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Una confederazione per il Kosovo
Osservatorio Balcani Guide per Area Kosovo Kosovo Notizie
Data pubblicazione: 03.10.2007 09:33

Antonio Cassese
Antonio Cassese, in un editoriale pubblicato dall’inserto settimanale del belgradese “Danas”, propone un modello confederativo per il Kosovo. Una fase intermedia, e poi potrebbe essere piena indipendenza
Antonio Cassese*, 29-30 settembre 2007, Danas Vikend (tit. orig Konfederacija pre potpune nezavisnosti)

Traduzione per Osservatorio Balcani: Luka Zanoni


Il tempo per il Kosovo sta per scadere. Se l’accordo, col sostegno delle Nazioni Unite, non dovesse essere raggiunto entro l’inizio di dicembre, molto probabilmente la maggioranza dei cittadini albanesi della provincia dichiarerà unilateralmente l’indipendenza: una mossa che gli USA, come annunciato, forse sosterranno.

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Sarebbe una mossa catastrofica. La Russia sarebbe furiosa perché teme che la secessione del Kosovo – che sia riconosciuta o meno a livello internazionale - potrebbe stimolare i movimenti separatisti dell’ex impero sovietico. La Serbia con forza maggiore si oppone a ciò. Dusan Prorokovic, il ministro serbo per il Kosovo, ha dichiarato che il suo paese forse potrebbe anche impiegare la forza per conservare la propria sovranità. Nonostante la probabile riluttanza del governo, i gruppi ultranazionalisti potrebbero costringere il premier Voijslav Kostunica ad inviare le truppe in Kosovo: l’attuale presenza dell’ONU è piuttosto esigua (solo 40 “osservatori militari” e 2.116 poliziotti), ma i 15.000 soldati di stanza della NATO potrebbero rendere molto pericoloso qualsiasi conflitto armato.

Dopo otto anni di amministrazione internazionale, la maggioranza kosovaro-albanese ha assaporato la libertà e freme per una piena indipendenza. Ma la Serbia afferma che la provincia essenzialmente rimane parte della sua tradizione storica e culturale. Inoltre, l’opinione pubblica serba non accetterebbe l’indipendenza, per il fatto che ha già assistito con grande sorpresa alla graduale riduzione della “Grande Serbia”, con il recente distacco del Montenegro. La Serbia è pronta a riconoscere solo un’” autonomia maggiore” del Kosovo e la possibilità di stringere accordi internazionali.

Benché le due posizioni sembrino oggi inconciliabili, non è tardi per un compromesso. Ma, ciò è possibile solamente se si ravviva – e si modernizza – una vecchia istituzione della comunità internazionale: lo stato confederale.

Tramite l’obbligo della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in Kosovo potrebbe essere garantita la piena indipendenza e l’esclusivo potere dei suoi cittadini e del territorio, così come la limitata capacità di agire sulla scena internazionale.

Il Kosovo potrebbe essere autorizzato a stringere accordi commerciali e accordi che si riferiscono a individui (per esempio, l’accesso e la circolazione degli stranieri o le estradizioni), più il diritto a chiedere l’accoglienza all’ONU (cosa che non necessita la piena sovranità e indipendenza).
Con ciò il Kosovo otterrebbe le caratteristiche sostanziali della statalità. Tuttavia, l’organo decisionale formato dai rappresentanti del Kosovo, della Serbia e dell’Unione europea avrebbe pieni poteri sulle questioni principali della politica estera (per esempio sulle alleanze e sulle relazioni con le istituzioni economiche internazionali), la difesa, le frontiere (nel caso in cui il Kosovo desiderasse unirsi all’Albania) e sul trattamento della minoranza serba in Kosovo. Come risultato, il Kosovo e la Serbia si costituirebbero come due soggetti internazionali differenti, legati ad una confederazione sottoforma di un organo decisionale comune.

Ovviamente la confederazione sarebbe asimmetrica, perché la sovranità del governo serbo sul resto della Serbia resterebbe intatta e illimitata, mentre la “sovranità” del governo kosovaro sul Kosovo sarebbe limitata. Per evitare che una delle due parti sia avvantaggiata, e che imponga decisioni arbitrarie, l’organo decisionale comune sarebbe composto da quattro delegati serbi, due kosovari e tre rappresentanti dell’UE, con la richiesta che entrambe le parti ottengano l’appoggio dai rappresentanti europei. Oltre a ciò, l’UE dovrebbe costituire una piccola ma efficace forza militare (diciamo 5.000 soldati) per poter supportare le decisioni dell’organo comune.

Come per qualsiasi compromesso, da questo accordo le parti in conflitto avrebbero qualcosa da perdere e qualcosa da guadagnare. La Serbia salverebbe la faccia e continuerebbe ad avere la parola ultima sulle questioni cruciali riguardanti il Kosovo, compreso il trattamento della minoranza serba. Il Kosovo avrebbe un’indipendenza limitata, con uno status che passa dall’essere provincia di uno stato sovrano ad essere un soggetto internazionale, al quale è consentito di entrare in accordo con altri stati e persino di aderire all’ONU.

Anche l’UE avrebbe il suo vantaggio, contribuendo alla stabilizzazione di una regione molto instabile. L’UE sorveglierebbe il Kosovo e impedirebbe qualsiasi conflitto che potrebbe sfociare in violenza.

Infine, il pregio di questa soluzione è la sua temporaneità. Da un punto di vista storico, le confederazioni – prima o poi – diventano o federazioni (come è accaduto con gli USA, la Germania e la Svizzera) oppure si disgregano per via delle forze centrifughe (come è stato il caso dell’Unione delle repubbliche arabe fondata nel 1958, la quale tre anni dopo si è divisa in Egitto e Siria).

La confederazione che propongo rappresenterebbe una fase intermedia (che durerebbe cinque o dieci anni), con la quale alla fine il Kosovo probabilmente diverrebbe pienamente indipendente. Rimandare la soluzione finale in questo modo garantirebbe il tempo necessario per verificare la possibilità del Kosovo di far parte dell’Unione europea e così eventualmente dividere “la sovranità del potere” con gli altri stati indipendenti, i quali potrebbero “sgonfiare” le forti e pericolose richieste nazionaliste dei kosovari.


*L’autore è stato il primo presidente del Tribunale internazionale penale per l’ex Jugoslavia (ICTY), in seguito è stato presidente della Commissione internazionale dell’ONU per le indagini in Darfur, attualmente è docente di diritto all’Università di Firenze.