A pochi mesi dall’assunzione della presidenza dell’Ue, il governo sloveno pare intenzionato a liberarsi del fardello dei cosiddetti cancellati mediante una legge costituzionale molto restrittiva
Il governo sloveno sembra avere fretta di lanciare, prima dell'inizio della sua presidenza Ue il primo gennaio 2008, un segnale della propria volontà di liberarsi dell'ingombrante fardello dei “cancellati”, gli ex cittadini jugoslavi residenti in Slovenia che nel 1992 persero non solo il diritto ad acquisire la cittadinanza del nuovo stato indipendente, bensì anche quello di una residenza legale nella loro patria d'adozione. In tutto circa 18 mila persone.
Sette anni dopo, accertato l'abuso e l'illegalità della cancellazione “dovuta ad un errore amministrativo” secondo le versioni ufficiali, a molti cancellati venne riconosciuto il diritto di residenza e anche quello di cittadinanza, molti invece - quelli che a causa della guerra nei propri luoghi di origine non avevano potuto raccogliere tutta la documentazione anagrafica - rimasero in sala d'attesa: né cittadini, né residenti stranieri, bensì apolidi, residenti illegali senza lavoro, pensione, conto in banca e assicurazione, tollerati a malapena e dipendenti da qualche parente o amico.
A nessuno però fu riconosciuta la retroattività dei diritti riconosciuti con la delibera della Corte costituzionale del 1999. Ci fu così un’altra sentenza dei giudici preposti alla costituzionalità che richiede l’immediato riconoscimento dei diritti tolti a tutte le vittime della cancellazione con effetto retroattivo, il che presuppone anche degli indennizzi per i sette, otto, nove o anche 17 anni di cancellazione.
Il tema dei cancellati ha assunto in Slovenia dei forti connotati politici e la retorica nazionalista che ne è scaturita (i cancellati sono stati presentati come residui dell’ideologia jugoslava e parassiti antisloveni in cerca di lauti indennizzi) ha rafforzato nel Paese le spinte xenofobe.
Nel referendum del 2003 sui cancellati voluto dalla destra, allora all’opposizione, partecipò il 30% circa degli aventi diritto al voto e la maggioranza del “no” ai diritti dei cancellati fu schiacciante. Non è un tema popolare quello dei cancellati ed anche i partiti del centro sinistra hanno sensibilmente smussato le proprie critiche al governo Janša che finora aveva congelato ogni soluzione in merito.
Ma agli occhi dell’Europa e delle organizzazioni per i diritti umani il caso sloveno resta una macchia vergognosa per un paese dell’Ue in procinto di assumerne la presidenza. Ed ecco che il 30 ottobre scorso il governo ha mandato in parlamento la sua proposta di soluzione, la stessa paventata ormai da qualche anno: una legge costituzionale sui cancellati molto restrittiva e in grado di neutralizzare gli effetti delle sentenze della Corte costituzionale e di cancellare ogni responsabilità dello Stato nei confronti dei diretti interessati.
Janez Janša sa che una legge costituzionale ha bisogno dei due terzi del parlamento, ma è convinto di dare uno scacco politico all’opposizione. Se questa si dovesse opporre alla proposta del governo farebbe scivolare ulteriormente la “soluzione” rischiando di perdere popolarità agli occhi di un’opinione pubblica mal disposta nei confronti dei cancellati, tanto più in una stagione di vacche sempre più magre in temi di sicurezza sociale.
L’inflazione in Slovenia ha toccato in ottobre il 5,1% uscendo di brutto dalle orbite dei criteri di Eurolandia. Imbarazzante. Ora il governo, cogliendo gli inquietanti segnali del primo turno delle presidenziali in cui l’estremista xenofobo Zmago Jelinčič ha ottenuto quasi il 20%, lancia la patata bollente dei cancellati e lo fa contro di loro per riguadagnare demagogicamente popolarità e paralizzare l’opposizione.
A protestare immediatamente per la mossa è stato il
Mirovni inštitut (l’Istituto per la pace) che in un comunicato accusa il governo di voler dividere e discriminare i cancellati, dividendoli in categorie diverse. La proposta di legge costituzionale, secondo l’Istituto per la pace, nega ogni diritto retroattivo e scagiona in pieno i responsabili della cancellazione avvenuta il 26 febbraio del 1992. Inoltre la proposta consente di verificare caso per caso e di togliere a chi il governo giudicasse immeritevole anche i diritti già riacquisiti con la delibera della 1999.
La legge, se accettata, cancellerebbe ogni debito con i cancellati: niente indennizzi per gli anni vissuti nell’illegale illegalità. Un approccio questo che trova il consenso della maggioranza dei cittadini, sempre più preoccupati per il crollo del loro potere d’acquisto dovuto all’inflazione galoppante e dagli aumenti esorbitanti degli ultimi mesi nonostante la propaganda di governo evidenzi una rapida crescita economica.