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Bosnia: tentazione protezione
Osservatorio Balcani Guide per Area Bosnia Erzegovina Notizie
Data pubblicazione: 19.09.2007 10:07

Sarajevo non rispetta gli impegni presi sulla liberalizzazione dei commerci, ma l’Unione europea e altri osservatori avvertono che questo ripensamento potrebbe danneggiare la sua economia
Di Drazen Simic - BIRN (tit.originale: "Bosnia Faces Tough Choices over Free Trade", pubblicato il 14 settembre 2007)
Traduzione per Osservatorio a cura di Gaia Baracetti


Si rinnovano le pressioni sulla Bosnia Erzegovina dopo che il parlamento ha ignorato gli obblighi previsti dal CEFTA (Central European Free Trade Agreement -Accordo centroeuropeo di libero scambio), e ha imposto delle tariffe doganali unilaterali. Tale mossa, avverte un ufficiale dell’Unione europea, potrebbe portare alla perdita di grossi vantaggi e all’isolamento economico della Bosnia.

“Questa decisione avrebbe un effetto devastante sulle esportazioni del paese, che rimarrebbe comunque pesantemente dipendente dalle importazioni”, ha dichiarato a Balkan Insight il portavoce della Ue in Bosnia, Frane Maroevic.

L’avvertimento della Ue è arrivato solo pochi giorni dopo che la Bosnia ha cominciato a rimangiarsi i suoi impegni nell’ambito del CEFTA. Dopo mesi di dibattiti pubblici, discussioni politiche e ritardi, il 6 settembre la Camera dei Rappresentanti bosniaca ha finalmente ratificato l’adesione della Bosnia a questo trattato di libero scambio regionale.

Eppure dopo solo un giorno, in un evidente tentativo di tranquillizzare e proteggere i contadini locali, ha passato una nuova legge che manterrebbe il 40 per cento della tariffa doganale su carne, latte e latticini importati dalla Croazia e dalla Serbia.

Né la ratificazione del CEFTA né la reimposizione di alcune tariffe doganali entreranno in vigore finché non saranno confermate dalla seconda camera del Parlamento bosniaco, la Camera dei Popoli.
Il 19 dicembre 2006 l’Albania, la Bosnia, la Croazia, il Kosovo, la Macedonia, la Moldavia, il Montenegro e la Serbia firmarono il CEFTA, che avrebbe dovuto prendere il posto dei 32 accordi bilaterali di libero scambio allora in vigore.

Il principale obbiettivo di questo accordo era di consentire ai Balcani occidentali un migliore accesso ai mercati dell’Unione europea, e di attrarre gli investimenti occidentali di cui quest’area ha grande bisogno.

Eppure l’accordo fu criticato, in particolar modo dai contadini che temevano che la loro fonte di sostentamento fosse messa in crisi dalla competizione con i produttori europei, pesantemente sovvenzionati.

Dal dicembre 2006 il CEFTA è ratificato da tutti i suoi firmatari, tranne la Bosnia e la Serbia. Mentre si attende che la Serbia ratifichi l’accordo da un momento all’altro, il suo destino in Bosnia rimane incerto.

La Bosnia ha una tradizione di ripensamenti su accordi commerciali, essendo combattuta tra gli interessi dei produttori domestici da una parte, e gli impegni regionali o internazionali dall’altra.

Dopo aver goduto per tre anni di condizioni privilegiate, la Bosnia ha voltato le spalle agli impegni presi in accordi bilaterali con la Croazia e la Serbia (firmati, rispettivamente, nel 2000 e nel 2002) quando era giunto il momento di eliminare completamente le barriere doganali.

Gli oppositori bosniaci al CEFTA (che solitamente fanno capo ai più grossi produttori alimentari locali), sostengono che l’industria agricola ed alimentare del paese non sia ancora pronta a competere con quelle dei paesi vicini.

La loro argomentazione chiave è che la Croazia e la Serbia sovvenzionano annualmente i produttori domestici con centinaia di milioni di euro, circa dieci volte più della Bosnia.
I rappresentanti del governo bosniaco sostengono che ci sono modi migliori di proteggere l’economia locale.

”Dobbiamo puntare all’integrazione europea, ai mercati della Ue, e possiamo farlo solo aprendo i nostri mercati e rafforzando la competizione”, ha detto Slobodan Puhalac, ministro bosniaco del commercio estero e dei rapporti economici, nella sua dichiarazione al quotidiano Nezavisne Novine, dopo che la Camera bosniaca ha passato la nuova legge sul commercio.

“Questo non significa che non dovremmo prenderci cura della produzione domestica, ma non in questo modo”, ha dichiarato Puhalac. Ha insistito sul fatto che i produttori bosniaci dovrebbero essere sostenuti con misure che incoraggino l’economia locale, ma non violando trattati internazionali.

La nuova legge prevede sussidi a 470 prodotti invece dei 92 previsti originariamente, e il ministero del commercio estero bosniaco ha avvertito che una tale misura non avrebbe basi legali.

I funzionari dell’Unione europea aggiungono che, mentre il CEFTA contiene procedure e meccanismi per prevenire la destabilizzazione dei mercati locali, la Bosnia Erzegovina ha introdotto delle leggi senza neanche analizzare e verificare a dovere i potenziali effetti negativi del trattato.

“La Ue non punirà la Bosnia Erzegovina ma altri paesi membri del CEFTA possono prendere provvedimenti se la Bosnia Erzegovina non applica il trattato internazionale. Se dovesse imporre unilateralmente delle barriere doganali, i suoi partner del CEFTA avrebbero il diritto di fare altrettanto”, ha spiegato Maroevic a Balkan Insight.

Oltre al rischio diretto di conseguenze economiche negative, tali decisioni unilaterali potrebbero danneggiare la reputazione regionale della Bosnia e i suoi rapporti coi vicini.

In seguito all’ultima decisione della Camera bosniaca, la Croazia ha già richiesto una spiegazione ufficiale dell’atteggiamento di Sarajevo verso il CEFTA.

Per quanto riguarda la Serbia, il suo ministro del commercio, Predrag Bubalo, ha dichiarato durante una visita in Bosnia l’11 settembre che Sarajevo non stava rispettando i suoi obblighi internazionali, mentre allo stesso tempo chiedeva a Belgrado aiuti in grano e mais per compensare gli effetti della siccità che ha afflitto i Balcani quest’estate.

”Non si può chiedere aiuto per la siccità, e allo stesso tempo prendere iniziative come questa”, si è lamentato Bubalo.

Inoltre, la tesi del governo che la Bosnia è troppo povera per sovvenzionare i propri produttori non regge alla luce del fatto che il budget annuale del paese ha superato le aspettative di 200 milioni di euro per due anni di fila, in seguito all’introduzione dell’IVA.

Tuttavia gli esperti ritengono che questi fondi siano stati utilizzati finora soprattutto per aumentare la spesa pubblica e comprare la pace sociale, piuttosto che per rivitalizzare ed incoraggiare la produzione domestica.

Secondo alcuni analisti non è il CEFTA, ma la mancanza di strategie di sviluppo plausibili ad essere responsabile per l’arretratezza economica della Bosnia. Per esempio, i ministri bosniaci non hanno ancora trovato il tempo per mettersi d’accordo sulla creazione di un ministero nazionale dell’agricoltura, nonostante tutte le loro manifeste preoccupazioni per il futuro dell’industria alimentare bosniaca.

La Ue e i funzionari governativi avvertono che proteggere pochi produttori domestici di carne dalla competizione internazionale costerebbe alla Bosnia l’esclusione da un mercato regionale di 20 milioni di consumatori che farebbe gola agli investitori stranieri.

La Ue ha da tempo aperto i suoi mercati ai prodotti della regione del CEFTA, senza tassarli alla dogana purché rispettino gli standard di qualità dell’Unione europea.

Rinunciando al CEFTA la Bosnia potrebbe anche perdere l’opportunità delle cosiddette “accumulazioni diagonali delle origini dei prodotti”. Questo meccanismo permette che tutte le parti o ingredienti prodotti nel paesi del CEFTA, quando vengono incorporati in un prodotto, siano trattati come un prodotto domestico.

In altre parole, anche se solo il 10 per cento di un qualunque prodotto fosse bosniaco, e un altro 50 per cento provenisse da altri paesi del CEFTA, per il mercato europeo sarebbe considerato un prodotto domestico, esente da dazi.

Dovendo scegliere tra investire in un paese isolato con quattro milioni di abitanti, e investire in un altro paese i cui prodotti possono accedere liberamente al mercato dei Balcani occidentali, cinque volte più grande, gli investitori stranieri sceglierebbero il secondo senza pensarci troppo.

“Il CEFTA andrà avanti con o senza la Bosnia Erzegovina, e sarà quest’ultima a risentirne molto di più degli altri paesi se sceglierà di non rispettare il trattato”, ha dichiarato Maroevic.

Per tutti questi motivi il consiglio bosniaco dei ministri e la Ue sperano che la seconda camera del parlamento, la Camera dei Popoli, decida secondo quello che considerano buon senso, e respinga la legge protezionista.

Se, al primo incontro dei paesi del CEFTA, che si terrà il 28 settembre nella città macedone di Ohrid, la Bosnia apparirà come membro a pieno titolo, o come osservatore senza diritto di voto, lo deciderà la votazione alla Camera dei Popoli.