Il politecnico di Tirana
Alla vigilia del terzo anno di applicazione della riforma europea delle università, gli studenti e i docenti degli atenei albanesi iniziano ad avere alcuni dubbi sulla effettiva efficacia della cosiddetta convenzione di Bologna
Il prossimo anno accademico sarà il terzo anno di applicazione della convenzione di Bologna nelle università albanesi. Ormai quasi tutte le università del Paese sia statali che private hanno riformato il ciclo di studi nel formato 3 + 2, ma al giungere del termine del primo ciclo, alla prima generazione di studenti stanno sorgendo dubbi e incertezze.
3 anni fa la riforma, l’ennesima del suo genere nell’istruzione albanese, venne accolta con unanime entusiasmo senza suscitare la benché minima discussione che assomigliasse almeno vagamente a un’analisi della proposta. Le ragioni che ne hanno ispirato l’applicazione erano un po’ come ovunque: il bisogno di rispondere alle esigenze del mondo del lavoro offrendo un’istruzione fatta a misura delle offerte, con più specializzazioni, minor anni di studio, più personalizzazione; integrazione del sistema universitario albanese in quello europeo; mobilità degli studenti e infine il riconoscimento dei titoli di studio rilasciati dalle università albanesi. Sembrava infatti una sorta di integrazione europea del paese in ambito universitario che fu accolta molto ottimisticamente da studenti e docenti in tutto il Paese.
Però l’applicazione di una riforma così radicale del sistema sta risultando poco meditata e poco chiara. Innanzitutto si è capito che al conseguimento della laurea di primo livello si ha uno status inferiore rispetto alla laurea a ciclo unico, che nel sistema albanese è stato definito “status di tecnico”, un’espressione equivalente a un diploma conseguito in istituiti di formazione professionale, che penalizza enormemente nella selezione all’interno del mondo del lavoro, dato che viene considerato come poco più che un diploma di scuola superiore. Si è in tal senso obbligati a conseguire il tanto ambito master, o la laurea di secondo livello, che però inserita nel mondo universitario albanese assume criteri specifici di ammissione, che finora pare sia quello più tradizionale: la media dei voti. Per l’accesso alla laurea di secondo livello nella maggior parte delle facoltà bisogna aver conseguito la prima laurea con la media dell’ 8 o dell’ 8,5 che è ovviamente un traguardo realizzabile solo per un’esigua percentuale di studenti.
La media tra l’altro è il criterio spinoso che viene abolito e riabilitato ciclicamente di anno in anno per l’ammissione all’università che per motivi logistici continua a essere a numero chiuso. Dai tempi del comunismo la media era il traguardo più importante per l’accesso a studi universitari tanto che vi furono intere generazioni che sembrava studiassero solo per raggiungere la media. Dopo il crollo del comunismo, che provocò il brusco calo del tenore di vita degli insegnanti, la media diventò uno strumento di corruzione che costrinse la maggior parte degli studenti a seguire corsi di recupero o di approfondimento a pagamento, spesso inutili, gestiti privatamente e in modo abusivo dagli insegnanti in cambio dei voti alti per poi raggiungere la media necessaria. Negli anni ’90 il fenomeno raggiunse livelli disastrosi, tanto da indurre il ministero dell’Istruzione ad abolire tale criterio. Ma in seguito è stato riproposto e abolito di nuovo, continuamente. Nelle università albanesi dove la corruzione rimane preoccupante, la ricomparsa della media rischia nuovamente di trasformarsi in un ottimo strumento di abuso che non contribuirà a migliorare la qualità degli studi.
Come prevede il pacchetto di Bologna è stato introdotto il sistema dei crediti formativi, ma agli studenti rimane tuttora un concetto bizzarro di scarso significato, mentre gli stessi docenti denunciano non solo la scarsa chiarezza nel definire il concetto dei crediti ma anche l’abuso nel gestirli arbitrariamente da buona parte degli stessi docenti.
Inoltre per contenere il programma di studi in 3 anni, i corsi sono stati ridotti in semestrali traducendosi in un grave colpo alla già fragile preparazione che di solito le università albanesi forniscono negli ultimi anni. I docenti incominciano a lamentarsi del fatto che la riforma sia stata troppo superficiale poiché ha riguardato solo l’organizzazione esterna del sistema senza dare tempo ad un adeguamento strutturalmente in materia di testi e programmi. In uno studio recente sulla riforma si è concluso che questa mossa altro non ha fatto che aggiungere altri problemi a quelli che già c’erano nel sistema universitario albanese. Pare poco fattibile l’adattamento dell’offerta universitaria a quella del mondo del lavoro dato che quest’ultimo è molto complesso e in piena evoluzione, mentre i programmi albanesi continuano a necessitare aggiornamenti e arricchimenti, e secondo alcuni non è stato ancora colmato il vuoto di aggiornamento che ha lasciato il pluriennale isolamento. Nelle facoltà delle scienze esatte molti dei materiali in uso risalgono agli anni ’70 e ’80 mentre i docenti invitano vivamente ad aggiornarsi su internet che, per quanto sia un ottimo mezzo di informazione, è lontano dal fornire le informazioni sistematiche da manuale base.
La situazione è ben più grave per le facoltà umanistiche che sono da sempre le più deboli del sistema albanese. E’ questa infatti una debolezza che si eredita già dalle scuole superiori che tradizionalmente offrono un’ottima preparazione nelle scienze esatte ma una scarsissima preparazione umanistica, come voleva la tendenza del regime che mirava a sfornare professionisti per le proprie industrie. Non ha contribuito neanche la riforma delle scuole superiori che ha introdotto una sorta di liceo classico dal terzo anno. Si pensa infatti che i più colpiti dalla nuova riforma saranno proprio i laureati in scienze umanistiche, che hanno già grosse difficoltà a trovare un impiego nel mondo del lavoro albanese. E’ un fenomeno tipico che i laureati in scienze umanistiche riprendano a studiare iscrivendosi ad una seconda facoltà più promettente, principalmente giurisprudenza o economia.
Ma il mondo del lavoro albanese secondo lo studio in questione rimane incerto e sovraffollato di laureati, molto più di quanti ne possa assumere, tanto che molti lavori che non richiedono una preparazione universitaria incominciano a essere svolti dai laureati. Pare che non vada meglio neanche con le professioni sicure come medicina e giurisprudenza da sempre ambite dagli albanesi. Nella facoltà di medicina circola il detto che “per far assumere tutti i medici albanesi bisognerebbe chiudere la facoltà per i prossimi 10 anni e non farne laureare altri”.
Nonostante gli entusiasti dicano che a uno studente albanese oggi sia più facile trasferirsi per studiare all’estero, per ora e nel prossimo futuro l’integrazione dell’università albanese nel sistema europeo di mobilità rimane una possibilità solo sulla carta. Per parlare di mobilità bisogna sempre passare per il lungo calvario burocratico alle porte delle ambasciate europee, mentre, l’applicazione dell’accordo sull’agevolazione della mobilità di alcune categorie, tra cui anche gli studenti, per ora è stata rimandata al 2008. Non si parla neanche di riconoscimento dei titoli di studio, a parte per qualche facoltà come quella di infermieristica, fatto che a Tirana spiegano con la scarsa fiducia che gli enti europei hanno nella reputazione delle università albanesi.
Sono sempre più numerosi i docenti che ritengono che la riforma abbia fatto più male che bene, ed è stata applicata nel momento sbagliato. Sembra che anche questa riforma sia stata adottata in modo acritico, con quell’atteggiamento passivo della politica albanese che considera ottimo tutto quello che porta il marchio Ue senza badare ai tempi o alle circostanze.