Gaza (foto AP)
La solidarietà di Sarajevo con la popolazione di Gaza sotto assedio. Il contraddittorio incontro nella stessa manifestazione tra gruppi di iniziativa civica e radicali islamici. Gli ostaggi presenti e futuri: i pensieri di una dimostrante
8 gennaio – Ambasciata americana
Due i momenti di protesta della società civile bosniaco erzegovese per Gaza. Il primo si è svolto giovedì 8 gennaio davanti all'Ambasciata statunitense, alle 12 meno 5, e il secondo il 10 gennaio, davanti alla Facoltà di economia. La prima manifestazione ha visto la partecipazione di circa un centinaio di persone, ed è stata organizzata dalle veterane dell'associazione Madri delle enclave di Srebrenica e Žepa, dall'associazione degli internati nei campi di concentramento della Bosnia Erzegovina (BiH), dall'associazione delle Donne vittime di guerra, dalle Donne della Podrinje, dall'associazione delle famiglie degli Shehidi (martiri) e dei veterani ed infine da Nabil Nasser, leader della comunità palestinese in Bosnia Erzegovina. Alla seconda manifestazione, organizzata sabato 10 gennaio dal Movimento democratico giovanile (Demokratski omladinski pokret), hanno preso parte parecchie centinaia di persone.
10 gennaio – Facoltà di economia
Sabato, nella ex piazza della Liberazione - oggi rinominata piazza Alija Izetbegović (particolare questo che ha fatto optare gli organizzatori per far convenire i/le partecipanti, in maniera neutra, davanti alla Facolta di economia), c'eravamo tutte/i: noi i/le cittadine, la comunità palestinese di Sarajevo e gli integristi musulmani: quelli che a settembre, durante l'inaugurazione del Queer festival a Sarajevo, ci hanno insultate e malmenate (chi più chi meno). Tutte/i, dallo stesso lato, a chiedere che la violenza a Gaza si fermi. O meglio, quasi tutte dallo stesso lato.
La protesta di sabato era a sostegno di tutte le vittime civili, segnatamente bambine/i, donne… Insomma quella parte di popolazione assolutamente inerme e preda dei due estremismi, quello israeliano e quello di Hamas.
Sarajevo, 10 gennaio 2009 (FoNet)
Tre gli interventi delle associazioni organizzatrici: Edvard Deni Čomaga, del Movimento democratico giovanile, Svetlana Broz, di Gariwo e Avdo Hebib, della Lega dei patrioti BiH (Patriotska liga BiH). Ognuno dei tre, a proprio modo, ha sottolineato l'importanza che Sarajevo non resti indifferente a quanto accade a Gaza, ed è stata ricordata la vicinanza con quanto sofferto e pagato dai civili bosniaco erzegovesi durante l'assedio 1992-95. Infine, si è ripetutamente fatto appello al dovere etico di guardare alla pace, di attivarsi per accogliere profughi e feriti, e naturalmente si è chiesto che le autorità politiche bosniaco erzegovesi si attivino tanto sul fronte della solidarietà e dell'accoglienza quanto su quello diplomatico.
E' stato incoraggiante vedere il cordone di sicurezza composto da tanti volti, persone diverse, di diversi gruppi ed organizzazioni, quasi a dimostrare che, a prescindere dalle adesioni formali, la solidarietà per Gaza è una questione comune, una memoria comune.
Brevi, schematici ed efficaci volantini sono stati distribuiti ai presenti allo scopo di evidenziare l'assurdo della carneficina in corso. In un'atmosfera fredda e bianca di foschia, con il gas che da poche ore aveva ricominciato a funzionare in città, dopo 3 giorni di assoluta interruzione, abbiamo rispettato un minuto di silenzio, abbiamo applaudito, abbiamo protestato.
Consapevoli che una manifestazione per la Striscia di Gaza avrebbe sicuramente attivato l'interesse e la partecipazione di forze cittadine estreme, più interessate a gridare le proprie ragioni fondamentaliste che ad invocare pace e giustizia, molte persone non sono tuttavia venute, dichiarando la propria solidarietà online sui forum o su Facebook, e commentando gli articoli via via pubblicati e giustificando la propria difficoltà a stare fianco a fianco con degli integralisti e divenire parte della stessa fotografia per la stampa.
Con la stessa consapevolezza molte di noi hanno invece scelto di partecipare, per non perdere il diritto alla propria laicità ed ad uno spazio pubblico che sia di dissenso e solidarietà. Anche se con il cuore pesante, e con tutte le incertezze del caso, ci siamo trovate insieme cercando di riaffermare il diritto ad una opzione civica, laica.
Come preannunciato da molte/i però, dopo 15 minuti un coro di voci, proveniente dalla cattedrale e moltiplicato nella sua potenza dal fatto di passare fra due ali strette di case, ha cominciato ad avvicinarsi scandendo “Allah u Ekber”. Questo è durato alcuni minuti, un tempo lungo che ha fatto respirare aria di tensione e paura, fino a quando uno degli organizzatori non ha invitato il gruppo ad unirsi alla protesta civica, chiedendo loro di non gridare solamente le ragioni di uno, di ricordare che in piazza c'erano persone di diversa confessione religiosa. L'invito è stato ripetuto più e più volte, sottolineato da applausi di sostegno.
Nonostante il fatto di essere là quindi, nonostante l'orrore di quanto accade a Gaza, alla fine è stato difficile sentirsi parte della manifestazione. La presenza degli slogan, il fatto di riconoscere volti che solamente alcuni mesi prima gridavano contro di noi, scandendo minacce e attaccando con i pugni chiusi, mi ha lasciata al margine. C'erano tante persone, forse anche 1.000, eppure mi sembrava di essere isolata, in minoranza grazie agli slogan in arabo, al loro scandire ritmico che inevitabilmente hanno messo una parte dei manifestanti all'angolo.
Anche se solamente per un osservatore esterno, le due manifestazioni si sono unite pacificamente, o forse sarebbe meglio dire che hanno coabitato il tempo indispensabile per poi disperdersi, divergenti nelle convinzioni e probabilmente anche nella scelta dei mezzi. Sinceramente mi sono sentita schiacciata dalla consapevolezza della capacità di violenza dimostrata dai fondamentalisti. In questo mi sono sentita terribilmente a Gaza, prigioniera di due integralismi brutali, che chiedono cieca lealtà e sangue. Esserci è stato importante, restare e mantenere la posizione duro, con la consapevolezza che Gaza è dovunque e noi ostaggi futuri.
Nel mondo virtuale
Anche questa volta le proteste sono state sostenute ed organizzate attraverso il massiccio uso di Facebook, con due gruppi in particolare a fare da cassa di risonanza, provvedendo a diffondere l'informazione il più possibile. Rivoluzione in BiH (Revolucija u Bosni i Hercegovini), 4.573 membri, organizzatore della protesta insieme ad un altro gruppo di Facebook: (Republika Bosna i Hercegovina), 7.624 membri. Sempre su Facebook è possibile trovare alcuni brevi video delle manifestazioni di giovedì e sabato, ed una galleria di foto realizzate da Amer Marwan El-Mordeha. Sono le stesse persone a gestire entrambi i gruppi, ma è interessante notare come all'indomani dei fatti avvenuti a Sarajevo in occasione del Queer Festival, quando i partecipanti all'iniziativa furono aggrediti da un gruppo di estremisti islamici, comunicare attraverso Facebook o braccare gruppi da fare chiudere sia diventato estremamente di moda in Bosnia Erzegovina, un indicatore della necessità di parlare ma anche della paura di esporsi.
Il virtuale diventa così sempre di più luogo di preparazione, informazione e disinformazione. Anche l'Ambasciata americana a Sarajevo, sul proprio sito, nella sezione servizi ai/alle cittadine, ha suggerito e raccomandato di evitare luogo e dintorni delle manifestazioni sottolineando come anche le più pacifiche manifestazioni possano degenerare in violenza.