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Albania, minoranze e identità
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Data pubblicazione: 03.09.2007 09:29

Quante e quali sono le minoranze presenti in Albania e come si affronta il tema delle identità nel Paese delle aquile? Di questo complicato tema abbiamo discusso con il noto scrittore e analista Fatos Lubonja
Qual è la situazione delle minoranze etniche oggi in Albania? Come vengono percepite all’interno della società albanese?

Penso che non sia tra le questioni più calde oggi in Albania. Le cause sono diverse, tra le quali soprattutto l’esistenza di problemi materiali di maggiore importanza, di sopravvivenza, che riguardano l’intero Paese, e i problemi sociali ed economici che la transizione ha comportato.

Tutto questo fa sì che il trattamento delle minoranze e la sensibilità nei loro confronti diventi un lusso di troppo, dato che le stesse minoranze sono anch’esse comprese in questa crisi.

Ma vi sono anche ulteriori cause quali ad esempio la possibilità di emigrare che ha permesso a molti di trovare una soluzione ai loro problemi lasciando il Paese. Inoltre, escludendo la minoranza greca che merita di essere trattata a parte, le altre minoranze etniche si presentano oggi numericamente esigue, in territori ristretti che non possono generare problemi, mi riferisco ai macedoni, ai serbi, montenegrini, o alle minoranze che non hanno uno stato come riferimento etnico, come i valacchi, gli jevgj (egiziani) o i rom che negli anni si sono sottoposti a un lungo processo di assimilazione.

D’altra parte bisogna vedere qual è il punto di vista della maggioranza e qual è quello delle minoranze: la maggioranza è poco sensibile e le minoranze sono poco attive.

Infine se vogliamo anche considerare altri tipi di minoranze come gli omosessuali il problema diventa ancora più grave poiché viviamo in una società dove per ragioni storiche e altri motivi dovuti al comunismo - ma non solo - è difficile affermare apertamente la propria identità: così essi vivono disorganizzati, e molti di loro sono emigrati. Quest'ultima è comunque senza dubbio la minoranza più discriminata.

Si parla molto del processo di assimilazione e di trasformazione del quadro etnico in favore dell’albanizzazione. Si tratta di un processo naturale o di un’albanizzazione forzata?


L’assimilazione è stato un fenomeno che ha interessato tutti i paesi balcanici essendo un processo avviato dall’emergere dei nazionalismi balcanici nel XIX secolo quando l’appartenenza etnica veniva ad assumere particolare importanza.

Le forme di assimilazione sono diverse, e si differenziano tra loro anche a seconda dell’appartenenza etnica, e dal tipo di gruppo etnico. In Albania bisogna distinguere due fasi: il periodo di re Zog, e poi il periodo del comunismo che costituisce anche la fase più lunga. In entrambe si nota una tendenza assimilatrice o escludente del diverso sempre accompagnata dall’assimilazione. Se si vuole vedere il fenomeno in base alle distinzioni etniche, diversa è stata la storia dei greci che hanno sempre costituito una minoranza dalle pretese territoriali, sostenuta da un forte stato nazionalista greco. E ancora diversa è stata ad esempio la storia dei valacchi che non essendo sedentari e non avendo uno stato di riferimento hanno sempre mostrato tendenze auto-assimilatrici più marcate, tanto che a volte vengono ad assumere il ruolo di prototipi sostenitori del nazionalismo albanese, e ancora diversa è la storia dei rom e degli jevgj che sono stati gruppi molto emarginati.

Generalmente nel periodo comunista si nota un’intensificazione dei mezzi aggressivi di assimilazione poiché lo stesso comunismo in Albania coincide in pieno con il nazionalismo, e manifestava costantemente una forte tendenza omogeneizzante, sotto due aspetti, sia nella formazione dell’Uomo Nuovo sia in senso nazionalista dove è stato persino eliminato il concetto di religione in nome dell’albanità.

Si esercitava una forte pressione omogeneizzante sulle minoranze, facendo uso sia di mezzi ideologici sia di altro tipo quali ad esempio lo spostamento di persone in tutto il paese, trasferimenti e persino cambiamenti dei nomi.

Da questa pressione si sono più o meno salvati i greci che, come ho già detto, sono stati sostenuti dalle politiche dello stato greco che è sempre stato più potente dello stato albanese sia in ambito economico, sia militare, sia per quanto riguarda il sostegno internazionale. E questo ha fatto sì che l’Albania trattasse sempre con cautela la questione dei greci. Un caso a parte lo costituiscono poi i macedoni a nord-est, e gli ortodossi di Scutari, serbi o montenegrini che non hanno mai creato problemi.

Tra le politiche di assimilazione quella che pare colpire direttamente l’identità etnica è quella del cambiamento dei nomi ...

Le politiche dei nomi hanno a che fare con tutta la storia del XX secolo in Albania, non solo in merito alle minoranze etniche. I nomi sono stati considerati come intrinsecamente legati all’identità. Si può ben dire che con la nascita dello Stato albanese una delle politiche dominanti è stata caratterizzata dalla forte tendenza anti-orientalista che mirava ad allontanarsi il più possibile dall’oriente, dalla Turchia, così come si è cominciato a purificare la lingua dai turchismi in nome della lingua pura, anche i nomi incominciarono a non essere più turchi, bensì albanesi o europei.

Mi riferisco alla tendenza orientalista come la intende Edward Said, che taglia nettamente in bianco e nero l’oriente dall’occidente, dove l’oriente è il nero, il buio, il male, e l’occidente è il bianco, la luce, il bene. Il nazionalismo albanese è sempre stato caratterizzato dalla tendenza a modernizzare, a europeizzare l’Albania, per distaccarsi da 500 anni di oscurantismo turco, e tutta questa mitologia nazionalista ha influenzato anche nel cambiamento dei nomi.

Ai tempi di re Zog vi fu un’esplosione del nome Wilson, e poi ai tempi del comunismo il fenomeno è diventato ben più chiaro con una dinamica più marcata; sono incominciate le influenze sovietiche, i nomi come Vladimir, Marenglen (un acronimo composto da Marx, Lenin, Engels) e poi negli anni ’60 e ’70 abbiamo il periodo dei nomi illiri, una politica indirettamente applicata anche alle minoranze.

Quando poi è cominciata la campagna anti-religiosa non erano più ammessi i nomi religiosi, e non sono stati risparmiati neanche i toponimi, ad esempio Shen Vasiu, è diventato Perparim (progresso in albanese). Tra l’altro la tendenza a cambiare nomi in Albania continua tuttora ad essere abbastanza forte.

Il rispetto dei diritti delle minoranze costituisce una questione importante nel dimostrare la maturità democratica dell’Albania. Come si potrebbero definire le politiche dello stato albanese in tal senso?

Lo stato albanese non ha avuto problemi rilevanti tranne che con la minoranza greca. Per quanto ne so la legislazione albanese riguardo le minoranze è all’altezza degli standard internazionali sul rispetto e sulla protezione dei diritti delle minoranze. Non si può assolutamente dire che abbia delle tendenze aggressive poiché è uno stato debole, persino il suo nazionalismo, nonostante rimanga una tendenza dominante, si presenta molto debole, a causa della povertà, della massiccia emigrazione.

E’ uno stato che in genere si è mostrato molto ubbidiente alle istruzioni occidentali, ovviamente si tratta di un’obbedienza tutta da analizzare. L’Albania oggi è quasi un mezzo protettorato dell’occidente a causa della debolezza politica e dell’incapacità di assumersi delle responsabilità.

Il mito dell’Occidente, lo slogan “Stiamo andando verso l’occidente” è molto utilizzato quando si aspira al potere politico, e anche nei conflitti di politica interna. Ma la convinzione dominante è la vecchia mentalità albanese imbevuta di nazionalismo, l’idea di un’Albania etnicamente pura, che noi siamo albanesi, e gli albanesi sono una razza pura, che considera gli stranieri come qualcosa di impuro basandosi sul mito di omogeneità del paese e altri miti nazionalistici.

I greci sono i più complessi con cui relazionarsi poiché sono la minoranza numericamente più rilevante insediatasi in determinati territori, e che si riferisce a uno stato greco in cui vi sono ancora dei circoli che tuttora covano pretese territoriali nell’Albania meridionale.

C’è da dire che il nazionalismo albanese ha sempre considerato come un proprio elemento intrinseco il nemico greco inteso come minaccia. Mentre il nazionalismo greco e quello serbo sono nati con l’idea del nemico turco, il nazionalismo albanese si è nutrito molto del principio di difesa del territorio albanese dai greci e dai serbi - in questo caso intendo il Kosovo - così che la sensibilità davanti a quelle che vengono definite ambizioni greche si è costantemente manifestata nella politica albanese e nella mentalità della gente, animando sempre forti polemiche ad esempio su quanti sono i greci e quanti gli albanesi in Albania e sull’idea di identificare tutti gli ortodossi con l’essere greci.

Ma non è solo questo il punto. Tutti sappiamo che molti albanesi meridionali sono emigrati in Grecia, vi lavorano, per sopravvivere hanno dovuto cambiare i propri nomi. La cosa è diventata molto complessa in Albania perché gli appartenenti alla minoranza greca, essendo l’Albania un paese povero, hanno sempre sognato che la loro salvezza sarebbe stata il distacco dall’Albania e l’annessione alla Grecia. D’altra parte la Grecia è economicamente molto presente in Albania, vi sono numerose banche greche, fatto che spesso viene politicizzato dicendo “l’Albania è stata venduta ai greci”.

Una questione molto controversa è Himara, una delle regioni più belle della costa meridionale albanese che si auto-considera abitata dalla minoranza greca. Negli ultimi mesi il sindaco Vasil Bollano ha persino dichiarato che Himara va considerata come il Kosovo e merita lo status di autonomia dallo stato albanese. Ma lo stato albanese e gli studiosi si oppongono a tale considerazione ritenendo che gli abitanti si dichiarano greci per puro opportunismo.

Come va inserita Himara nel rapporto tra lo stato albanese e le minoranze nel suo territorio?

Oggi la percezione delle minoranze in Albania è strettamente legata al territorio dove una determinata minoranza si trova, non si basa sull’auto-percezione dei membri di una minoranza. È difficile pensare che uno possa vivere a Tirana e allo stesso tempo appartenere a una minoranza etnica. Da questo sorge la contraddizione di Himara, perché i suoi abitanti hanno sempre ritenuto di costituire una minoranza, mentre l’associazione tra minoranza e territorio li ha esclusi da questo status e gli albanesi di solito non accettano il fatto che Himara sia abitata da una minoranza greca.

Vi è un forte contrasto tra gli albanesi che cercano di scoprire prove toponimiche per dire che gli abitanti sono originari di Mirdita nel Nord d’Albania, mentre i greci sostengono che dato che la maggioranza della popolazione parla il greco, si tratta di popolazione greca.

In questo senso questa è la zona più calda, perché vi sono anche ambizioni economiche, il turismo albanese aspira a svilupparsi in quella zona, e gli abitanti sono molto conservatori, sono tra le comunità più organizzate da questo punto di vista, ad esempio non vendono le loro case.

In questa zona vi sono forti pressioni dello stato albanese ma vi è anche il sostegno dello stato greco, ad esempio la politica delle pensioni che lo stato greco offre agli abitanti di questa zona, e che francamente mi rimane una questione del tutto oscura.

Un’altra cosa che non ho mai capito è il termine “omogeneo” e non so chi abbia inventato un termine del genere, che trovo orribile, razzista. I greci dicono che questa zona è omogeneamente greca.

Da un anno a questa parte si è animata una polemica sulla percentuale delle minoranze in Albania, che secondo un gruppo di studiosi con a capo il professor Arqile Berxolli è lontano da quelle che sono le cifre ufficiali. Secondo questo studio sembra infatti che si tratti di più del 10% della popolazione. L’Accademia albanese delle Scienze ha reagito in maniera estremamente aspra, e si è molto speculato anche sul concetto piuttosto relativo di minoranza etnica e minoranza culturale. In egual modo sono sempre stati screditati tutti i tentativi di rimettere in discussione la versione ufficiale delle percentuali. Come spiega una tale reazione tanti anni dopo la caduta del nazional-comunismo?

In questa polemica ci sono molte contraddizioni perché essa non è sempre motivata dal bisogno di conoscere la reale situazione delle minoranze da parte della società albanese.

E’ una polemica politicizzata con forti tendenze nazionaliste scaturite da determinate esigenze e determinate politiche sia all’interno dell’Albania sia all’estero, per riformulare lo status quo attuale.

Non vi è solo una pretesa di censire nuovamente le minoranze, ma di inserirne di nuove.
Le richieste avanzate dai greci sono state negate dagli albanesi giustificandosi con il fatto che la necessità ha costretto molti albanesi a dichiararsi greci facendo sì che la percentuale sia artificialmente superiore e che la Grecia ha applicato politiche che riescono a modificare o ad assimilare l’identità albanese.

Vi è anche un’altra polemica interna, molto simile, su quali siano i rapporti percentuali tra le religioni in Albania. Questa polemica fa parte di una tendenza politica che vuol dimostrare agli europei che noi siamo più cristiani di quanto loro pensino perché ci sembra che così ci accettino più facilmente.

Le minoranze etniche tendono a ingrossare le loro percentuali per godere di più diritti e per vedersi parte di gruppi più consistenti, mentre lo stato albanese tende a limitare questa tendenza trovando anche il tacito consenso della maggioranza.

Tutto questo occorre affrontarlo poi attraverso lo strumento della “dichiarazione” perché alcune comunità è difficile definirle da fuori: tra queste ad esempio i valacchi che hanno una storia molto complessa e molto lunga e che sono stati sia repressi sia auto-assimilati, quindi la percentuale dei valacchi può cambiare notevolmente secondo quella che è la loro percezione di sé.

Bisogna vedere se si sentono più valacchi o più albanesi, e qui sorge il problema più grande perché tutti partiamo dal presupposto dell’esistenza di una sola identità, mentre nei Balcani si deve parlare di multi-identità, e i valacchi sono sia valacchi che albanesi, ma la costante preclusione dell’altra identità è uno dei problemi della politicizzazione dell’identità.

Inoltre i valacchi hanno sempre avuto un’identità molto debole, essendo un popolo di pastori che si spostavano continuamente e trovandosi in un ambiente dove era sicuramente più facile vivere se si era albanesi si sono trovati con un’identità ancora più vulnerabile. Indubbiamente si deve molto anche a un razzismo albanese che ha fatto molta pressione sui valacchi. Persino in un’opera di Kadaré si nota che è qualcosa che appartiene alla cultura albanese. In un passaggio mentre parla di alcuni membri del politbureau dice che erano valacchi, e quindi erano anti-albanesi, volevano il male dell’Albania.

A Tirana i valacchi venivano con disprezzo chiamati llaci-faci, perché così si diceva che suonava la loro lingua.

L’Albania è stata attraversata da molti pregiudizi rispetto il diverso. Non solo nei confronti dei valacchi ma ad esempio anche degli ortodossi che sono stati trattati come albanesi non buoni, agenti dei greci, e gli si attribuivano anche vizi e caratteristiche negative. Questa tendenza era molto evidente ai tempi del comunismo ma è stata un’eredità dei tempi di re Zog.

La storia dell’Albania è caratterizzata dal nazionalismo e dal mito “La religione dell’albanese è l’albanità” che è stato sfruttato sia da Ahmet Zogu sia da Enver Hoxha. Al contempo il comunismo era a sua volta una religione laica. I musulmani erano comunque la maggioranza della popolazione ma gli ortodossi al sud sono sempre stati la parte più civilizzata del paese dato che è stata la parte più a contatto con il mondo esterno, lo stesso movimento comunista è nato al sud, tanto che Koco Tashko uno dei fondatori del partito ad un certo punto confessa: “Enver Hoxha l’abbiamo promosso nel partito perché era musulmano e a noi serviva un musulmano, quindi in qualche modo ciò ha fatto sì che con gli ortodossi il regime fosse più clemente. D’altra parte del comunismo bisogna rilevare anche il suo aspetto positivo, mirando all’internazionalismo in qualche modo ha lottato contro il razzismo e le distinzioni, tanto che l’appartenenza etno-religiosa delle persone non è stata determinante nell’avere successo o nella promozione delle persone, eccezione fatta per i cattolici. Bastava essere membri del partito e aver partecipato al movimento di liberazione.

La revisione delle statistiche ufficiali è comunque necessaria?

La revisione è necessaria, ma andando al di là della politicizzazione tra le minoranze e le maggioranze, e i vari raggruppamenti. Semplicemente per conoscere la situazione di questa società e per rendersi conto che è impossibile essere omogenei e che abbiamo molti tipi di identità. Ma non dev’essere visto come un mero censimento su quanti siano greci e quanti albanesi, perché bisogna mettere in evidenza la multi-identità e la convivenza delle diverse identità degli individui o delle famiglie. E’ una questione molto complessa che se politicizzata rischia piuttosto di aggravare i problemi invece di risolverli. Ma qui si tende principalmente a politicizzare, a escludere, a ridurre e a far aumentare, senza volere veramente conoscere la realtà.