Il ruolo della Turchia
16.01.2009
scrive Fazıla Mat
Gaza (foto AP)
Il lavoro della diplomazia di Ankara per arrivare ad una mediazione nella guerra in corso a Gaza. La fiducia di Hamas, le solide relazioni con Tel Aviv. La posizione del premier Erdoğan. Oggi in Turchia il segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon
Mentre al Cairo proseguono le trattative per negoziare un cessate il fuoco, a tre settimane dall’inizio dell’attacco israeliano a Gaza il 27 dicembre scorso anche la Turchia, coerentemente con il ruolo di mediatore che nell’ultimo anno l’ha vista impegnata in Medio Oriente e nel Caucaso, si sta adoperando per contribuire al raggiungimento di una risoluzione. Il premier Erdoğan a fine dicembre si era recato nella regione per discutere con i governi siriano, giordano, egiziano e dell’Arabia Saudita sul da farsi. Successivamente, dopo la presentazione del piano per il cessate il fuoco presentato da Egitto e Francia, fonti diplomatiche avevano reso noto che la Turchia sarebbe stato “il paese più adatto per la formazione di una forza internazionale di osservazione”, ipotesi caldeggiata anche dalla parte israeliana. Attualmente Ahmet Davutoğlu, consigliere pricipale del premier Erdoğan, è attivo da diversi giorni tra il Cairo, sede principale dei negoziati, e Damasco, dove sarebbe stanziato un nucleo di Hamas che, secondo una dichiarazione rilasciata dal premier turco alla rete televisiva Al-Jazeera, riporrebbe “piena fiducia nel governo turco”.
Nei giorni scorsi però, i durissimi discorsi di condanna dell’operazione militare israeliana, tenuti in diverse occasioni dal premier turco, hanno attirato critiche da diversi fronti per aver messo a repentaglio proprio la capacità del governo turco di “poter dialogare con tutte le parti”, poiché avrebbe dimostrato un’aperta simpatia nei confronti di Hamas. Ankara all’inizio di gennaio ha parlato infatti di poter “portare alle Nazioni Unite – del cui Consiglio di sicurezza la Turchia è entrata a far parte come membro provvisorio all’inizio di quest’anno – le richieste di Hamas”.
Solo qualche giorno prima dall’inizio dell’operazione “piombo fuso” Erdoğan aveva incontrato il premier israeliano Ehud Olmert, giunto ad Ankara per una visita di commiato prima della fine del suo mandato il prossimo febbraio, per discutere principalmente “il quinto round delle trattative di pace tra Siria e Israele”. Nel corso dell’incontro, secondo una notizia dell’agenzia di stampa francese AFP, apparsa sul quotidiano Milliyet del 23 dicembre scorso, Ismail Haniye, leader del governo di Hamas a Gaza, avrebbe chiamato per telefono Erdoğan prima del suo incontro con Olmert del 22 dicembre, chiedendogli di intercedere a loro nome affinché Israele togliesse l’embargo su Gaza. Sempre secondo la stessa fonte, il premier turco avrebbe accettato di fare da intermediario.
Erdoğan, evidentemente risentito per la mancanza di un qualsiasi accenno sulle intenzioni del governo israeliano da parte di Olmert, nelle dichiarazioni rilasciate successivamente all’inizio degli attacchi del 27 dicembre ha respinto seccamente le ipotesi che lo supponevano consapevole e consenziente riguardo alle operazioni militari israeliane: “Riteniamo questo [il comportamento israeliano] una mancanza di rispetto nei confronti della Turchia.”
Il primo ministro turco, nel corso della riunione del gruppo parlamentare del suo partito del 9 gennaio scorso, rivolgendosi ai ministri israeliani Ehud Barak e Tzipi Livni, ha detto: “Smettete di pensare alle elezioni di febbraio. La storia vi giudicherà per la macchia nera che state gettando sulla vita umana con ciò che state facendo. Ci rivolgiamo a voi come i nipoti degli ottomani che accolsero in questa terra i vostri nonni, i vostri antenati perseguitati. Siamo sempre stati dalla parte degli oppressi, e anche oggi lo siamo, che nessuno ne dubiti.”
Le critiche alle parole di Erdoğan non hanno tardato ad arrivare. Il New York Times, nell’articolo dell’11 gennaio scorso firmato da Sabrina Tavernise, ha scritto che le parole di Erdoğan non sono poi così sorprendenti dal momento che il popolo turco è contro questa operazione e che lui non fa altro che riflettere quella posizione, “tuttavia” – ha aggiunto la giornalista “considerando che si tratta di un leader che cerca di accrescere la sua immagine di mediatore internazionale e soprattutto che il suo paese è un membro della Nato, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed un candidato all’Unione Europea, non è stata una performance tanto brillante.” L’autrice dell’articolo riporta però anche la risposta del premier ai partiti dell’opposizione che hanno chiesto di interrompere i rapporti con lo stato israeliano (“non abbiamo in gestione una drogheria”), concludendo che a lungo termine i rapporti tra i due paesi non dovrebbero risentirne data la loro “alleanza pragmatica, strategica e cooperazione militare pluridecennale”.
Anche nella stampa locale, ferma restando la condanna ai massacri avvenuti nelle ultime settimane, diverse voci criticano la presa di posizione poco diplomatica del governo turco. Semih İdiz, del quotidiano “Milliyet”, scrive: “Le dichiarazioni di Erdoğan su Israele e il suo atteggiamento a favore di Hamas hanno indebolito il ruolo di ‘potenziale mediatore’ della Turchia non solo in questa crisi ma anche in quelle dei conflitti arabo-israeliani in generale. Giacché un paese che si propone in questa veste dovrebbe cercare di mantenersi equidistante da tutte le parti”. Anche Murat Yetkin di “Radikal” rimprovera al governo di aver perso l’occasione di presentare all’ONU un proprio piano di risoluzione e di un atteggiamento troppo amichevole nei confronti di Hamas.
Proprio per la “fiducia” riposta da Hamas nella Turchia, il ruolo che spetterebbe a quest’ultima nella risoluzione del conflitto passerebbe attraverso un suo apporto sul piano militare: il piano franco-egiziano prevede una forza internazionale di osservazione per monitorare il confine di Gaza, e presumibilmente ad Ankara spetterebbe proprio il compito di far controllare ai suoi soldati i tunnel con cui Hamas si procura le armi, impedendone l’accesso. Intanto oggi ad Ankara è attesa la visita del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che incontrerà il presidente della Repubblica Gül e il premier Erdoğan.