Ćeif, dramma contemporaneo
13.06.2008
scrive Ana Ljubojević
Alla 53sima edizione dello “Sterijino pozorje” di Novi Sad, il più famoso festival del teatro serbo, trionfa “Ćeif”, dramma sulla Sarajevo odierna del bosniaco Mirza Fehimović
La 53ª edizione del più famoso festival di teatro serbo, “Sterijino pozorje”, si è conclusa il 6 giugno scorso con la cerimonia ufficiale delle premiazioni.
Creato nel 1956 in occasione del 150º anniversario della nascita e del 100º della morte del grande commediografo Jovan Sterija Popović, questo festival del dramma nazionale oggi è composto da tre segmenti tematici.
Per il premio “Sterija” competono circa 10 teatri nazionali o internazionali che, però, devono esibire uno spettacolo d’autore serbo. La selezione “Krugovi” (Cerchi) comprende le rappresentazioni internazionali raggruppate su un tema specifico che quest’anno trattava dell’eredità degli eventi del ‘68. Infine, “Pozorje mladih” (Teatro della gioventù) è immaginato come un incontro tra i giovani autori, gli studenti e i professori delle accademie d’arte.
Il discorso d’apertura è stato pronunciato dallo scrittore Dragan Velikić, vincitore del premio letterario NIN (edizione 2007), sottolineando che “la cultura di un popolo non è un cimitero dove si taglia regolarmente l’erba e si puliscono i monumenti”. La tradizione, per vivere, si deve “nutrire dello spirito della contemporaneità” .
Il programma del Festival ha compreso ben 26 spettacoli, di cui 9 in competizione per la selezione nazionale, tra i quali spiccano : “Barbelo, su cani e bambini” di Biljana Srbljanović (premiato per la migliore sceneggiatura), realizzato da Teatro Nazionale Jugoslavo di Belgrado; “Urbi et orbi”, testo di Janosz Pilinski (vincitore del premio della tavola rotonda), regia di András Urbán, rappresentato dal Teatro “Kosztolányi Dezső Színház ” di Subotica; “Ćeif / Estro” di Mirza Fehimović, adattamento e regia di Egon Savin, Teatro drammatico di Belgrado – MESS Sarajevo, e “Rocky Horror Show”, il musical di Richard O’Brian (il premio per il miglior attore), regia di Viktor Nagy, Teatro di Novi Sad/Ujvideki Sinhaz.
Il premio per il miglior dramma, nonché per la miglior regia, è stato assegnato allo spettacolo “Ćeif”, primo testo teatrale dell’autore bosniaco Mirza Fehimović. La cosa curiosa è che già qualche anno fa lo scrittore aveva proposto questo dramma a tutti i teatri della Bosnia Erzegovina senza ricevere nessuna risposta. Tuttavia, l’anno scorso è risultato vincitore al concorso per il miglior testo drammatico contemporaneo scritto in lingua bosniaca o serba, organizzato dal Festival MESS di Sarajevo e dal Teatro drammatico di Belgrado, e questa affermazione ha spalancato all’autore le porte dei grandi teatri che prima l’avevano ignorato.
Questa opera tratta dei destini dei profughi di Sarajevo dopo la guerra, di coloro che si sono nascosti, di quelli che sono “fuggiti” e di quelli che sono rimasti. I sentimenti del presente ed i ricordi dei felici tempi di pace nell’ex-Jugoslavia, la nostalgia e lo stupore per una disgrazia collettiva, ma anche i rimproveri, i sensi di colpa o la paura di non essere capiti sono calati nei racconti delle famiglie, dei loro vicini o della “čaršija”, la piazza. Il trauma bosniaco è tratteggiato delicatamente attraverso la rappresentazione di questi destini “intrappolati” dalla storia, ma senza accuse nazionaliste o sentimenti di “revanscismo” , perché nessuno ne è uscito vincitore, ma tutti appaiono vittime di un’esperienza dolorosa.
Uno degli elementi di maggior pregio del “Ćeif” è rappresentato dal fatto che narra una piccola storia di una grande sofferenza con la quale gli autori non vogliono cambiare il mondo, bensì sottolineare “il fattore umano” degli episodi balcanici. Perciò, il testo non è appesantito dell’importanza del tema trattato, ma cerca di spiegare la situazione attuale in maniera chiara e semplice.
La Sarajevo di oggi è una città cambiata, e l’autore Mirza Fehimović descrive il dramma del ritorno, del perdono o della partenza definitiva come una confessione tutta sua. Il regista Egon Savin, anch’egli originario di Sarajevo, mostra questi cambiamenti usando un metodo molto suggestivo: le metafore sono espresse attraverso l’assenza di ornatus, i silenzi interpolati nelle scene, e la scarsità di gesticolazione. Sul palcoscenico si vedono diverse sedie vuote che ricordano chi non ci si siederà mai più, mentre i personaggi dei tre bambini sono rappresentati da tre marionette senza viso, manovrate da attori adulti.
Lo spettatore ha la sensazione di assistere alla trama che si svolge in un meta-spazio e un meta-tempo, in un vuoto generale dove la vita stessa non esiste. Tuttavia, i personaggi sviluppano, in modo quasi cecoviano, le pallide copie della vita, preservando però la speranza, le forze e la volontà di sopravvivere.
Esma Halilović, protagonista principale del dramma, in un momento dice: “Non chiedere scusa, ma vienici incontro, questo aiuta…” e, a giudicare dagli applausi alla fine dello spettacolo, sembra che il pubblico di Belgrado, di Sarajevo e di Fiume, abbia colto il messaggio.