Ancora polemiche per l'Akp del premier turco Recep Erdoğan. I quotidiani del magnate dell'editoria Aydin Doğan danno risalto ad un'indagine in corso in Germania che chiama in causa il partito al potere per finanziamenti illeciti. Partono fiumi d'inchiostro e accuse reciproche
Un altro scossone per la Turchia e soprattutto per il partito del premier Recep Tayyip Erdoğan, islamico-moderato e riformista sulla carta, ma accusato dalla parte più laica di voler islamizzare il Paese.
L’Akp, il partito per la Giustizia e lo Sviluppo, che detiene la maggioranza dei seggi parlamentari, rischia di venire implicato in una storia poco chiara di finanziamenti illeciti, che parte da un processo in Germania, e dove sul banco degli imputati è finita un’associazione benefica chiamata Deniz Feneri, letteralmente “Faro del mare”, che reperisce fondi dalla cospicua comunità turca che vive nel Paese.
Alcuni membri di questa organizzazione hanno dichiarato di aver raccolto sette milioni di euro e di averli consegnati a un alto dirigente dell’Akp, il partito di Erdoğan per l’appunto. Il denaro sarebbe stato investito per mantenere emittenti e giornali che supportano le politiche dell’esecutivo del premier.
L’inchiesta è finita su alcuni fra i principali quotidiani del Paese, Hürriyet, Milliyet, Vatan e Radikal, tutti appartenenti al magnate dell’editoria Aydin Doğan. Particolare che ha suscitato le ire del premier Recep Tayyip Erdoğan e aperto una polemica fra i due che è andata avanti per due settimane.
Tutto inizia nei primi giorni di settembre, quando, durante un comizio, il primo ministro accusa i giornali del gruppo Doğan di aver pubblicato gli atti del processo di Francoforte fondamentalmente per screditare il suo operato e quello del suo partito. Gli articoli, secondo Erdoğan, sono “il segno tangibile che un’era molto pericolosa si è aperta nella storia della stampa turca”. Non solo. Il primo ministro aggiunge che quella dell’editore era una ripicca nei suoi confronti, una punizione per non avergli dato il permesso di costruire una villa a Istanbul in un luogo dichiarato patrimonio culturale dello Stato e quindi posto sotto tutela. Per finire, Erdoğan dice che Doğan ha una settimana per fare chiarezza, specificando che in caso contrario provvederà lui in prima persona.
La reazione dell’editore e dei direttori delle testate coinvolte non si fa attendere. Doğan, su Hürriyet, testata di punta del gruppo, dichiara di non avere problemi a dimostrare la sua buona fede e di essere arrivato a governare gran parte del mondo mediatico turco senza venir mai meno ai suoi principi morali. I responsabili delle testate, dal canto loro, rilanciano con editoriali in cui specificano che la notizia era stata ripresa dalla stampa tedesca, che, nel frattempo, diffonde il primo verdetto della corte di Francoforte, che condanna alcuni dirigenti dell’associazione benefica.
Venerdì scorso, l’ultima puntata dello scontro. Il premier, parlando ai membri del suo partito, chiede di boicottare le vendite di tutti i quotidiani del gruppo Doğan in segno di protesta per la campagna di diffamazione avviata nei loro confronti. “I media in questo Paese – ha detto Erdoğan – hanno perso la loro affidabilità. Chiedo ai membri del partiti di appoggiare una campagna che sia contro chi cerca di distorcere i fatti”. E diretto a Doğan ha aggiunto: “Inizieremo una campagna contro chi distorce la verità. Non compreremo i tuoi giornali”.
Alla polemica fanno da contorno fiumi di inchiostro. Non solo quelli presenti sui quotidiani della cordata dell’editore che, come prevedibile, prendono le difese del proprietario, ma anche quelli più vicini al premier, a testimoniare come anche il primo ministro in questo momento possa contare su un appoggio della stampa, pur senza controllarla direttamente e come questo particolare potrebbe essere uno dei motivi alla base della polemica.
Di recente infatti il gruppo editoriale Sabah-Atv è stato acquistato dalla Çalık Holding, che ha offerto la cifra record di oltre un miliardo di dollari, e nei cui vertici aziendali siede niente meno che il genero del premier Recep Tayyip Erdoğan. Si tratta in pratica del maggior concorrente di Doğan, che oltre all’emittente Atv e il quotidiano Sabah, può contare anche su una radio, altri 3 giornali e svariati settimanali.
Scontro di poteri quindi, ma fino a un certo punto. Fino a questo momento, infatti, i rapporti fra il premier e il padrone dell’editoria turca erano stati a dire poco cordiali. Appena l’anno scorso, Emin Çölaşan, editorialista del quotidiano Hürriyet poco tenero con il primo ministro, è stato allontanato dalla sua posizione per sopraggiunti limiti di età, secondo molti perché troppo critico nei confronti dell’esecutivo islamico-moderato. In luglio sempre Hürriyet ha ospitato una lunga intervista in tre puntate al capo dell’esecutivo, segno che in quel periodo Erdoğan non aveva certo nulla contro l’editore.
Adesso le cose sembrano cambiate e soprattutto è cambiato il momento. Lo scontro fra i due uomini di potere arriva in un periodo in cui il premier pensava di poter stare finalmente tranquillo. Luglio è stato un mese cruciale per il Paese. La sentenza della Corte Costituzionale ha salvato l’Akp dalla chiusura per attività antilaiche, confermando in buona dose al premier la fiducia data dall’elettorato e ponendo fine all’ennesimo scontro con le forze laiche, soprattutto la magistratura.
L’organizzazione
Ergenekon, accusata di aver insanguinato il Paese per dieci anni, mettendo in atto una precisa strategia della tensione, è stata accusata di terrorismo e tentato colpo di Stato. Andrà sotto processo il prossimo 20 ottobre, e fra gli imputati ci sono anche tre generali in pensione, particolare che ha causato non pochi imbarazzi all’establishment militare, da sempre, insieme con la magistratura, oppositore della politica di Erdoğan.
Tutto sembrava giocare a favore del premier e della stabilità interna del Paese, quando sono arrivate le inchieste sui quotidiani del gruppo Doğan. In Turchia in pochi credono alle coincidenze e ritengono che questa nuova polemica celi dietro le quinte l’ennesimo tentativo di indebolire il potere del premier, che dopo le ultime elezioni ha riconquistato la maggioranza parlamentare e imposto il suo candidato alla Presidenza della Repubblica.
Impossibile sapere se ci sia qualcuno dietro alle mosse dell’editore. Quel che è certo è che queste nuove accuse contro Erdoğan arrivano proprio quando il premier se lo aspettava meno.