Si è da poco concluso il Festival del film di Locarno. Come era accaduto a Cannes, grande attenzione per la cinematografia rumena, a partire dal restauro del lungometraggio ''Indipendenta Romaniei'', del 1912
Prima di “Quo vadis?” di Enrico Guazzoni (1913), di “Cabiria” di Giovanni Pastrone (1914) e di “Nascita di una nazione” di David W. Griffith (1915) c’era “Indipendenta Romaniei”. Era il 1912 e il coraggioso e giovane Grigore Brezeanu realizzò un film per i 35 anni della vittoria del Regno di Romania contro l’Impero Ottomano. Fu il primo lungometraggio della storia del cinema, a lungo dimenticato e creduto perduto, anche perché il produttore Leon M. Popescu, spinto dalla disperazione per il fallimento economico dell’operazione, ne bruciò pochi anni dopo una copia insieme ad altri suoi film.
La pellicola è tornata d’attualità al 60° Festival di Locarno svoltosi dall’1 all’11 agosto. Nel concorso internazionale della prestigiosa vetrina svizzera c’era “Restul e tacere – Il resto è silenzio” (il titolo deriva da un verso dell’Amleto sheakespeariano) di Nae Caranfil, che fa rivivere in maniera divertente l’avventura di quella grande produzione, il primo kolossal di celluloide. Occasione perfetta per presentare il restauro - eseguito dal Centro nazionale per il cinema e l’Archivio nazionale dei film per il 95° anniversario dell’opera - di quel che resta di “Indipendenta Romaniei”.
In origine durava oltre due ore. Nel Teatro di Locarno, con accompagnamento al pianoforte dal vivo, ne è stata proiettata un’ora e un quarto. Oltre che il primo lungometraggio fu anche la prima docu-fiction: per assecondare il re Carlo (che finanziò il film e – come racconta Caranfil – scelse l’attore che doveva impersonarlo sullo schermo), alla fine dell’epica ricostruzione storica delle battaglie del 1877 corrono le immagini dei festeggiamenti per il trentacinquesimo anniversario.
Se per limiti tecnici le battaglie erano riprese in un’unica inquadratura, colpisce la composizione del quadro: le riprese non sono quasi mai frontali con una valorizzazione della profondità di campo che sorprende.
Brezeanu (che affidò al padre Ion, nome di spicco del Teatro Nazionale di Bucarest, uno dei ruoli principali) firmò la regia con Aristide Demetriade, anche attore insieme alle grandi star di allora, come Aristizza Romanescu o Constantin Nottara. Tutti nomi che ritornano nel film di oggi, il più costoso (prodotto dalla Domino Film e dalla Cargo Film senza ricorrere a finanziamenti stranieri) del cinema rumeno contemporaneo: Caranfil ha aspettato vent’anni perché la sua sceneggiatura diventasse un film.
Il caso vuole che la riscoperta avvenga nell’anno d’oro della Romania con la doppia vittoria di Cannes di Cristian Nemescu (morto giovanissimo un anno fa appena terminate le riprese di “California Dreamin’ “, premiato nella sezione “Un certain regard”) e Cristian Mungiu (Palma d’Oro per “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni” in uscita italiana il 24 agosto).
Anche a Locarno la Romania ha vinto un premio, il Pardino d’oro per il miglior cortometraggio a “Valuri – Onde” di Adrian Sitaru, mentre il Pardino d’argento è stato assegnato a “Ich bin dran” del turco-tedesco Ismet Ergun.
Tornando a “Restul e tacere”, che sa ricreare l’epica, il coraggio e la sfrontatezza di quella sfida, è rimasto senza premi esattamente come lo scorso anno “Paper Will Be Blue”. Ma se il film di Munteanu aveva forse la “colpa” di essere claustrofobico e poco chiaro per chi non conosce bene i fatti del dicembre 1989 che ribaltarono il regime di Ceausescu, la pellicola di Caranfil ha pagato l’apparente leggerezza del tono.
Il film di due ore e mezzo, divertente e pensato per un pubblico largo, era tra i più belli dei 19 in concorso e avrebbe meritato qualcosa (o gli attori Marius Florea Vizante e Ovidiu Nicolescu o la fotografia) anche se “The Rebirth” del giapponese Masahiro Kobayashi è stato il giusto Pardo d’oro del sessantesimo. “Restul e tacere”, che sarebbe opportuno avesse una distribuzione italiana, sviluppa un discorso interessante sul cinema e sull’immortalità senza pomposità e intellettualismi, in modo comprensibile a tutti senza sminuire la riflessione.
Sempre la Romania completava la piccola rappresentanza balcanica con il documentario “Nu te supara, dar…” di Adina Pintilie (nessuna parentela con il grande Lucian), in gara nella sezione “Cineasti del presente”. Un esordio notevole, rigoroso e pudico nel ritrarre la vita di alcuni ospiti di un ospedale psichiatrico. Si apre con una frase di Sant’Agostino sul cogliere i momenti di felicità della vita, poi un’ora di piccoli gesti quotidiani. Un anziano che da quarant’anni sposta pietre da un punto all’altro del cortile e si interrompe solo per un gestaccio all’indirizzo dei compagni. Uno si sporca e il pannolone gli viene cambiato da un altro ricoverato che dà una mano agli inservienti. Due sempre in coppia discutono sul trascendente. La frase del titolo è l’intercalare che usano per contraddirsi. La sensazione è che la ricerca del divino si accompagni con la follia e solo chi si stacca in qualche modo dalla “normalità” sa guardare in alto: solo chi percorre instancabile con il sole e la pioggia quello spiazzo asfaltato tra i reparti può porsi davvvero i problemi grandi dell’esistenza.