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Il 3 ottobre della Turchia

07.10.2005    Da Istanbul, scrive Fabio Salomoni

Ciao, Europa. I media turchi salutano con entusiasmo lo storico accordo di Lussemburgo, traguardo di una marcia avviata 49 anni fa. Raggiante Erdogan, critica la destra nazionalista, il 3 ottobre è il riconoscimento di una nuova Turchia. Dal nostro corrispondente
Con l’abbraccio tra l’inglese Straw ed il turco Gul al termine dell’estenuante maratona diplomatica di Lussemburgo, in Turchia a molti osservatori è parso veder dissolversi, tra i tanti fantasmi, anche quello di Eugenio di Savoia. Il riferimento al condottiero, protagonista della sconfitta dell’armata ottomana sotto le mura di Vienna nel 1683, era stato quasi inevitabile di fronte all’atteggiamento assunto da giorni dal governo austriaco e dal suo ministro degli esteri, Ursula Plassick.

Infatti, superato lo spavento rappresentato da Angela Merkel, in fondo uscita ridimensionata dai risultati elettorali tedeschi, evitate le numerose trappole tese dai greco-ciprioti con la minaccia del diritto di veto, vinte le resistenze francesi, era rimasta solo l’Austria a mantenere incerto fino all’ultimo l’esito del vertice di lunedi scorso.

Il governo di Vienna sembrava inamovibile nella richiesta di inserire nel documento guida per i negoziati l’obbiettivo del partenariato privilegiato come alternativa alla piena adesione. Una eventualità sempre decisamente respinta da Ankara. Il ministro Gul aveva anche minacciato di non partecipare al vertice di lunedì se fossero state modificate le condizioni del documento, rispetto a quanto stabilito a Bruxelles nel dicembre scorso. Una impennata di orgoglio che aveva trovato un ampio consenso in un paese nel quale negli ultimi tempi si era fatta palpabile, anche negli ambienti più euro-entusiasti, l’insofferenza per il continuo sorgere di nuovi ostacoli sulla strada di un appuntamento che sulla carta avrebbe dovuto essere una pura formalità. Ed invece, come in un film già visto il 17 dicembre, sono state necessarie 30 ore di febbrili trattative ed anche le pressioni di Washington per convincere nella notte di lunedì la rappresentante austriaca a rinunciare alla citazione del partenariato privilegiato.

Una rinuncia – si è fatto osservare – arrivata quasi contemporaneamente alle dichiarazioni di Carla Del Ponte che hanno dato il via libera ai negoziati per l’adesione della Croazia, paese considerato sotto l’ala protettrice di Vienna.

“L’obbiettivo dei negoziati è la piena adesione” con questa garanzia il ministro Gul, riunito in conclave con gli altri membri del governo in una località termale vicino ad Ankara, è volato in Lussemburgo per quello che è stato definito “l’appuntamento con la storia”: la firma sul documento che dà ufficialmente il via ai negoziati per l’adesione turca.

Un ennesimo passo, forse quello decisivo, nella marcia di avvicinamento all’Europa cominciata nel 1959 con la richiesta di associazione alla Comunità Europea. E la metafora della marcia è stata predominante nei primi commenti, a cominciare da quelli di un raggiante Erdogan, che ha visto con il successo del Lussemburgo rafforzato il suo ruolo di protagonista della nuova fase della modernizzazione turca ed ha annichilito l’opposizione, costretta ad assistere passivamente al successo personale del Primo ministro.

“La Turchia ha fatto un ulteriore, gigantesco, passo nella sua storica marcia. Questo successo è un successo della Turchia, di noi tutti, del nostro popolo. I negoziati sono un passo in direzione della pace globale”.

Entusiasmo e soddisfazione i toni prevalenti in gran parte dei quotidiani del paese, ad esclusione di quelli della destra nazionalista che invece hanno parlato di “resa senza onore”.

“Ciao Europa”, “Nuova Europa Nuova Turchia”, “Il valzer di Vienna”, “La mezzaluna d’Europa” erano alcuni dei titoli che campeggiavano martedì sulle prime pagine dei quotidiani turchi interamente dedicate all’evento.

Ancora frequenti i riferimenti alla metafora della marcia: per Zaman “la marcia continua”, Hurriyet ha sottolineato come in Lussemburgo “si sia avverato un sogno atteso da 49 anni”. Radikal invece ha preferito sottolineare come la parte più importante del cammino sia cominciata solo ora - “Il viaggio è cominciato” – Lo storico Cumhurriyet, prudente come sempre, ha scelto un sobrio “Sono cominciati i negoziati” sottolineando soprattutto il periodo di incertezza e di potenziale crisi che attende il paese.

La portata storica dell’avvenimento, il posto che esso occupa nella storia della modernità turca e soprattutto l’occasione che esso rappresenta per riunire sotto lo stesso tetto “l’Europa della cristianità ed un rappresentante del mondo islamico” sono stati gli aspetti più sottolineati dai commentatori.

Non sono mancati però gli inviti alla prudenza che hanno insistito da un lato sulle difficoltà che attendono la Turchia nella realizzazione di radicali riforme necessarie per adeguarsi agli standard europei e dall’altro sulle numerose occasioni che il fronte anti-turco, Sarkozy e Merkel i nomi più citati, avrà di far sentire la sua voce ed il suo peso nel lungo periodo dei negoziati.

Avvertimenti che rappresentano un sano richiamo al realismo in un momento di entusiasmo generalizzato ma che non offuscano l’elemento che pare dominare in queste ore: quello che esce dal vertice del 3 ottobre è un paese che ha ricevuto una poderosa iniezione di fiducia e di autostima, benefico antidoto all’atavico complesso di inferiorità che lo ha afflitto nel suo lungo e travagliato cammino di modernizzazione.

La decisione del 3 ottobre ha soprattutto sancito il riconoscimento di un’altra realtà turca, diversa da quella legata alla retorica del “pericolo islamico” o alle immagini del film “Fuga di mezzanotte”, rappresentazioni che pure hanno ancora un posto di grande rilievo nell’immaginario di molti europei. La realtà di un paese che sta faticosamente cambiando volto, da anni coinvolto in un tumultuoso processo di trasformazione che coinvolge tutte le sfere della società: l’economia - la Turchia ha avuto negli ultimi tre anni un ineguagliato tasso di crescita del 29% - la politica e gli spazi di democrazia, la cultura – la Biennale di Istanbul di queste settimane non è che l’ultimo esempio.

Ed il frastuono entusiasta di questi giorni ha finito per relegare in secondo piano una notizia di cronaca, simbolicamente rappresentativa di questa trasformazione: mentre in Lussemburgo la diplomazia si accapigliava sui destini europei della Turchia in un ospedale militare di Ankara si spegneva Nurettin Ersin, ex generale e numero due della giunta protagonista del colpo di stato del 12 settembre 1980. La Turchia sta voltando pagina.
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