Una manifestazione nata l'ultima estate dell'assedio e cresciuta fino a diventare il principale luogo d’incontro del cinema del sud-est Europa e non solo. A Sarajevo apre la tredicesima edizione del Film Festival
I debuttanti dello scorso anno lasciano il posto ai lavori di registi che hanno già all’attivo qualche film. Oggi (venerdì) si apre a Sarajevo il 13° Film Festival, la manifestazione nata nell’ultima estate dell’assedio e cresciuta fino a diventare il principale luogo d’incontro del cinema del sud-est Europa e non solo. Un’area sempre più all’attenzione di giurie, critici e cinefili, anche se purtroppo non del pubblico e dei compratori. Bastino i nomi di Danis Tanović, Jasmila Zbanić, Andrea Staka (vincitrice un anno fa e questa volta giurata), Cristi Puiu, Cristian Mungiu o Jan Cvitković senza andare a pensare a Emir Kusturica o Goran Paskaljevic.
Il concorso lungometraggi presenta dieci film, quasi tutte opere seconde o terze. Spiccano due prime mondiali, entrambi secondi lavori di registi già molto premiati. Per l’apertura è stato scelto “Tesko je biti fin – It’s Hard to Be Nice” di Srđan Vuletić (“Summer in the Golden Valley”) con Saša Petrović, Senad Bašić, Emir Hadžihafizbegović e Daria Lorenci, la storia di un quarantenne tassista che si compra un nuovo monovolume. L’altra anteprima è “Jas sum od Titov Veles – Vengo da Titov Veles” della macedone Teona Mitevska (“How I Killed the Saint”) con la sorella Labina come interprete e lo sloveno Petar Musevski. È la storia di tre sorelle in una cittadina che porta anche nel nome l’eredità ingombrante del padre della Jugoslavia socialista.
Nella competizione anche i turchi “Kader – Destino” di Zeki Demirkubuz e “Yumurta – Egg” di Semih Kaplanoglu (due dei maggiori autori del cinema dell’Anatolia di oggi), “Kratki stiki – Cortocircuiti” dello sloveno Janez Lapajne e “Hadersfild” del serbo Ivan Živković con Miki Manojlovic. E c’è curiosità per “Živi i mrtvi – I vivi e i morti” coproduzione bosniaco-croata di Kristijan Milić e senza attori celebri. Una storia che si svolge negli stessi luoghi su due livelli temporali, una nel 1993, l’altra durante l’occupazione nazista della Seconda guerra mondiale. Il nonno combatte l’una, il nipote ha combattuto l’altra.
Nella competizione cortometraggi da segnalare tre lavori: il rumeno “Valuri” di Adrian Sitaru (vincitore a Locarno), il serbo “Minus” di Pavle Vučković (premiato a Cannes) e lo sloveno “On the Sunny Side of Alps” di Janez Burger.
Eventi speciali “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni” di Cristian Mungiu e Palma d’Oro a Cannes e “Import / Export” dell’austriaco Ullrich Seidl, altra forte storia di donne costrette a umiliarsi.
Come sempre, accanto a una panoramica sul meglio della produzione internazionale (spesso l’unica occasione per i bosniaci di vedere questi film), c’è un focus sul resto della produzione dell’area balcanico danubiana recente: il serbo “Klopka – La trappola” di Srdan Golubović, gli ungheresi “Milky Way” di Benedek Fliegauf (vincitore del concorso “Cineasti del presente” al recente Festival di Locarno) e “The Man from London” del maestro Bela Tarr, “Armin” del croato Ognjen Sviličić, “California Dreamin’ (Endless)” di Cristian Nemescu.
Ultimi ma non ultimi i documentari, tra le cose più interessanti del Festival di Sarajevo, fra tutte le ragioni per andarci una delle principali. Venti film dei quali ben nove in prima assoluta. Storie vere da tutti i Balcani e dintorni si potrebbe dire, rielaborazioni in diretta di un vissuto spesso pesante e di un avvenire con più nuvole che sereno. Tra loro c’è Esma, donna bosniaca che cerca il marito scomparso da più di dieci anni. L’ha seguita Alen Drljević, che già nel 2006 con “Karneval” presentò uno dei lavori più belli e coraggiosi.