Trovato a: http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/9129/1/236>
Shqipëria. Alla scoperta della repubblica delle aquile
Di Agnese Palma
Giugno 2006 - Due aquile nere su fondo rosso la bella e combattiva bandiera dell’Albania, il cui nome significa appunto Paese delle Aquile.
L’idea di approfondire la conoscenza di questo paese, di poco più grande di una regione italiana ed a noi così vicino, ci venne lo scorso anno, quando l’attraversammo tutta in mezza giornata, passando dal Montenegro alla Macedonia. Era un attraversamento mirato, alla ricerca dei luoghi in cui mio padre fu inviato, suo malgrado, a combattere la guerriglia partigiana nell’inverno ’40-’41, nei pressi del lago Ohrid.
Nonostante la fretta, l’impressione non fu certo quella di un paese poco sicuro ed aggressivo come purtroppo viene rappresentato; volevamo quindi conoscerlo meglio.
All’arrivo al porto di Durazzo siamo accolti da Erjona, responsabile del progetto Bathore (www.bathorebeach.net), nonchè studentessa universitaria, e da Aurora, una ragazza che ci accoglierà in casa sua per qualche giorno, studentessa liceale. Queste ragazze sono partite prestissimo con l’autobus per riceverci alle otto del mattino al porto, all’arrivo del traghetto.
Bathore è un quartiere periferico di Tirana, sviluppatosi in modo disordinato dal 1990, dopo la caduta del regime, con l’arrivo verso la capitale di numerose famiglie provenienti dalle montagne della zona nord dell’Albania. Il quartiere presenta tutti i problemi tipici delle periferie a sviluppo disordinato, ed ha ben poco da offrire ai numerosi giovani che lo popolano. In questo ambiente, il progetto Bathorebeach segue alcuni giovani nel loro percorso di studio, ed in futuro di lavoro, cercando di non costringerli all’espatrio. Il contributo che volentieri pagheremo per l’ospitalità servirà al finanziamento degli studi di questi ragazzi.
Dopo l’accoglienza e la colazione a casa di Aurora, dove conosciamo tutta la famiglia, torniamo insieme a Tirana, il cui centro dista solo sette km. da Bathore.
Tirana, come gran parte dell’Albania, sembra una città in ricostruzione come se avesse subito una guerra o un terremoto: vi sono cantieri e scheletri di palazzine dappertutto. Molte strade, eccezion fatta per quelle strettamente del centro, sono costellate di buche o sono in fase di sistemazione anch’esse. In particolare passiamo e ripasseremo più volte da un incrocio detto “dell’uccellino nero” (come Erjona traduce letteralmente in italiano), completamente sventrato, in cui si deve procedere molto lentamente per non finire in qualche buca o avvallamento, creando perennemente un ingorgo di veicoli. Erjona racconta che si trova in questo stato perchè il precedente governo di Fatos Nano aveva iniziato dei lavori per costruire un viadotto e dopo il recente cambio di governo (ora c’è di nuovo Sali Berisha) i lavori sono stati sospesi lasciando tutto così com’era!!!
Il centro di Tirana ruota tutto intorno alla grande piazza Scanderbeg, dedicata all’eroe nazionale della guerra contro i Turchi (XV sec.). E’ dominata dal grande mosaico sulla facciata del museo etnografico, di stile soviet. L’edificio più grazioso è la piccola moschea Ethem Bay (XVIII sec.), l’unica rimasta delle 8 moschee di Tirana. Per il suo valore artistico è riuscita a sopravvivere sia ai rifacimenti di Tirana degli anni ’30 che alle chiusure ai culti religiosi degli anni ’60. All’interno troviamo un po’ di frescura e ristoro al caldo insopportabile di questi giorni.
Diversi edifici, tra cui il quartiere dei ministeri, presentano un’architettura italiana, ed in particolare alcuni hanno lo stile tipico dell’architettura degli anni del fascismo. Tra gli edifici del rettorato universitario sembra di essere in zona EUR a Roma.
Erjona ed Aurora ci conducono a visitare la sede dell’associazione Amici dei Bambini, un’onlus con cui Erjona collabora, che si occupa di adozioni, affidi e adozioni a distanza. Chiacchieriamo con una ragazza italiana che ci parla del suo lavoro, dei bambini albanesi ospitati negli istituti e della difficoltà di poterli dare in adozione (verso l’Italia) o in affidamento (all’interno). Sembra che le donne delle famiglie più povere, ma soprattutto più povere culturalmente, mandino i loro numerosi figli negli istituti, ma non diano l’autorizzazione a farli adottare. La legge albanese consente, anche con una sola visita l’anno, di mantenere la potestà sul bambino, ed i direttori degli istituti generalmente supportano e giustificano questo comportamento! Ciò è dovuto ad un atavico e malinteso senso di orgoglio genitoriale, che consiste però più in un sentimento di mantenimento del possesso dell’autorità sul figlio che non sulle reali cure parentali.
A Tirana non c’è molto da vedere, ma non è la capitale una delle mete più interessanti dell’Albania. Per cercare un po’ di fresco e per la gioia del piccolo Saul, prendiamo la teleferica che porta in breve tempo a Dajiti, una montagna che sovrasta Tirana. L’impianto è nuovo di zecca, il percorso è lungo e costa pochissimo, in particolare se lo confrontiamo con le nostre teleferiche sulle Alpi! Nella salita, dopo aver abbandonato a valle gli scheletri delle palazzine in costruzione, sorvoliamo una fitta macchia mediterranea. La stazione d’arrivo è a 1.660 m di altezza e domina tutta la città. Da qui si vede che il verde urbano scarseggia. Del resto Tirana, che ufficialmente conta intorno ai 500.000 abitanti, negli ultimi 10 anni ha forse raggiunto il milione in conseguenza del processo di inurbamento disordinato, come è avvenuto a Bathore.
Il paesaggio di Dajiti ricorda quelli montani del nostro Appennino centrale, peccato per le immondizie abbandonate dai gitanti un po’ ovunque.
Dopo cena andiamo a visitare il centro socio-culturale di Bathore, dove Erjona dirige le sue attività, frequentato dai ragazzi del progetto e numerosi altri giovani. Sono molto orgogliosi di mostrarci questo nuovo edificio di tre piani che ha sostituito le baracche, fornito di una grande cucina e sale per lo svolgimento delle attività. Si tengono corsi d’inglese ed italiano, doposcuola per bambini e ragazzi con lezioni di sostegno, corsi di cucina, corsi di taglio e cucito.
Il corso di sartoria, destinato soprattutto alle ragazze, può forse farci sorridere, ma la realtà è che, a causa della mentalità contadina delle montagne, le ragazze sono destinate a restare a casa e quindi interrompono gli studi dopo l’istruzione elementare. C’è poco da scandalizzarsi in quanto, solo qualche decina d’anni fa, questo accadeva anche in Italia.
Questi corsi sono quindi un tentativo di fornire loro di un minimo di professionalità, pur se destinate a vita casalinga. Per fortuna le cose stanno cambiando velocemente: sono sempre di più le ragazze che proseguono gli studi, anche a livello universitario.
L’edificio è stato costruito con fondi raccolti in parte dall’associazione Amici dei Bambini ed in parte Caritas con sottoscrizioni private (e l’8xmille della pubblicità?!?).
Saul è felice di trovarsi al centro dell’attenzione dei ragazzi, chiacchiera e gioca con tutti.
Nel frattempo arriva un grosso fuoristrada da cui scendono una suora e due ragazze italiane: erano andate non so dove a vedere la partita Italia-Australia dei mondiali; parte subito una discussione calcistica, fortunatamente di breve durata.
La suora inizia a raccontarmi della sua esperienza in Albania: è qui dal 1999 e afferma che è stata dura; all’inizio avevano una baracca senz’acqua e senza luce, come del resto la maggior parte degli abitanti di questo quartiere, e non si sentivano ben accolti, anche se nessuno ha mai torto loro un capello, considerando che è un paese a maggioranza musulmana. Assicura che ora va molto meglio ma che gli albanesi sono strani, che in generale li ha sentiti aggressivi e chiusi, e che si fa molta fatica ad educarli ai “valori”....
Ammetto che il mio radicato anticlericalismo mi fa istintivamente diffidare di chiunque vesta un qualsiasi abito talare, ma non posso fare a meno di provare una sensazione di fastidio, nonostante il discorso pacato e conciliante. Si ripropone quel certo senso di superiorità caratteristico degli evangelizzatori: dietro l’interessamento (talvolta anche ipocrita) per le condizioni di vita delle popolazioni locali, in realtà si giudicano cultura e costumi locali sul metro dei propri valori giudaico-cristiani.
In questi giorni, anche per entrare nello spirito del viaggio, sto leggendo un libro di Ismail Kadarè, importante scrittore albanese, “Il generale dell’armata morta”. E’ il racconto di un generale italiano che torna in Albania dopo vent’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, con una missione particolare: ritrovare e riportare a casa le salme dei soldati italiani caduti. E’ scritto con grande profondità e sensibilità, ed ho riflettuto che non a caso le due figure rappresentative degli occupanti stranieri sono il generale ed il prete: ciascuno portatore ed impositore, con differenti strumenti e tempi, dei propri valori e della propria civiltà.
Almeno gli albanesi oggi non si scannano a vicenda per la religione ed in questo danno un bel segno di progresso: qui convivono senza problemi musulmani, ortodossi, cristiani e pare, stando a ricerche universitarie, un grosso numero di non credenti.
Il giorno seguente ci attende la visita al castello di Scutari dove ci accompagnerà, insieme ad Erjona, anche Raimonda, un’altra studentessa del progetto Bathore. La giornata è caldissima, ma sulla collina dominata dal castello soffia un piacevole venticello. La collina è coperta da una bella macchia mediterranea di melograni fioriti, mirti ed erbe aromatiche, il cui leggero profumo ci accompagnerà in molte escursioni albanesi. La vista spazia sull’omonimo lago e sulla confluenza dei fiumi Buna e Drino: una posizione veramente strategica. Risale al tempo degli Illiri (IV secolo a.c.), ma le rovine sono di epoca medievale.
Si può visitare un piccolo museo: al suo interno c’è un bassorilievo dello scultore Skender Kraja che rappresenta una donna parzialmente murata, interpretazione di una terribile leggenda popolare sulle origini del castello. Raimonda ce la racconta. Tre fratelli costruivano il castello di giorno, ma la notte le mura crollavano. Un vecchio predisse che solo con il sacrificio di una delle loro mogli, da murare nella fortezza, le mura non sarebbero più crollate. Decisero di estrarre a sorte: quella che avrebbe portato loro il cibo il giorno seguente sarebbe stata sacrificata. Naturalmente dovevano tacere con le mogli, ma solo uno rispettò il patto e quindi le altre fecero in modo che andasse proprio sua moglie. La donna accettò il sacrificio, ma chiese di essere murata per metà perchè aveva un figlio piccolo: così avrebbe avuto scoperto un occhio per guardare il bambino, una mammella per allattarlo, una mano per cullarlo.
Il pranzo a Scutari merita una citazione: le nostre accompagnatrici conoscono un buon ristorante, ma sono esitanti a proporcelo perchè costoso. Qui è facile essere generosi e le incoraggiamo senz’altro; alla fine pagheremo poco più di 8 euro a persona. Il ristorante Tradita risulterà essere il migliore del nostro viaggio in Albania: si trova in un bell’edificio in pietra restaurato di recente, arredato con gusto con molti oggetti tradizionali che il proprietario si vanta di collezionare. Afferma con orgoglio che sia il console che l’ambasciatore italiano sono suoi clienti e non mi stupisce affatto: gli italiani sono sempre sensibili ai posti dove si mangia bene... Chiediamo piatti tradizionali e sono tutti buonissimi, dall’aperitivo ghiacciato di succo di corbezzolo, per continuare con un coccio di formaggio di pecora caldo e speziato, arrostini di carne e salsicce, verdure varie per terminare con un gelato di frutti di bosco fatto in casa. Mio marito trova molto apprezzabile anche il raki (grappa) di ginepro.
Dalla cucina tradizionale si può capire molto dei popoli: gli albanesi hanno una cucina di terra, al pari di alcuni altri popoli mediterranei, segno che pur avendo molta costa si tenevano a distanza dal mare, da cui si aspettavano solo pericoli.
Visitiamo il Ponte di Mezzo, tipico ponte in pietra di stile ottomano, a dorso d’asino; sembra sia stato usato fino in tempi relativamente recenti, dismesso solo con l’avvento delle automobili. Sotto scorre un fiume cristallino e nel torrido pomeriggio estivo è pieno di giovani maschi vocianti che fanno il bagno.
Torniamo a Tirana per vedere il museo storico-etnografico, più storico che etnografico, sulla piazza Scanderbeg. La signora che ci fa da guida parla inglese perchè la guida parlante italiano momentaneamente non c’è, ma ci sarà lo stesso di grande aiuto perchè tutte le didascalie sono in albanese.
Ripercorre la storia dell’Albania dalla preistoria ai nostri giorni e fa un certo effetto vedere anche un pezzo della nostra storia recente, vederci (noi italiani) come “occupanti”, pure se la guida sorvola velocemente e diplomaticamente.
Un grosso cartellone riporta la riproduzione di una vecchia foto color seppia che ritrae una graziosa giovane ragazza in costume tradizionale: rimaniamo allibiti nel sapere che è madre Teresa di Calcutta a 18 anni! Effettivamente sapevo che madre Teresa, nata Agnes Gonxha Bojaxhiu, era nata nella zona balcanica, precisamente nel Kosovo, ma mai avremmo potuto collegare quella bella ragazza all’immagine che tutti conosciamo di madre Treresa.
Hanno anche inserito una parte finale nel percorso, dedicata ai crimini del comunismo, o meglio ai crimini di Henver Hoxa. La guida riferisce che l’inserimento di questa sezione è stato sofferto e discusso in quanto ancora oggi ci sono opinioni e giudizi diversi su quel periodo, e io immagino oggi più di quindici anni fa, dopo illusioni e disillusioni del modello capitalistico. Purtroppo il museo sta chiudendo e non c’è tempo per intavolare un interessante scambio di idee sull’argomento. Riesco solo a dirle che, a mio parere, i morti sono morti e in quanto tali dovrebbero essere tutti uguali, pur sapendo che purtroppo non è affatto così, e che io e mio marito siamo di idee comuniste e crediamo prima di tutto nella pace, nella democrazia e nel rifiuto della violenza.
Il caldo torrido ci ha prostrati ed il piccolo Saul non sta bene, ha qualche attacco di vomito e la sera, nel centro sociale di Bathore, non riesce a giocare come vorrebbe con i suoi nuovi amici, che si prodigano per consolarlo. Roland, un ragazzo di 18 anni che parla con grande maturità per la sua età, ha portato la videocassetta del matrimonio di una sua cugina, che vive in un paese della zona nord montuosa: è l’occasione per spiegarci il matrimonio tradizionale albanese. Non posso fare a meno di notare le molte analogie con il matrimonio cui finimmo invitati lo scorso anno in Macedonia. I ricevimenti, che iniziano a casa della sposa, vanno avanti per tre giorni e sembrano una prova di resistenza fisica per gli sposi.
Il mattino successivo Roland e Mrjeta ci accompagnano a Leizha, posto balneare, ma prima proviamo a visitare il mausoleo di Scanderbeg, morto qui di malaria. C’è gran movimento e il mausoleo stamattina è chiuso: stanno aspettando la visita del presidente del Kosovo.
La spiaggia di Leizha è ampia, di sabbia scura, discretamente affollata di bagnanti per essere fine giugno, disseminata d’immondizie come nelle nostre vecchie migliori tradizioni italiane di spiaggia libera. Per la regola che non s’impara mai dagli errori degli altri, stanno costruendo una serie di alte palazzine lungo la costa. Se non fosse per la presenza degli immancabili bunker questo posto potrebbe essere tranquillamente scambiato per Torvaianica o Nettuno o Ladispoli...
Una parentesi sui bunker: Hoxa, nel suo delirio isolazionista, ne fece costruire centinaia di migliaia in tutta l’Albania, per prepararsi all’attacco del resto del mondo. Se fossi il Parlamento albanese li farei dichiarare monumento nazionale e restaurare, come fossero le cabine telefoniche rosse londinesi o i trulli pugliesi: si può ben dire che caratterizzano tutto il paese. Mi dicono che qualcuno li usa come cantina, c’è chi pensa di trasformare quelli più grandi in bungalow per campeggio, sulle spiagge qualcuno li ha verniciati a vivaci colori.
Noi siamo un po’ delusi dalla spiaggia ma Saul, che ora sta benissimo, si diverte, e facciamo il bagno. Ci consoliamo con un ottimo branzino alla griglia ed un buon caffè espresso. Il ristoratore fa subito sapere che lui cucina bene anche la pasta.
Roland sostiene che il mare è molto più bello al sud, ma loro non lo propongono in quanto è lontano da Tirana e meno accessibile come strade, e capiremo poi perchè!
Abbandonata la spiaggia torniamo al mausoleo di Scanderbeg che riusciamo finalmente a visitare, chiamando però al cellulare il guardiano (il cui numero è sul cartellone!); dopo lo stress delle visite presidenziali se n’era andato a mangiare.
E’ un memorial imponente ma sobrio, e solo molto tempo dopo realizzerò, riflettendo su una vaga sensazione di deja-vu, che il monumento equestre che caratterizza a Roma piazza Albania è dedicato proprio a Giorgio Castriota Scanderbeg! Trattandosi di “piazza Albania” in fondo era ovvio, ma sfido a chiedere a qualsiasi romano se conosce il personaggio a cavallo... Fu collocato nella piazza nel 1940, durante il fascismo, l’anno dopo l’invasione italiana dell’Albania. S’invade un paese, ma gli si rende omaggio con un monumento al suo eroe nazionale! Come se a Tel Aviv in un’ipotetica “piazza Palestina” avessero eretto un monumento ad Arafat.
Per una strada sterrata arriviamo a quella che loro chiamano isola di Leizha, che in realtà si raggiunge via terra in quanto è una penisola. Si tratta di un bosco attraversato da un fiume, al cui interno c’è un bel complesso di edifici in pietra e legno in stato di semi abbandono. Un tempo era una sorta di residenza estiva del ministero degli esteri, e mi domando quali rappresentanti di Stati esteri ricevessero, visto l’isolamento del vecchio regime! Ora lo Stato lo ha venduto a privati che in un primo momento non ci fanno entrare, ma dopo ci consentono di visitare l’edificio, in parte ancora funzionante, dietro pagamento di una piccola mancia.
Il lungo pomeriggio estivo si completa con posto un posto veramente bello. Salendo a nord del quartiere di Bathore, dopo un’ora di strada sterrata malmessa e guadando persino un torrente (dovrei mandare una foto alla Fiat per la pubblicità della nuova Panda 4x4, che è andata benissimo....) raggiungiamo un lago artificiale circondato di macchia mediterranea, dove si apprezza un senso di pace, silenzio e frescura. Proprio sotto la diga, il torrente scorre nella gola da lui stesso creata, in un bel gioco di rocce scavate, formando a tratti pozze d’acqua limpidissima.
Ci sono alcuni ragazzi: vengono qui da Bathore, in bicicletta o su sfiatati motorini, per fare il bagno. Roland si tuffa ed anche mio marito fa il giovincello e lo segue, rischiando l’infarto dato che un’acqua così limpida e corrente non poteva che essere gelida! C’è un discreto traffico di camion che prelevano materiale inerte, criticato da Roland perchè senza regole; si pensa solo a sfruttare il più possibile le cave ed i letti dei torrenti per ricavarne materiale da costruzione.
Qui si conclude la nostra permanenza con i ragazzi del progetto Bathore, veramente gentili, disponibili ed ospitali. D’ora in poi proseguiremo da soli, prima di tutto alla volta di Berat. Per i primi 80 km circa la strada è buona, poi peggiora e si restringe, ma fortunatamente l’Albania è piccola e le distanze sono limitate.
Berat è una città museo molto caratteristica, detta la “città dalle mille finestre”, perchè le vecchie case ne presentano almeno cinque sulla facciata esterna. C’è un bel colpo d’occhio osservando le case storiche dal fiume, addossate al pendio della collina dominata dal castello ottomano.
Saliamo fino al castello, nel cui complesso ci sono abitazioni tuttora utilizzate, ma sembra disabitato perchè è mezzogiorno e le belle strade lastricate in pietra riflettono il calore implacabile del sole.
Le case del centro storico sono percorse da vicoletti anch’essi lastricati in pietra. Ci dirigiamo verso una delle case più belle e scopriamo che si tratta di un piccolo museo etnografico, una casa museo dove ci consentono di entrare nonostante non sia ancora orario di apertura.
Nei pressi del castello si erge una colonna commemorativa della resistenza partigiana: non ha nulla di particolare se non l’iscrizione, che ovviamente non capisco, ad eccezione del finale: “...TE LIBERATIT DHE BATALIONIT ANTONIO GRAMSHI 1943-1944”. E’ evidente, nonostante l’errore d’ortografia, che si riferisce ad un certo “battaglione Antonio Gramsci”. Perchè gli albanesi citano Gramsci? Possibile che per sfregio avessero dato il nome di un oppositore del fascismo a qualche loro brigata partigiana che combatteva anche contro gli italiani?
Al ritorno a casa provo a fare qualche ricerca e scopro che il battaglione Gramsci era costituito da tremila soldati italiani che dopo l’otto settembre 1943 scelsero di combattere contro i tedeschi, insieme alla resistenza albanese, e contribuirono alla liberazione di Tirana.
Dopo l’8 settembre in Albania, al pari della Grecia e degli altri paesi balcanici, i nostri soldati finirono bersaglio dei tedeschi, fucilati o deportati, e per ironia della sorte moltissimi sbandati furono nascosti ed aiutati proprio da quelle popolazioni di cui erano stati occupanti.
La strada da Berat ad Argirocastro è tutta un saliscendi di curve che si snodano tra campagne coltivate a grano, cereali, granturco, qualche oliveto e vigneto, ci vorranno circa tre ore.
La città di Argirocastro è caratterizzata dal castello e dalla cittadella storica arroccata sulla collina. Il centro storico non è ben tenuto come lo era a Berat, ma ha il fascino del luogo storico non turistico. Una cittadella storica come questa, in Italia, sarebbe zeppa di negozietti di souvenir, artigianato, ristoranti e bar. Qui invece le botteghe sono quelle normali di un vecchio paese, quelle che servono alla gente che ci vive e non al turista di passaggio.
Dall’alto si può ammirare il lungo dedalo di strade lastricate in pietra, davvero intatte. Dopo l’esperienza di Berat, spostiamo la visita approfondita per il mattino presto, per evitare l’eccessiva calura di questi giorni.
Il castello è imponente e meriterebbe un restauro, considerando che la cittadina di Argirocastro è stata iscritta nel patrimonio UNESCO nel 2005. Speriamo che questo porti loro qualche fondo e più turismo.
All’interno del castello c’è un museo di stile molto soviet, dedicato in particolare alla guerra partigiana. Pur se non riesco a capire a causa della lingua, ho realizzato che gli albanesi non hanno fatto di tutta l’erba un fascio, nel vero senso del termine e del gioco di parole, dedicando un qualche tributo anche agli italiani oppositori del fascismo ed alla nostra Resistenza. Come per la colonna del battaglione Gramsci, in una teca è esposto un libro di Walter Audisio, il famoso colonnello Valerio che eseguì la condanna a morte di Mussolini.
Ci spostiamo a sud, verso il mare; la strada interna per un lungo tratto si rivela migliore del previsto, asfaltata di recente. Poco prima di arrivare nella cittadina di Saranda cerchiamo non troppo convinti una deviazione per Kepi i Cefalit, come riporta la carta, e la troviamo! Avevo letto di questo posto, conosciuto come baia di Kakome, sul sito di Osservatorio Balcani; sembra che il governo voglia venderlo al Club Med, ma i contadini si oppongono al progetto.
Dopo 4-5 km di strada sterrata, sempre tra macchia mediterranea e qualche vecchio olivo contorto, si arriva ad una baia con spiaggia a ciottoli affacciata su un mare verde cristallino. Ci sono dei vecchi edifici in rovina ed un molo, segno evidente che un tempo non lontanissimo c’era qualche insediamento: dal tipo di edifici doveva trattarsi di una colonia o di militari. Non c’è quasi nessuno, ed il mare invita ad un bagno rigenerante. Peccato per qualche rifiuto sparso sulla spiaggia, in questo caso portato soprattutto dal mare; qui nessuno pensa a ripulire le spiagge.
Il pomeriggio caldo e l’acqua limpida e verde sono troppo invitanti per non fare il bagno. Non c’è quasi nessuno, a parte le mucche e le capre che arrivano a pascolare fin sulla spiaggia e addirittura una scrofa con dei maialini! I soliti bunker e gli edifici diroccati danno a questo posto un fascino ruvido e selvaggio, che mi ricorda quello dell’Argentiera in Sardegna.
Suppongo che non durerà a lungo, prima o poi il Club Med o altri similari ci metteranno sopra le unghie. Forse per gli albanesi sarà meglio così, cercano giustamente lo sviluppo, ma riusciranno ad evitare di farsi stravolgere?
L’albergo lo cerchiamo a Saranda, dove ci sono decine di strutture, anche di buon livello ed a prezzi veramente economici. La cittadina è tipicamente balneare, con discreta animazione serale, passeggio sul lungomare, ristoranti, bancomat, minigonne, abbronzature, pizze e gelati, non manca proprio nulla. Neanche le maxi TV nei locali per non perdersi i mondiali di calcio....
Il mare anche qui non è male, ma noi ormai torneremo solo alla scomoda ma bella baia di Kakome per la nostra breve permanenza balneare.
Cercando rifugio al sole implacabile dell’ora di pranzo, un giorno scopriamo il castello di Lekuresi, ben restaurato con giudizio, che ospita un bar ristorante. In un portichetto si scorge anche un affresco che sembra d’epoca bizantina. Il castello occupa la cima di una collina ed il panorama sull’interno, sul mare e sull’isola di Corfù è grandioso.
A pochi chilometri da Saranda c’è il sito archeologico di Butrinti, che sarebbe un delitto non visitare.
La strada costeggia il mare ed un grande lago costiero, la vista si rilassa tra bei paesaggi mediterranei ed i colori del mare e del lago. Un lungo tratto è disabitato e sembra sia stato dichiarato parco nazionale, fortunatamente. Questo dovrebbe preservare l’area dalla selvaggia febbre edilizia che sta imperversando in Albania.
Il parco archeologico è senza dubbio il meglio tenuto dell’Albania, grazie al fatto che è patrimonio UNESCO e grazie al contributo di una fondazione di lord inglesi specifica per Butrinti. La visita è piacevole in quanto i sentieri sono ombreggiati e piacevolmente ventilati. Si trova in bellissima posizione, vicinissima all’isola di Corfù, e il clima era apprezzato già dal tempo degli antichi romani, a detta delle testimonianze ritrovate.
Fu quindi abitata sin da tempi antichissimi: la leggenda vuole che sia stata fondata dagli esuli della guerra di Troia, certamente fu insediamento greco, poi piccolo porto romano forse fino al VI secolo. In seguito fu coinvolta in parte nelle stesse lotte ed occupazioni della vicina Puglia, conoscendo i Normanni, gli Angioini ed una breve occupazione di Venezia (di cui conserva un piccolo castello), per arrivare infine all’occupazione ottomana.
Nei pressi della biglietteria, alcune pietre disseminate nel prato ricordano la visita al sito di alcuni capi di Stato e di governo e poteva mancare l’immancabile Silvio? Dopo il presidente operaio, il presidente panettiere, il presidente cantante ed animatore, ci voleva il presidente turista. Involontariamente (credo), gli albanesi hanno però creato un effetto comico avendo storpiato il nome in “BERLUSKONI”, scritto con la K, come quando negli anni ’70 si scriveva “Kossiga” invece di Cossiga, in senso autoritario e dispregiativo.
Ormai giunti al termine del nostro viaggio risaliamo verso Durazzo lungo la strada costiera.
Da Saranda fin quasi a Valona la strada è veramente pessima! Per fortuna ci siamo avviati per tempo, altrimenti avremmo corso il rischio di perdere il traghetto dato che tra buche, sterrata, strettoie e precipizi si deve procedere piano e con molta attenzione. La contropartita, non avendo fretta, è quella di ammirare la più bella costa dell’Albania, degna delle migliori coste sarde, ma ancora deserte e selvagge! La strada s’inerpica alta lungo la costa, panoramica sul mare azzurro, tra olivi secolari e profumi di erbe aromatiche selvatiche seccate dal sole.
Ci concediamo gli ultimi bagni nella baia di Gjiri i Palermos, una lunga spiaggia a ciottoli di almeno tre chilometri, semideserta. Altro posto fantastico è Gjiri i Spilese, dove ci fermiamo a mangiare in un ristorantino sul mare: il proprietario ci dice che sta pensando di attrezzare un campeggio, visto che in zona non ci sono posti dove dormire. Potrebbe essere un’idea, in effetti qui in Albania non ne abbiamo visto neanche uno. C’informa che a Roma c’è piazza Scanderbeg. Penso che si stia confondendo con piazza Albania, ma al ritorno scopro che aveva ragione lui: a Roma c’è sia piazza che vicolo Scanderbeg, nei pressi addirittura di fontana di Trevi.
Prima di Valona la strada migliora molto, la stanno ricostruendo ed allargando. Anche il litorale si fa più moderno ed attrezzato, con stabilimenti ed ombrelloni, e questo lo rende più confortevole ma di minor fascino.
Proprio a proposito di spiagge attrezzate voglio fare un’ultima considerazione. Su sdraio e ombrelloni ci è capitato di leggere nomi tipo “Marisa” o “La Conchiglia”, oppure vedere vecchie pompe di benzina con marchio API o AGIP scolorito e ancora l’indicazione “lire” sull’importo (mentre ovviamente è tarata per i lek), ed a Tirana molti autobus pubblici avevano il familiare colore giallo ocra dell’ATAC romana. Un bus portava ancora la scritta COTRAL (azienda di trasporti del Lazio), evidentemente anche la riverniciatura è un lusso.
E’ chiaro che arrivano qui le nostre “dismissioni”, pubbliche o private che siano. Mi ha confortato sapere da un conoscente che lavora all’ATAC romana che, a fronte di rinnovi del parco macchine, questi mezzi vengono regalati a paesi poveri, con tutti i pezzi di ricambio relativi, ed addirittura organizzati corsi per i meccanici. Spero che anche gli altri si siano comportati come il comune di Roma, e non ci sia dietro un business.
Posso chiudere solo augurando all’Albania di crescere bene, democraticamente e intelligentemente, e di non essere più, un giorno, la parente povera di nessuno.
Chi siamo
L’equipaggio era formato da me, mio marito e mio figlio Saul di quattro anni.
Informazioni generali pratiche
Strade. Le direttrici principali sono generalmente in discrete condizioni ed asfaltate, ad eccezione del tratto di costa a sud di Valona fino a Saranda, veramente pessimo ma dai panorami incantevoli, ci vogliono circa due ore per 100 km. In generale attenzione alle buche, anche dentro le città. La polizia stradale è frequente ma punta gli albanesi.
Rifornimenti. Non ci sono problemi di rifornimento di gasolio e benzina. La verde costa 135 lek (1 euro circa).
Ristoranti. Economici. Sulla costa si magia ovunque pesce fresco a circa 8 € a persona.
Alberghi. Dignitosi con aria condizionata generalmente a 30€ per la doppia.
Frontiere. A Bari per Durazzo si pagano 4 € a persona e 4 € per la macchina come tassa d’imbarco. La carta verde qui non è valida, si deve stipulare a Durazzo un’assicurazione obbligatoria, 15 gg è il minimo, costa 53 €. I controlli sono un po’ caotici e lenti, ma niente in confronto alla burocrazia di paesi “civili e tecnologici” quali gli USA, ad esempio.
A Durazzo per Bari si pagano 5 € a persona e 7€ per la macchina come tassa d’imbarco.
Telefono cellulare. C’è campo quasi dappertutto (Tim ed Omnitel), meglio che in Italia.