Trovato a: http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/9448/1/245>
Sarajevo, marzo 2008 (foto M. Fontasch)
Dopo l'approvazione della riforma della polizia, la Bosnia Erzegovina si avvia a firmare l'Accordo di Associazione con Bruxelles. I contenuti della riforma sono stati però sacrificati di fronte al rischio di instabilità regionale dopo l'indipendenza del Kosovo. Nostro commento
Luce verde per la firma dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione (ASA) per la Bosnia ed Erzegovina. L’accordo sarà firmato molto probabilmente il 28 aprile prossimo, o in alternativa il 26 maggio, ma di fatto oramai la strada è stata spianata. Lo ha confermato Olli Rehn il 16 aprile scorso, immediatamente dopo che entrambe le camere del Parlamento della Bosnia ed Erzegovina avevano approvato le leggi necessarie per la riforma della polizia. Tali provvedimenti consistono nella legge sul “Direttorato per il coordinamento dei corpi di polizia” e nella legge sulle “Agenzie per il supporto delle strutture di polizia in Bosnia ed Erzegovina”, che prevede la creazione di una serie di istituti volti a coadiuvare il lavoro delle agenzie di polizia nel Paese.
In sospeso fino all’ultimo
L’adozione di queste leggi dà attuazione alla “dichiarazione di Mostar”, il documento multipartito che era stato firmato dai rappresentanti delle maggiori forze politiche bosniache lo scorso novembre, e che aveva consentito la parafatura dell’ASA. L’adozione della “dichiarazione di Mostar” era giunta al termine di una crisi istituzionale che per lungo tempo era sembrata senza via d’uscita.
La “dichiarazione di Mostar” aveva stabilito che ulteriori riforme della polizia sarebbero state adottate solamente dopo l’entrata in vigore della nuova Costituzione. Il percorso di adozione di queste due importanti leggi non è stato dunque facile e, ad un certo punto, l’accordo raggiunto con la “dichiarazione di Mostar” era sembrato in pericolo. A metà febbraio l'SDA (Partito di Azione Democratica) e l'SBIH (Partito per la Bosnia Erzegovina) avevano praticamente ritirato il proprio sostegno alla dichiarazione annunciando che avrebbero votato contro la bozza delle leggi approvate in Parlamento. Secondo questi partiti infatti i principi contenuti nella dichiarazione di Mostar non presentavano garanzie sufficienti per la creazione di una polizia centralizzata. L'SDA aveva anche ribadito che la riforma della polizia non era necessaria per la firma dell’ASA.
L'Ufficio dell'Alto Rappresentante (OHR) a quel punto era intervenuto con un comunicato stampa, precisando che non c’era altra soluzione per la firma dell’ASA e che la riforma della polizia doveva essere adottata così come previsto dalla “Dichiarazione di Mostar”.
Alla resa dei conti, quando si è arrivati al voto nelle due camere del Parlamento, nessuno dei partiti politici bosniaci si è voluto assumere la responsabilità di rimandare ulteriormente la firma dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione, e si sono quindi o astenuti o non hanno sollevato la questione degli interessi vitali che può bloccare l’intero procedimento.
La controversa riforma della polizia
L’adozione delle leggi sulla riforma della polizia è avvenuta solo dopo che l’Unione Europea aveva progressivamente ridotto i requisiti richiesti alla Bosnia ed Erzegovina per la conclusione dell’ASA. Inizialmente il modello di riforma della polizia, auspicato a suo tempo da Paddy Ashdown, era molto più ambizioso e controverso: si prevedeva infatti la creazione di un’unica struttura di polizia sotto la guida del Consiglio dei Ministri della Bosnia ed Erzegovina, e la creazione di regioni di polizia che non tenessero conto della linea di separazione tra le due entità (IEBL). Tale proposta aveva da sempre incontrato l’opposizione dei vari governi della Republika Srpska, ultimo tra i quali quello di Dodik, che della riforma della polizia aveva fatto uno dei punti principali della propria linea politica.
La proposta di Ashdown era già stata criticata dallo European Stability Initiative (ESI) che, in un recente rapporto (“The worst in class: How the international protectorate hurts the European future of Bosnia and Herzegovina”), aveva illustrato come la proposta Ashdown proponesse un modello di polizia centralizzato che rifletteva più una scelta di Ashdown che il risultato di un’attenta analisi della situazione. Il team di esperti dell’Unione Europea che si era occupato della possibile revisione delle forze di polizia, nel rapporto “Financial, Organisational And Administrative Assessment of The Bih Police Forces And The State Border Service: Final Assessment Report”, non aveva poi riscontrato che la presenza di un così gran numero di forze di polizia fosse una debolezza istituzionale di per sé: tale situazione era infatti compatibile con gli standard già esistenti in Europa (per esempio sia in Svizzera che nei Paesi Bassi vi sono circa 20 forze di polizia locali). Il problema, secondo loro, sussisteva nella mancanza di coordinamento tra queste forze di polizia.
Secondo quanto raccomandato dagli esperti UE, tra i criteri da prendere in considerazione per la riforma della polizia vi era quello di privilegiare un processo di consultazioni locali rispetto a quello di una riforma imposta dall’alto. Alquanto polemicamente, ESI faceva del resto notare che agli altri Paesi dell’ex Jugoslavia non erano state imposte condizioni così rigide per la firma dell’ASA e che, nel caso ad esempio della Macedonia, l’ASA era stato firmato addirittura quando il Paese era sull’orlo di una guerra civile. In sostanza, il processo di adesione all’Unione Europea della Bosnia ed Erzegovina era prigioniero della decisione unilaterale di Ashdown di favorire un certo modello di riforma della polizia, centralizzato e a scapito delle entità.
Cambio di rotta
Favorire la centralità a scapito delle entità, tradotto nella logica della competizione politica bosniaca, significa favorire i partiti che più di altri aspirano a centralizzare la Bosnia ed Erzegovina e cioè l'SDA e l'SBIH, i principali partiti bosgnacchi. Ciò crea una reazione uguale e contraria nei partiti della Republika Srpska (RS) che mirano a preservare le prerogative di quella entità, e la sua relativa autonomia. Non solo. Milorad Dodik, molto più dell'SDS (Partito Democratico Serbo), ha come obiettivo quello di resistere a tale centralizzazione, e di riprendersi le competenze che la RS ha trasferito a livello centrale nel corso di questi anni. Fondato o meno, questo timore blocca le possibilità di dialogo e rafforza le posizioni dell’uomo forte di Laktasi all’interno della RS.
Consapevole della potenziale pericolosità di questa situazione, nell’agosto del 2007 l'OHR ha fatto circolare tra i maggiori partiti politici della Bosnia ed Erzegovina un Protocollo sulla riforma della polizia. Il testo non è stato reso pubblico, ma è facile ritenere che sia stato alla base della “dichiarazione di Mostar”. Tale dichiarazione infatti prevedeva che inizialmente si dovessero adottare solamente le leggi sul “Direttorato per il coordinamento dei corpi di polizia” e sulle “Agenzie per il supporto delle strutture di polizia in Bosnia ed Erzegovina”. Per quanto riguardava la creazione di una futura forza di polizia unica e le relazioni tra questa e le forze di polizia locali, il discorso veniva rimandato alla riforma costituzionale e all’assetto che avrà il Paese dopo tale riforma.
Di fatto, l’ambiziosa riforma voluta da Ashdown è stata, nel migliore dei casi, posticipata, e il modello di riforma che è stato ora approvato mira più a soddisfare le condizioni per la firma dell’ASA che a centralizzare le forze di polizia. Ciò ha provocato le reazioni negative dell'SDA, SBIH e anche dell'SDP (partito socialdemocratico), che hanno visto questa riforma come un successo dei partiti della RS. Ciò nonostante, questi partiti non se la sono sentita di bloccare il processo di adesione. Nel corso di questi mesi, la UE ha infatti dato chiaramente ad intendere che una volta passata la riforma non ci sarebbero stati altri ostacoli verso la firma dell’Accordo, aumentando di fatto la pressione su coloro che non erano d’accordo con le riforme proposte.
La situazione vista da Bruxelles
L'Unione Europea non poteva permettersi di mantenere la situazione in sospeso. La dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo, lungi dal portare stabilità alla regione, favorisce e rafforza le opzioni secessioniste nella RS. La UE si è presentata divisa sul Kosovo e si è preoccupata più volte di sottolineare (in modo alquanto contraddittorio) che l’indipendenza della provincia “non rappresenta un precedente”. Allo stesso tempo, però, la UE ha una posizione comune sulla Bosnia, dove secessioni unilaterali non verrebbero riconosciute. In questo senso, la UE si è preoccupata di mandare dei segnali precisi alla Bosnia e soprattutto di rendere possibile l’accesso all’UE anche allo scopo di evitare future tendenze separatiste. Lajcak stesso ha ricordato come una volta firmato l’ASA nessun Paese ha poi mancato l’ingresso nell'Unione. In questo senso, la firma dell'ASA diventa anche un modo per scongiurare una futura instabilità e per togliere tentazioni secessioniste ai leader serbo-bosniaci. Questo approccio potrebbe rendere più semplice anche la riforma costituzionale, rimuovendo dalla discussione alcuni punti controversi quali per esempio l’eventuale diritto alla secessione delle componenti della BiH. Ciò contribuirebbe a far scendere la temperatura del dibattito costituzionale all’interno del Paese, rendendo più facili le riforme sulla struttura interna dello Stato.
La preoccupazione, dopo le tensioni politiche del 2006 e 2007, è stata quindi quella di porre la Bosnia ed Erzegovina irreversibilmente sulla strada dell’Unione Europea. La riforma della polizia, così come unilateralmente suggerita da Ashdown, è stata parzialmente sacrificata e via via spogliata degli aspetti più controversi. Vista la posta in gioco, e i rischi associati all’indipendenza del Kosovo, questo approccio pragmatico sembra essere quello che più facilmente permetterà di sbloccare la situazione. Ancora una volta però, nonostante il compito fosse stato facilitato dalla UE, i partiti politici della BiH hanno rischiato di fallire l’obiettivo, più per ragioni parrocchiali che per vere e proprie questioni di principio. Un ennesimo segnale della necessità di un ricambio di contenuti nel dibattito politico in Bosnia Erzegovina.