Abdullah Gül alla presidenza della Turchia
30.08.2007
Da Istanbul,
scrive Fabio Salomoni
Abdullah Gul
Dopo una lunga crisi politico-istituzionale finalmente la Turchia elegge il presidente della Repubblica, l’ex ministro degli Esteri Abdullah Gül, primo presidente della storia repubblicana proveniente da un partito di matrice islamica
Abdullah Gül è l’11° presidente della repubblica turca. Il primo presidente della storia repubblicana proveniente da un partito di matrice islamica è stato eletto martedì alla terza votazione, nella quale bastava la maggioranza semplice dei voti, 276. A Gül sono andati 339 voti, (quasi) tutti quelli dei deputati del suo partito, l’AKP, mentre i deputati del MHP e DSP hanno votato per i rispettivi candidati, Sabahattin Çakmaoğlu e Tayfun Içli. Scheda nulla dai deputati del partito DPT, insoddisfatti per le posizioni di Gül rispetto alla questione curda. Come annunciato i 98 deputati del CHP hanno disertato anche quest’ultima votazione.
Si è così conclusa per il momento la lunga crisi politico-istituzionale apertasi lo scorso aprile proprio in occasione delle elezioni presidenziali.
Il tono emozionato con cui Gül ha tenuto il suo lungo discorso di investitura ha però mostrato tutta la delicatezza del momento.
Dopo aver riaffermato il suo impegno nel voler rafforzare “i fondamenti della nostra repubblica, la democrazia, la laicità e lo stato di diritto” Gül si è particolarmente soffermato sull’importanza della laicità “che deve però - ha sottolineato - tener conto dalla libertà di coscienza e di religione”. Gül ha poi affrontato il tema dell’Europa: “continuare con maggior decisione sulla strada dell’adesione europea costituisce una necessità per il paese”. Il neopresidente ha concluso il suo discorso ribadendo la sua volontà di essere un presidente super partes “le cui porte saranno aperte a tutti i cittadini”.
Un discorso infarcito di rimandi alla volontà di rafforzare gli spazi di libertà, che ha ricevuto un’accoglienza positiva. Da più parti ora si moltiplicano gli appelli al nuovo presidente perché sappia essere all’altezza del discorso pronunciato in parlamento e si adoperi per raccogliere un più ampio consenso, al di là di quelli del suo partito, all’interno della società. Gül non sembra però essere l’unico ad aver bisogno di richiami al senso dello Stato ed al rispetto delle regole democratiche.
Durante il discorso di insediamento infatti, di fronte a Gül, ad essere vuoti non erano solo i banchi dei deputati del CHP ma anche la loggia destinata ad ospitare i vertici delle forze armate. Mai era accaduto prima che i militari disertassero la cerimonia di insediamento del presidente della repubblica. Un’altro segnale, dopo il comunicato della vigilia in cui il capo di Stato Maggiore Büyükanıt denunciava “l’esistenza di subdoli piani che mirano a minare il carattere laico e democratico della repubblica”, con il quale le forze armate hanno ribadito la loro diffidenza nei confronti del nuovo presidente.
Anche in occasione del ricevimento dato oggi dallo Stato maggiore per celebrare la festa della vittoria, i membri del governo sono stati invitati senza le rispettive consorti. L’obbiettivo è di evitare che i veli che coprono il capo delle signore possano profanare la sacralità dei marmi militari.
Niente invito nemmeno per i deputati curdi del DPT, un gesto che il partito ha definito “un atto di discriminazione”. Mentre l’opposizione kemalista e i militari scelgono di mantenere viva la tensione, nella società si respira per il momento la voglia di tener lontane nuove contrapposizioni ideologiche. A prevalere l’ottimismo ed il desiderio di un ritorno alla normalità.
Sentimenti condivisi anche dalle reazioni giunte dall’estero. Il presidente della commissione europea Barroso si è complimentato con Gül dichiarando che “la sua elezione può essere l’occasione per dare un nuovo impulso al processo di adesione della Turchia”. Romano Prodi si è detto sicuro che “ Gül sarà un ottimo presidente”. Il ministro degli esteri tedesco Steinmeier si è detto “certo che Gül sosterrà l’avvicinamento della Turchia all’Europa”.
Ieri intanto il neo presidente ha avuto il suo primo impegno istituzionale. Infatti il primo ministro Erdoğan gli ha presentato la lista dei ministri del nuovo governo.
Il 60° governo della storia repubblicana presenta alcune novità ma delude chi si aspettava un rinnovamento più radicale. Il numero totale dei ministri è passato da 22 a 24. Al ministero degli Esteri al posto di Gül, Ali Babacan che continuerà anche ad essere il negoziatore con l’Unione Europea. Sostituito il ministro degli Interni Aksu più volte nel mirino delle critiche nel corso del suo mandato. Il falco Çicek ha lasciato il ministero della Giustizia per diventare uno dei tre vice di Erdoğan. Il docente universitario Nazim Ekrem sarà il coordinatore dei dicasteri economici. Tra i volti nuovi con il quale Erdoğan cerca di rinnovare l’immagine del suo governo, l’imprenditore Zafer Cağlayan al ministero dell’Industria e del Commercio e l’ex segretario generale del CHP Ertuğrul Günay, eletto nelle liste dell’AKP lo scorso 22 luglio ed ora al ministero del Turismo e della Cultura. Nimet Çubukçu invece, nonostante le voci della vigilia che davano in aumento la componente femminile, continua ad essere l’unica donna della compagine governativa.
Dalla settimana prossima l’attività politica potrà riprendere a pieno regime. All’orizzonte il progetto di riforma costituzionale con il quale il governo vuole sbarazzarsi della costituzione attualmente in vigore. Scritta dai militari all’indomani del golpe del 1980, il suo carattere autoritario rappresenta uno dei maggiori ostacoli alla normalizzazione del paese. E una nuova costituzione significa soprattutto una costituzione demilitarizzata.
C’è da scommettere quindi che sarà proprio intorno a questo nodo che nel futuro prossimo il clima politico del paese tornerà a riscaldarsi.