Miroslav Lajcak
Sintonia tra politici serbo bosniaci e russi mentre la Bosnia Erzegovina si prepara a firmare l'Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l'Unione Europea. Polemiche sulla permanenza dell'Ufficio dell'Alto Rappresentante. Nostro commento
L’accordo sulla riforma della polizia e la prevista firma dell’accordo di Stabilizzazione e Associazione (ASA) con l'Unione Europea, in agenda per il 16 giugno, non hanno rasserenato il clima politico bosniaco. Chi segue le vicende di questo Paese sa bene che basta poco per riaprire dibattiti e polemiche, con le diverse parti - principalmente serbi e bosgnacchi - su posizioni diametralmente opposte, ciascuna sostenuta dai rispettivi “sponsor” internazionali.
È la ventilata chiusura dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR) a dare la stura alle discussioni nelle ultime settimane. A febbraio il comitato esecutivo del Peace Implementation Council – l'organismo intergovernativo che sovrintende all'applicazione degli accordi di Dayton - aveva stabilito all’unanimità, riunendosi a Bruxelles con i principali leader bosniaci, quali dovessero essere le condizioni per giungere alla chiusura dell'OHR. Il comitato aveva definito una “road map” mirante a rendere la Bosnia Erzegovina uno stato pacifico, funzionale e irreversibilmente sulla via dell’integrazione europea.
Le condizioni da soddisfare per la chiusura dell'OHR sono costituite innanzitutto da una serie di obiettivi di natura tecnica: suddivisione delle proprietà statali tra stato ed entità, completamento dell’accordo di Brcko [sul distretto internazionale], rafforzamento dello stato di diritto, definizione permanente dei coefficienti di ripartizione dell’IVA tra stato e entità e definizione della proprietà militare tra stato ed entità.
Oltre ai requisiti di natura tecnica, tuttavia, la chiusura dell’OHR sarà dettata dalla firma dell'Accordo di Stabilizzazione ed Associazione e da una positiva valutazione da parte del comitato esecutivo del Peace Implementation Council (PIC) della situazione in Bosnia Erzegovina, sulla base del pieno rispetto dell’Accordo di Dayton.
La volontà espressa dal PIC è che la Bosnia Erzegovina possa procedere al più presto nella transizione e arrivare alla chiusura dell’OHR.
L’OHR sarà sostituito dall’European Union Special Representative (EUSR) che, a differenza dell’OHR, non avrà più il potere di far approvare le leggi e di rimuovere coloro che ostruiscono l’accordo di Dayton. L'EUSR esiste in Bosnia già da alcuni anni (fu creato ai tempi di Ashdown) e l’incarico è ricoperto dall’Alto Rappresentante stesso. Simbolicamente, la fine dei poteri diretti di intervento da parte dell'Alto Rappresentante sulla politica bosniaca (i cosiddetti “Bonn powers”, “poteri di Bonn”), significherebbe l’avvenuta implementazione di Dayton e la chiusura di tale fase.
Non appena si è profilata all’orizzonte la firma dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione, il premier bosniaco Nikola Spiric non ha perso l’occasione per aprire la polemica con un intervento al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui ha dichiarato che l’OHR rappresenta un modello ormai consunto che, seppur necessario nell’immediato conflitto, adesso ha esaurito la propria funzione. La prosecuzione del funzionamento dell'OHR – secondo Spiric - rappresenta una violazione delle Convenzioni ONU in materia di diritti umani. Spiric ha poi sottolineato l’importanza dei progressi ottenuti dalla Bosnia Erzegovina, aggiungendo che ora dovranno essere i politici locali ad assumersi le responsabilità senza l’aiuto di stampelle internazionali.
Il discorso di per sé è condivisibile e potrebbe essere salutato come una chiara presa di posizione da parte dei politici bosniaci. In quanto alle violazioni dei diritti umani, è noto che il potere di rimuovere i politici da parte dell'Alto Rappresentante è in contraddizione con il diritto al giusto processo da parte dei singoli individui, e in tutti questi anni l’OHR non è mai riuscito ad adottare una procedura adeguata. D’altro lato, è anche vero che ormai l'OHR ha praticamente rinunciato all’utilizzo dei cosiddetti “poteri di Bonn”: oramai è solo chi protegge i criminali di guerra che rischia di essere rimosso dal proprio incarico. Di fatto poi, l'OHR ha in un certo senso “graziato” chi era stato precedentemente rimosso, dato che ha tolto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici che inizialmente si accompagnava alla procedura di rimozione dall’incarico. Lo stesso stile di Lajcak è significativamente diverso dal decisionismo di Ashdown e dal laissez-faire di Schwartz-Schilling: Lajcak opera più come un mentore, facilitatore di un processo dove oramai sono i politici bosniaci a condurre le danze: il fatto che sia Dodik che Silajdzic siano ancora al potere, dopo le roventi polemiche dei mesi scorsi, è un segnale estremamente chiaro che l’OHR stesso vede il suo ruolo sotto una luce completamente diversa rispetto al passato.
I problemi relativi all'utilizzo dei poteri di Bonn sono noti a tutti ormai da lungo tempo, e sono un bersaglio facile per Spiric per sostenere la sua causa. Spiric si presenta come Presidente del Consiglio dei Ministri della Bosnia Erzegovina, ma la sua è una posizione che non è concordata precedentemente e riflette solamente le istanze dei partiti serbobosniaci e, in particolare, dell'SNSD (Partito Socialdemocratico Indipendente) di Milorad Dodik.
Alle dichiarazioni di Spiric ha fatto eco la posizione di Vitaly Churkin, rappresentante russo alle Nazioni Unite, che ha chiesto l’immediata chiusura dell’OHR dato che la situazione in Bosnia Erzegovina non è “né migliore né peggiore” di quella di altri Paesi della regione. Dodik ha rilanciato le dichiarazioni di Spiric incontrandosi con il direttore del Quarto Dipartimento del Ministero degli Esteri russo, Alexander Alekseyev, ribadendo insieme a quest'ultimo che non vi è più la necessità di estendere il mandato dell’OHR.
Queste dichiarazioni sono importanti in vista della prossima seduta del Peace Implementation Council, che dovrà tenersi in giugno, e che dovrà decidere sulla continuazione del lavoro di Lajcak, il cui mandato scade a fine mese.
Le dichiarazioni di Churkin e Spiric destano polemiche e preoccupazioni in Bosnia Erzegovina. Se da un lato il contenuto delle parole di Spiric può essere condivisibile - è finalmente ora che le istituzioni bosniache si assumano le proprie responsabilità - d’altro canto tali dichiarazioni suscitano reazioni allarmate tra i rappresentanti bosgnacchi e croati. Secondo loro l'OHR deve continuare a lavorare e in particolare, per i politici bosgnacchi, deve restare in funzione almeno fino a quando non sarà approvata la nuova costituzione.
Le scintille sollevate dalla dichiarazione di Spiric hanno provocato la presa di posizione delle cancellerie occidentali: è soprattutto il Regno Unito - per voce del ministro degli Esteri Miliband e dell’ambasciatore in Bosnia Erzegovina, Rycroft - a ribadire che di fatto il Peace Implementation Council (di cui fa parte anche la Russia), aveva stabilito all’unanimità in febbraio le condizioni per la chiusura dell’OHR, e che tali condizioni rimangono valide.
Lajcak e il suo vice Gregorian hanno chiuso velocemente le polemiche con una serie di incontri con Dodik e con lo stesso Alekseyev: la dichiarazione congiunta di Lajcak e Alekseyev sulla necessità di rispettare la “road map” stabilita dalla PIC è di fatto una smentita delle dichiarazioni di Churkin a New York.
È dunque certo che il mandato di Lajcak continuerà oltre giugno, e che probabilmente sarà in autunno che se ne discuterà la chiusura. Oramai però, per ammissione dello stesso Lajcak, si tratta di mesi e non di anni. La boutade di Churkin, e la conseguente retromarcia di Alekseyev, sono perfettamente coerenti con la linea seguita dalla Russia nei Balcani in questi mesi: prima suscita polemiche e appicca incendi, poi fa il pompiere e si riallinea sulle posizioni comuni. I politici bosniaci sono di fatto solo delle pedine su uno scacchiere più grande, dove la Russia e le cancelliere occidentali si trovano sempre più spesso su sponde contrapposte.