permesso il superamento della divisione etnica postbellica tra le due città. Una tale cooperazione potrebbe anche spingersi oltre, con una maggiore autonomia e maggiori fondi municipali. Nell'esperienza di Krmsanovic, le tensioni etniche vere e proprie e le insicurezze sono state ridotte dall'impegno a livello locale – il livello di governo giudicato di gran lunga più favorevolmente dai cittadini bosniaci, e di cui essi si fidano maggiormente.
Secondo la visione di Krsmanovic, l'attuale struttura di governo – che consiste di governo statale, 2 entità, 10 cantoni e 142 municipalità è “irrazionale, inefficiente, ed economicamente insostenibile”. Questi molteplici livelli di governo pesano gravemente sulla economia di transizione della Bosnia. Il massiccio apparato burocratico predisposto ai livelli intermedi di governo manca di efficienza, trasparenza ed affidabilità.
Krsmanovic sostiene, per esempio, che il governo della RS ha sfruttato le ricche risorse naturali di Foca, come il legname e l'energia idroelettrica, senza restituire alcun provento alla municipalità attraverso investimenti di capitale. Nel frattempo i residenti locali devono fare i conti con strade dissestate e scuole ed ospedali fatiscenti.
Il sindaco ritiene che il primo passo nel riformare la costituzione della Bosnia dovrebbe essere quello di dare un ruolo maggiore al governo locale. Cita come modello la riforma municipale in Macedonia dopo l'accordo di Ohrid, che nel 2001 diede alla popolazione di etnìa albanese del Paese una maggiore influenza politica, e dichiara che la Bosnia dovrebbe ridurre il numero delle municipalità dalle attuali 142 a un più razionale 60-70. Chiede la creazione di una associazione di municipalità che copra l'intero Paese e che abbia un collegamento diretto col Consiglio dei ministri, e che dia vita infine ad un ministero per l'Autogoverno locale.
Un sindaco caparbio
Forse a causa del suo candore sulla questione del potere centrale in Republika Srpska, Krsmanovic è stato recentemente preso di mira con un referendum contro la sua riconferma. Egli non ha dubbi che questa manovra sia stata orchestrata politicamente a Banja Luka, come parte di una strategia per rimuovere i sindaci ritenuti “dissidenti" o difficili da controllare dalla capitale.
Inoltre, la maggioranza dei politici della Republika Srpska si oppone ad ogni discussione sul cambiare la struttura di Dayton basata sulle entità. Visioni dissenzienti a questo approccio non sono tollerate, specialmente quando vengono da politici di basso livello della RS come Krsmanovic.
Sfortunatamente “i sindaci in Bosnia hanno un'autonomia di potere scarsa, se non nulla”, secondo l'ex vice Alto rappresentante Donald Hays. Le loro idee e le loro proposte non riescono a raggiungere il pubblico più vasto perché i principali partiti politici hanno monopolizzato l'accesso ai media di maggiore diffusione. Secondo Hays, il tentativo di creare un'associazione nazionale dei sindaci, che si occupi di problemi funzionali come l'utilizzo del territorio, i diritti sulle acque, l'istruzione, i servizi sociali e gli investimenti, è stato soffocato perché un simile organismo avrebbe minacciato le prerogative delle alte sfere dei partiti.
Per spezzare la soffocante stretta dei leader di partito sul dibattito costituzionale, la comunità internazionale deve fare uno sforzo attivo per sostenere quei leader le cui voci sono represse o soffocate dalla disciplina di partito. L'interesse della comunità internazionale sta nell'assicurare che la Bosnia si liberi della camicia di forza della costituzione di Dayton, che ostacola non solo la stabilità del Paese e la sua autosufficienza, ma anche la sua integrazione nell'Unione Europea e nella NATO.
Il nebuloso ruolo dell'UE
Krsmanovic pensa che il processo di riforma in Bosnia abbia fatto dei passi indietro a causa della recente mancanza di una linea precisa da parte della comunità internazionale, e del suo non voler ricoprire quel ruolo guida cui essa deve invece assolvere, almeno finché la Bosnia rimane sottoposta all'attuale costituzione di Dayton. L'UE in particolare ha un potere che ancora non ha utilizzato, quello di definire concretamente quale tipo di Bosnia è disposta ad accettare nel gregge. Restando sul vago, l'UE lascia l'iniziativa a quelli che vogliono mantenere l'inefficiente status quo o riportare ancora più indietro l'orologio, al moribondo periodo dell'immediato dopoguerra.
Sotto la nuova leadership dell'Alto rappresentante Miroslav Lajcak, la comunità internazionale deve impegnare molta più creatività ed energia per immaginare delle strutture che possano davvero funzionare. Se l'obiettivo è lo sviluppo della Bosnia in uno Stato di livello europeo, efficiente ed autosufficiente, che possa fornire dei servizi ai suoi cittadini, allora bosniaci come Krsmanovic – e le loro idee – meritano la nostra attenzione.
*Vanja Filipovic è un analista politico indipendente che vive a Sarajevo. Kurt Bassuener è membro del Consiglio per le politiche di democratizzazione. Ha ricoperto l'incarico di analista strategico per l'Ufficio dell'Alto rappresentante nel 2005 e 2006