Bucarest
Dalla fiera del lusso al traffico degli storpi. Il racconto di un incontro nella capitale rumena. Le contraddizioni di un'economia globalizzata che accomunano tanto i paesi dell'est quanto Madonnna di Campiglio
Un anno fa, il 7 dicembre 2006, è stata inaugurata la prima edizione del Bucarest Luxury Show, la fiera del lusso per i nuovi ricchi, dove si promuovono hotel con ogni genere di confort, si vendono automobili o mega suv dagli accessori d’oro (la foto della Hummer dorata ha fatto il giro del mondo), gioielli e vestiti principeschi e così via. Un successo, tanto da venir replicata proprio in questi giorni con una nuova edizione.
Nel maggio scorso, nello scenario dell’immensa piazza che si apre davanti al palazzo del delirio di onnipotenza di Ceacescu nel centro di Bucarest, erano esposte imbarcazioni di ogni tipo, con grande sfoggio di yacht e velieri. Proprio in quegli stessi giorni veniva inaugurato con grande successo di pubblico e di compratori il salone espositivo della Ferrari, praticamente uno status symbol per chi vuole emergere fra le schiere dei bussinessmen.
Parliamo della capitale rumena, dove pure vivono migliaia di bambini abbandonati che hanno come abitazione il sottosuolo. Ma potremmo parlare più o meno nello stesso modo di altre capitali di quello che un tempo era il socialismo reale.
Distanze relative
Proprio nei pressi della Piazza del Parlamento di Bucarest ho appuntamento con Paolo Sartori, un tempo capo della Squadra Mobile di Trento e da ormai otto anni distaccato a Bucarest, responsabile italiano dell’Interpol per i traffici criminali in Romania e Moldova. Dal suo paese d’origine, Pinzolo, alla capitale rumena, il salto è di quelli da brivido, i grigi palazzoni del regime non hanno niente a che fare con l’armonia della Val Rendena, ma quando ci mettiamo a parlare di Madonna di Campiglio ci si accorge che la distanza è ben inferiore di quel che appare. Non è affatto casuale che l’operazione Shakh Mat (Scacco Matto) contro la Mafia russa si sia conclusa nel 1997 proprio a Madonna di Campiglio e l’allora capo della squadra mobile di Trento ne sa qualcosa. Gli parlo dei nuovi ricchi dell’est europeo che frequentano gli alberghi più lussuosi del Trentino con le loro mazzette in contanti e del fatto che il costo del costruito tocca ormai nella “Perla delle Dolomiti” i 14 mila euro al metro quadrato.
Ci raccontiamo del nostro impegno professionale e di quel che lo accomuna nel lavoro di conoscenza di questa parte d’Europa, lui con la necessaria discrezione che si addice ad un alto funzionario dello Stato, io parlandogli dell’Osservatorio sui Balcani (che mi dice di seguire con attenzione) o dei progetti di cooperazione che coinvolgono le nostre comunità verso questa regione.
Ci accorgiamo di intenderci al volo. Le nostre storie personali sono così diverse che un po’ ci stupiamo nel condividere le stesse analisi sulla “postmodernità” di questi paesi, dai processi di delocalizzazione ai traffici internazionali di armi e di persone.
La tratta degli storpi
Con gli amici che accompagno in uno dei viaggi del turismo responsabile rimaniamo basiti quando Paolo ci racconta del traffico degli storpi, della tratta basata sulle disgrazie delle persone e sull’effetto verso i potenziali clienti dell’accattonaggio. «Chi, all’occhio delle organizzazioni criminali, presenta le migliori potenzialità di impiego e di affidabilità e, quindi, di profitto – ci dice – può giustificare un’offerta di “acquisto” più alta. Una specie di paradossale, tragico e disgustoso calcio-mercato ai danni di chi non ha voce in capitolo e non si può difendere».
I trafficanti si muovono attraverso annunci pubblicitari con i quali si reclutano giovani ragazze come baby sitter o badanti che poi spesso finiscono – attraverso ricatti e minacce di ogni tipo a loro o alle famiglie – nella schiavitù della prostituzione.
Vi sono Agenzie del lavoro che si occupano del reclutamento di lavoratori in vari settori, in particolare quello edile, in modo da poterli poi sfruttare chiedendo loro una percentuale sui salari futuri – percentuale che, in alcuni casi, arriva a raggiungere addirittura l’80% dello stipendio. O ancora attraverso Agenzie turistiche che procurano i documenti per l’espatrio clandestino e che poi si rivelano vere e proprie organizzazioni criminali: il prezzo che ciascun individuo deve sborsare varia dai 2 ai 3 mila dollari. Per non parlare del traffico di organi umani, in particolare la compravendita di reni. Un traffico «che ha trovato tragiche conferme da parte di chi non ha intravisto avanti a sé altre prospettive ed ha accettato di subire mutilazioni gravemente invalidanti in cambio di somme di denaro irrisorie, variabili tra i 3 ed i 7 mila dollari USA».
L’“uomo-topo” e il ruolo della politica
Storie di ordinaria follia. Ma che rappresentano una tragica realtà che investe il nostro stesso paese, meta di un’umanità perduta. Che non vogliamo vedere e che genera paura. L’“uomo-topo” – come l’ha definito Adriano Sofri parlando di Mailat, il presunto assassino di Giovanna – è il prodotto più o meno degenerato di questo contesto.
Paolo, che pure di mestiere fa il Commissario di Polizia, sa bene che «seppur di fondamentale importanza, non bastano la prevenzione di polizia e la repressione per sperare di eliminare od anche solo contenere il problema», che è necessario attivarsi «affinché il grido di allarme che da più parti viene sollevato, ad esempio, da chi si occupa di prevenzione in senso generale, ovvero del recupero delle vittime della tratta, non cada inascoltato. Campagne di informazione mirate a raggiungere le potenziali vittime, allo scopo di metterle in guardia sui rischi ai quali vanno incontro – senza tuttavia trasformare la corretta informazione in una controproducente dissacrazione intimidatoria del fenomeno migratorio in quanto tale, che potrebbe paradossalmente essere recepita come una implicita “manifestazione di non gradimento” nei confronti di determinate popolazioni – ed iniziative a favore dei Paesi di ori-gine, volte a far equilibrare sempre più il piatto della bilancia nella valutazione dei costi e benefici che inevitabilmente fa ogni individuo che si appresta a scegliere l’emigrazione illegale quale male minore per la soluzione dei propri problemi, rivestono un ruolo prioritario, di assoluta importanza nella prospettiva di porre un argine al dilagare di queste nuove forme di schiavitù, vera piaga del secolo che stiamo vivendo».
Occorre insomma che la politica faccia il proprio mestiere anziché cavalcare le paure e che le nostre comunità abbiano un po’ di memoria di sé.