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Il mostro della porta accanto

04.08.2008   

Visegrad, il ponte
Il 9 luglio si è aperto all'Aja il processo a Milan e Sredoje Lukic, responsabili dei crimini commessi contro la popolazione bosniaco musulmana di Višegrad. L'associazione “Donne vittime della guerra” aveva cercato senza successo di ricordare quei fatti con un'iscrizione sul Ponte della città
Di: Azra Nuhefendić, per Nazione Indiana, 18 luglio 2008

Nel giugno del 1992 l’ispettore della polizia di Višegrad, Milan Josipovic, ricevette una comunicazione dal direttore della diga sul fiume Drina, a Bajina Basta, che chiedeva “a tutti i responsabili di rallentare il flusso dei corpi che galleggiavano lungo il fiume perché inceppavano le turbine della diga”.

Proprio in questi giorni è cominciato al Tribunale dell’Aja il processo ai due principali responsabili di questa “seccatura”, i serbo bosniaci Milan Lukic e il suo complice e cugino Sredoje Lukic.

Višegrad è una bella cittadina della Bosnia Orientale, circa 100 Km ad est della capitale Sarajevo; è nota per essere stata celebrata ne "Il ponte sulla Drina", il romanzo d’esordio dello scrittore Ivo Andrić.

Ha la triste reputazione di essere al secondo posto, dopo Srebrenica, nelle statistiche sulla pulizia etnica e le atrocità compiute contro i musulmani (bosgnacchi).

Dei 21.000 abitanti di Višegrad, prima della guerra, due terzi erano bosgnacchi. In soli due mesi, nel 1992, più di 13.500 di loro furono costretti a lasciare le proprie case. Circa tremila sono morti o dispersi.

Višegrad ha una posizione strategica, tra il fiume e il confine con la Serbia. Fu attaccata, e presa, dalla JNA (esercito popolare jugoslavo) nell'aprile 1992. Prima di ritirarsi, la JNA ha assicurato che i serbi locali prendessero il potere.

A quel punto entra in scena Milan Lukic. Prima della guerra "un cittadino comune" (così lo descrivevano i conoscenti), diventò comandante dei paramilitari serbi che si facevano chiamare ”Le aquile bianche”.

In Bosnia, secondo indiscrezioni confermate dall’Ufficio dell'Alto Rappresentante della comunità internazionale, sono circa 17.000 i serbo bosniaci sospettati di aver commesso o partecipato a crimini di guerra. Milan Lukic è considerato tra i più atroci; tanti pensano che meriti il terzo posto, subito dopo i criminali di guerra Radovan Karadzic e Ratko Mladic.

Al suo dossier preso il Tribunale “fu appropriatamente assegnato il nome in codice Lucifero”, (C. Del Ponte, “La Caccia”, pg. 338).

Quello che distingue il caso di Milan e Sredoje Lukic da altri è la brutalità, e il fatto che la maggior parte dei crimini li hanno commessi con le proprie mani.

Milan Lukic fu catturato in Argentina nel 2005, dopo sette anni di latitanza. Appena preso ha protestato, e ha detto che “è tutto un errore e non vedo l’ora di poterlo dimostrare”.

Il suo cugino e complice, Sredoje Lukic, fu arrestato due mesi dopo, tornando dalla Russia dove si nascondeva.

Višegrad è, come precisa Ed Vulliamy, l’autore del libro Stagioni all'inferno (Seasons in Hell), "una delle centinaia di piccole Srebrenica che succedevano in Bosnia durante tre anni.”

Per lungo tempo la terribile storia di Višegrad è rimasta dimenticata, per tutti, tranne che per i sopravvissuti e i famigliari delle vittime.

Il caso fu “scoperto” dal giornale britannico “The Guardian” nel 1996. Un giornalista ha chiesto a un profugo bosniaco, Jasmin R., cosa faceva durante la guerra. L’uomo ha spiegato che, essendo piccolo, non combatteva, ma aveva il compito di raccogliere i corpi che galleggiavano lungo la Drina.

“Quali corpi?”

E' da questa domanda che è partita l’inchiesta.

Prima fu localizzato Milan Lukic: all'epoca abitava in Serbia da uomo libero. Poi sono stati rintracciati i testimoni e i sopravvissuti sparsi in tutta la Bosnia e l’Europa. Il loro racconto è quasi identico.

Milan Lukic e i suoi uomini prendevano i musulmani dalle loro case, li portavano sul ponte sulla Drina, alcuni li sgozzavano, altri li spingevano nel fiume e gli sparavano.

“Odio il ponte. Odio gli spari nella notte. Li odio perché non si sente l’acqua quando ci cade il corpo… Odio i miei occhi perché non vedono bene chi sono gli uomini che stavano uccidendo e gli sparavano mentre cadevano nella Drina… Altri li uccidono subito sul ponte e il giorno dopo le donne inginocchiate puliscono il sangue”.

Questo sono parole tratte dal libro "Come il soldato ripara il grammofono” (How the Soldier Repairs the Gramophone). L'autore è un giovane bosniaco, Sasa Stanisic, (papà serbo, mamma musulmana), che a 14 anni, nel 1992, ha lasciato Višegrad. In Germania ha scritto questo romanzo che è diventato un successo letterario.

A 35 chilometri da Višegrad, un gruppo di bosniaci del villaggio Slap na Zepi raccoglieva i corpi. Il lavoro si faceva durante la notte, per evitare i cecchini serbi che sparavano dalle colline che circondavano il luogo.

Hanno raccolto e sepolto i resti di circa 200 persone. L’inchiesta, dopo, ha stabilito che, con il loro lavoro, riuscivano a raccogliere più o meno un corpo ogni 20.

Il bosniaco Mesud Cokalic faceva parte di quel gruppo. Si ricorda che ”i corpi spesso avevano la gola tagliata, segni di tortura, le donne erano nude e avvolte in un lenzuolo. C’erano anche corpi di bambini, un uomo fu trovato crocefisso su una porta di legno, una volta abbiamo trovato una borsa con dentro 12 teschi. Ma il più difficile è stato quando uno di noi, un ragazzo, ha trovato il corpo di sua madre sgozzata”.

“Non mi pento di niente di quello che ho fatto”, ha dichiarato Milan Lukic in un'intervista al settimanale di Belgrado “Duga”, nel 1992. In quell'occasione ha precisato che il suo gruppo si era staccato dalla polizia regolare “perché erano totalmente inefficaci”.

Il giudice dell’Aja Dermot Groome ha definito l’efficacia “stile Lukic” come “un olocausto”.

Il 14 giugno del 1992, Lukic e i suoi paramilitari hanno chiuso un gruppo di musulmani, principalmente donne, bambini e anziani, in una casa di Višegrad. Hanno barricato porte e finestre e hanno appiccato il fuoco. In quell'occasione 66 persone sono state bruciate vive: la più anziana aveva 75 anni, la più giovane era una bimba di due giorni. Lukic e i suoi uomini aspettavano fuori, con i fucili automatici, quelli che tentavano di scappare.

Due settimane dopo, il 27 giugno, hanno ripetuto il delitto. In una casa a Bikavac hanno rinchiuso e dato fuoco ad altri 70 musulmani.

Zehra T., con la faccia deformata dalle fiamme, si è salvata buttandosi dalla finestra. Dentro la casa è rimasta sua sorella di nove anni.

Milan Lukic e le sue “Aquile Bianche” sono accusati anche di due sequestri e dell'uccisione di 36 civili musulmani e di un croato.

Nel 1993 hanno fermato un treno che andava da Belgrado al Montenegro, prelevato 18 civili musulmani e un croato, e li hanno uccisi.

L’operazione fu ripetuta al villaggio di Mioce; hanno fermato un autobus, preso 17 musulmani, poi a Višegrad li hanno torturati e uccisi.

"Quello che hanno fatto Milan e Sredoje Lukic non è l'opera di una banda di criminali… I delitti che hanno compiuto fanno parte di una impresa criminale e congiunta il cui scopo e intenzione era di distruggere una parte dei musulmani bosniaci come gruppo", ha precisato il giudice Groome.

Il Tribunale ha respinto la richiesta dell'accusa di estendere l’incriminazione contro i due Lukic fino a comprendere il reato di violenza sessuale.

Questo ha fatto arrabbiare Bakira Hasecic, una delle donne ripetutamente violentate e torturate da Milan Lukic e dai suoi uomini.

I cugini Lukic, dopo aver preso e ucciso gli uomini, tornavano a casa delle vittime, prendevano le loro mogli, le figlie, e le portavano all'albergo “Vilina Vlas”.

”Ci tenevano tutte chiuse nelle stanze. Oggi tanto ci buttavano un pezzo di pane che prendevamo con i denti perché le mani ci erano legate con lo spago. Ci slegavano solo per stuprarci", racconta Bakira Hasecic. Si ricorda di una giovane donna, Jasna Ahmedpasic, che si è buttata dalla finestra dopo aver subito quattro giorni di abusi

In un rapporto delle Nazioni Unite si precisa che a “Vilina Vlas” sono state detenute e maltrattate circa 200 donne. La maggior parte di loro sono state uccise o sono scomparse.

Una madre ha testimoniato di essere stata violentata dallo stesso Milan Lukic nella propria casa. "Lukic l’ha stuprata davanti ai due figli di nove e dodici anni, poi l'ha portata nella cucina ordinandole di scegliere un coltello affilato; quindi, sotto i suoi occhi, lo ha usato per sgozzare i bambini." (C. Del Ponte: “La Caccia”, p. 338).

Anni dopo, Bakira Hasecic ha formato l’associazione "Donne-vittime di guerra". Nel marzo di quest'anno hanno tentato di mettere sul ponte sulla Drina una targa che ricordasse i 3.000 musulmani bosniaci uccisi e scomparsi. Ma la placca è stata strappata la stessa notte.

I serbi di Višegrad hanno annunciato che vogliono mettere un'altra placca, che commemori i serbi uccisi.

E il ponte?

Quel gioiello architettonico in pietra bianca, costruito per volere del gran visir Mehmed Pasa Sokolovic nel 1571, è stato ammesso quest'anno nella lista dell'UNESCO come patrimonio dell'umanità.

Tuttavia, in Bosnia, nessuno gli vuole bene: i bosniaco musulmani perché due volte in un secolo (era successo anche durante la Seconda guerra mondiale) sul ponte venivano uccisi e i loro corpi gettati nella Drina; i serbi perché è stato costruito da un turco; i croati perché non riescono a "digerire" neanche quello di Mostar, che hanno distrutto una volta.

Ma il ponte, come ha scritto Ivo Andrić, è "forte, bello e perenne, e al di là di tutti i cambiamenti".
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