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giovedì 08 settembre 2022 12:19

 

Miloud: un clown ed i Balcani

13.05.2002    scrive Davide Sighele

A Faenza abbiamo incontrato il clown francese Miloud che da anni lavora con i bambini di strada rumeni. E non solo. Le speranze dei giovani, le difficoltà dell'"aiutare", l'Europa e l'est.
Due anfibi gialli, le gambe magre ed i vestiti neri, di un nero caldo, non lucido. Miloud è in stazione a Faenza, non è tardi, non sono nemmeno le undici ma l’ultimo treno per Milano è gia passato. Controlla un'ultima volta il tabellone giallo canarino per essere sicuro di non aver mancato con lo sguardo qualche intercity od anche un più lento interregionale.
Il suo naso rosso è probabilmente in tasca e le sue mani non si riempiono più di incantesimi. In tasca saranno anche le palline bianche che comparivano e scomparivano, da un orecchio ad una mano, dalla bocca per poi ritornare all’orecchio. Adesso i pantaloni coprono totalmente gli stinchi, non li lasciano liberi di mostrarsi mocciosi e coprono anche quei vistosi calzettoni a righe.
Miloud è un clown che da molti anni lavora con i bambini di strada in Romania, Bosnia, Albania e non solo. In questi giorni è a Faenza per un breve spettacolo durante le giornate del convegno: “Dall’est: una sfida per l’Europa”, organizzato dall’associazione Emmaus per parlare di Europa ed integrazione dei paesi dell’est nonché occasione per tutte le Comunità Emmaus dell’est Europa di incontrarsi.
Ho potuto parlare un po’ con lui durante una pausa del suo spettacolo, nel buio rumoroso del retro-palco. Abbiamo iniziato in francese, sua madrelingua, ma poi lui mi dice che preferisce parlare italiano. Parliamo italiano che ti voglio capire, parliamo italiano che mi voglio far capire. Una stretta sul braccio, il sorriso di chi è abituato a mostrare meraviglie, velare e svelare verità con il fumo di qualche sigaretta e poi Miloud inizia a raccontare dei ragazzi e dei bambini che in questi anni ha incontrato in Romania, in Albania, in Bosnia.
“Uno dei più grandi problemi è che hanno perso i punti di riferimento: gli adulti sono senza dignità, non hanno fiducia, hanno perso sogni e speranze. Un rumeno, un albanese ti dirà oggi: abbiamo superato 50 anni di dittatura, abbiamo sognato, siamo pieni di frustrazioni, mi avete dato una mano per cosa? Perché? Per metterci in una situazione nella quale sopportiamo ancor più frustrazioni. Mi avete dato la televisione ma non il lavoro, mi avete dato i sogni delle vostre economie senza però permettermi di realizzarli ...”. La sua voce è intensa, irrequieta. “Una delle frustrazioni maggiori per loro è il non poter viaggiare. Io ho vissuto l’esperienza dell’emigrazione attraverso i miei stessi genitori. Mio padre è emigrato, ma è emigrato per trovare i soldi che mancavano a casa sua, per costruire casa sua. Spesso questo non riusciamo a comprenderlo. E ci accontentiamo di una certa solidarietà che possiamo fare tutti i giovedì ed i venerdì sera, se si ha voglia. Altrimenti, se non si ha voglia, si può decidere di votare Le Pen”.
Ci interrompono, si discute di quando fare i prossimi minuti di spettacolo, ma non è ancora tempo. Il naso rosso rimane sul muretto, il gruppo deve ancora suonare qualche pezzo. Miloud ritorna a parlare di Europa. “Di che Europa stiamo parlando, di un’Europa estremista, spaventata dai propri fantasmi, incapace di accedere alla diversità, alla multiculturalità? Meglio allora parlare di calcio perché nel calcio se il nero, l’albanese o il rumeno fanno un gol diventano un modello per tutti. Occorre riuscire a fare viaggiare il sociale, la cultura, gli uomini, come siamo riusciti a far viaggiare le merci. Non dobbiamo costruire una fortezza obbligando le persone a superarla, a fare la propria “fuga per la libertà”. Perché da una fuga per la libertà non si ritorna mai indietro. E qualsiasi muro, per alto che sia, non bloccherà i disperati. Se invece si aprissero le frontiere io me ne andrei dal mio paese ma per poi ritornarci”.
Dieci anni fa Miloud, dopo aver studiato ad una scuola circense era partito per la Romania e si era esibito nelle enormi piazze di Bucarest. E così aveva conosciuto i bambini di strada, con i loro sacchetti di colla da sniffare, gli occhi intensi, lo sguardo difficile da sostenere. Con loro ha poi fondato Parada: tentativi di vita normale, di progettualità (con laboratori di teatro, circo, assistenza notturna, appartamenti) nell’allucinante mondo notturno della capitale romena.
“Ero partito per la Romania con l’idea di salvare qualcuno ed invece mi sono accorto di salvare solo me stesso, ogni giorno. Mi rendo conto che non dobbiamo più salvare, dobbiamo solamente cercare di capire quali siano i bisogni, i sogni e le necessità della quotidianità degli altri. E’ meglio mettere a disposizione spazi per conoscersi, in modo siano loro a trovare le soluzioni che preferiscono. Si può solo cercare di avvicinarsi un po’ più a chi ha bisogno. Rifiuto l’approccio dell’educatore. “Tu chi sei?” spesso si domanda o ci si sente domandare. Rispondere è difficile per me, e non riesco a rispondere facilmente quando un poliziotto me lo chiede. Immagina quanto sia difficile se non sei nessuno, se sei un ragazzo di strada. Quando hai freddo, fame e voglia di soldi. A volte mi chiedo il senso della solidarietà internazionale quando nei nostri stessi paesi non vi è tolleranza. Basti pensare che le nostre stazioni delle metropolitane e dei treni vengono chiuse la notte perché gente senza casa non possa trovarvi riparo”.
Il viso di Miloud è vagamente triste e, nonostante i tratti decisi, estremamente gentile. Uno sguardo contemporaneamente appassionato e disincantato, abituato ad entrare ed uscire da più ruoli, a dissacrare modelli per riuscire a far sorridere e pensare. E poi la nostra conversazione si sposta proprio sui modelli di vita. “Dobbiamo domandarci perché la gioventù dell’est Europa ha un unico sogno: diventare come noi, accedere ai nostri standard di vita. Sono modelli che abbiamo imposto noi, innanzitutto attraverso la televisione. E gli idoli divengono persone come Zidane, partite dal nulla e divenute poi ricchissime. Ma nella squadra francese ci sono solo undici titolari e tutti gli altri sono fuori. Fosse per me inizierei col dare un pallone a ciascun giocatore in modo ciascuno possa fare gol dove e quando vuole”. Miloud lascia poi la metafora del calcio per ritornare all’incontro di questi giorni: “E per comprendere la situazione in cui i Balcani ancora vivono vorrei farti l’esempio di un ragazzo albanese, un partecipante al convegno: mi ha raccontato come la propria madre gli abbia più volte chiesto prima di partire per l’Italia di approfittare della situazione e non rientrare più in Albania e quanto abbia insistito su questo”. Tolgo il mio sguardo da Miloud e penso a questa madre che prega il figlio per non vederlo più, prega il figlio di allontanarsi da lei. “E’ tremendo” dico a Miloud, “E’ così vero” risponde lui.
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