Sonja Biserko
Sonja Biserko, presidente del Comitato Helsinki serbo, insiste sulla necessità del dialogo tra albanesi e serbi del Kosovo, ma anche sulla necessità di fornire ai serbi delle enclavi una prospettiva diversa da quella di essere ostaggio dei giochi di potere di Belgrado. Un'intervista
Può raccontarci quali sono le vostre attività in Kosovo? In quale progetto siete impegnati attualmente?
Il Comitato Helsinki lavora in Kosovo da anni, innanzitutto nel tentativo di creare canali di dialogo tra le comunità albanese e serba, a tutti i livelli. Il progetto nel quale siamo impegnati al momento vuole invece soprattutto sviluppare la comunicazione con i serbi delle enclavi, dimenticati da Belgrado e spesso strumentalizzati, senza dare loro una prospettiva realistica sul proprio futuro. I nostri obiettivi sono parlare con la leadership di queste comunità, capire quali sono i problemi che affrontano, e illustrare loro il piano Ahtisaari, le modalità attraverso cui l'integrazione della comunità serba dovrebbe avvenire e per quali motivi non dovrebbero lasciare il Kosovo. Sfortunatamente il nostro primo incontro, a Strpce, è stato ostacolato da un gruppo di persone chiaramente organizzate da Belgrado, che hanno voluto intimidirci per impedire ogni genere di normalizzazione sul terreno.
Cos'è successo di preciso a Strpce?
Eravamo in un ristorante per programmare le attività previste, quando ci hanno detto che una piccola folla si era raccolta di fronte al locale. Abbiamo deciso di uscire dal ristorante, ma una volta fuori siamo stati aggrediti dal lancio di uova e sassi. Nessuno è rimasto ferito, e ci siamo allontanati. Dopo un paio d'ore, mentre andavamo via da Strpce in autobus, ci siamo imbattuti nello stesso gruppo di persone, stavolta meno numerose, che hanno ripetuto il lancio, stavolta contro il mezzo con cui viaggiavamo.
Voi avete la possibilità di dialogare con i serbi del Kosovo. Quali sono le loro riflessioni dopo la dichiarazione di indipendenza di Pristina?
Credo che, soprattutto a causa della propaganda di Belgrado, e del comportamento dell'élite politica serba, sia diffuso un generale senso di paura. Recentemente abbiamo tenuto a Belgrado una serie di incontri in cui serbi e albanesi hanno parlato tra di loro, ed in modo davvero fruttuoso, del proprio futuro. L'evento ha sollevato un certo interesse dei media, ma non quanto avrebbe forse meritato un tema di tale importanza. I politici di Belgrado sperano ancora in qualche cambiamento della situazione, nella divisione del Kosovo, non accettano la nuova realtà sul campo e sognano di raggiungere i propri obiettivi con l'appoggio di Mosca. Il nostro fine è quello di non sfuggire dalla realtà, e di spiegare ai serbi del Kosovo quali siano i vantaggi dell'integrazione. Il Kosovo è uno dei nostri vicini, la Serbia non è lontana e abbandonare le proprie case significa passare decenni della propria vita a cercare di normalizzare la propria vita.
Cosa accadrà dopo le elezioni parlamentari in Serbia del prossimo 11 maggio? Il linguaggio politico nei confronti del Kosovo sarà radicalizzato in campagna elettorale. Esiste la possibilità che questa tendenza muti nel futuro?
Credo che i serbi del Kosovo verranno utilizzati come base elettorale, soprattutto da Kostunica, che non ha altro da offrire se non il patriottismo. Fino all'11 maggio, quindi, credo che sarà piuttosto difficile lavorare nelle zone serbe del Kosovo. Se il blocco moderato risulterà vincitore, credo che ci si concentrerà sulla prospettiva europea della Serbia, e il nuovo governo riuscirà ad avere un forte supporto da parte dell'Ue. Se invece a vincere saranno i radicali, il cosiddetto blocco populista, sono convinta che l'agenda politica serba sarà totalmente diversa, e che la questione del Kosovo verrà sfruttata ampiamente.
Le autorità serbe tenteranno di tenere le elezioni anche sul territorio del Kosovo, come già avvenuto in passato, nonostante la dichiarazione di indipendenza. Secondo lei quale dovrebbe essere la reazione di Pristina?
I recenti incidenti hanno mostrato che la Serbia è in grado di operare liberamente in Kosovo, nonostante l'indipendenza, e che l'Unmik non ha il pieno controllo del territorio. La realtà del Kosovo, oggi, è fatta di due realtà parallele, e non esiste nessuna autorità in grado di coprire l'intero Kosovo. Questa realtà è stata provata sulla propria pelle durante gli scontri di Mitrovica, e tutti sappiamo come sono andate a finire le cose. Credo che se l'Unmik mostrasse maggiore decisione, questo cambierebbe l'atteggiamento dei serbi del Kosovo, che guarderebbero a Pristina come loro capitale, o perlomeno sarebbero più aperti a partecipare alla vita politica kosovara. Nelle ultime elezioni in Kosovo, di fatto ai serbi che vivono qui è stato impedito di partecipare, e alla fine chi ci ha rimesso sono stati proprio loro.
Lei ha parlato di spartizione del Kosovo...
Credo che la spartizione sia stato l'unico piano sul Kosovo ideato a Belgrado negli ultimi trenta anni. In questi ultimi anni non è stata mai menzionata ufficialmente, ma a livello non ufficiale è proprio questa la strategia seguita, anche creando un'atmosfera in cui viene sottolineata ossessivamente l'importanza del Kosovo per l'identità culturale, emotiva e psicologica della Serbia. Quando a Belgrado hanno capito che la comunità internazionale era contro ogni forma di spartizione, hanno iniziato ad insistere sulla continuazione dei negoziati, ma che non sono stati presi seriamente dalle stesse autorità serbe. Il fatto che siano stati tirati fuori modelli politici tra i più svariati, come ad esempio quello di Hong Kong, mostra che in realtà non c'era alcun piano se non quello della divisione.
Crede che gli incidenti di Mitrovica fossero un passo verso la richiesta di spartizione?
Sì, assolutamente. L'idea è quella di dimostrare che le due comunità non possono vivere insieme, e che la convivenza può portare a incidenti. Al momento la prospettiva di nuovi incidenti non può essere esclusa, ma credo che la comunità internazionale sia nella massima allerta.
Questi incidenti sono stati raccontati dai media di Belgrado come un attacco deliberato dell'Unmik nei confronti dei dimostranti. Crede che i media stiano giocando per l'ennesima volta un ruolo negativo?
I media sono stati strumentalizzati dal potere negli ultimi venti anni, e limitandosi a leggere le notizie pubblicate dalla stampa di Belgrado si potrebbe pensare che sia stata l'Unmik ad attaccare i dimostranti. Resta il fatto, però, che un poliziotto del contingente Onu è morto dissanguato, visto che per due ore nessuno gli si è potuto avvicinare per aiutarlo. Dall'altra parte, ad essere ferito in modo grave, tra i manifestanti, è stato un poliziotto serbo della KPS. Se guardiamo nei dettagli di questa storia, sono molti i conti che non tornano.