Un paese senza ambasciatori
29.10.2008
Da Capodistria,
scrive Stefano Lusa
Il ministro degli Esteri uscente Dimitrij Rupel
La Slovenia sta diventando un paese senza ambasciatori. Berlino, Washington, Mosca sono rette da incaricati d’affari. Al centro una disputa tra il capo dello stato e il governo uscente, o per meglio dire il ministero degli Esteri
Formalmente in Slovenia è il presidente della Repubblica a nominare e a revocare l’incarico degli ambasciatori, su proposta del governo. Sino ad ora praticamente non ci sono stati intoppi. Nei 17 anni d’indipendenza della Slovenia è accaduto soltanto una volta, nemmeno di recente, che il presidente respingesse la proposta avanzata dall’esecutivo.
Ora, però, le cose potrebbero cambiare. Danilo Turk, l’attuale presidente della Repubblica, è un diplomatico prestato alla politica. Non si tratta di un diplomatico qualunque, ma probabilmente di quello di maggior prestigio della storia recente slovena. È stato infatti stretto collaboratore dell’ex segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Annan e per lui si ipotizzava un luminoso futuro nell’ONU.
Il governo, del resto, delle nomine degli ambasciatori ha cominciato ad occuparsi solo di recente e praticamente in scadenza di mandato. Nel periodo di presidenza slovena dell’Unione europea, nel primo semestre del 2008, era stato stabilito di prorogare gli incarichi in scadenza, per non trovarsi alle prese con avvicendamenti in un periodo che veniva considerato importante e delicato. Finiti gli impegni europei, però, l’esecutivo avrebbe voluto procedere con nuove nomine.
Già ai primi di luglio il governo chiese al capo dello stato di richiamare in patria una serie di diplomatici. La risposta di Turk non si fece attendere, ma non era quella che l’esecutivo si aspettava. Dal suo ufficio fu chiesto di motivare le proposte e venne precisato che “il capo dello stato non è soltanto colui che firma le decisioni prese del governo, ma è costituzionalmente responsabile del richiamo e della nomina dei diplomatici”. Era il primo segnale che le cose non sarebbero andate come probabilmente si aspettava il ministro degli Esteri Dimitrij Rupel.
Turk aveva fatto capire che era sua intenzione seguire alla lettera la procedura, mentre il ministero degli Esteri e di conseguenza il governo si stava muovendo come aveva sempre fatto, richiamandosi alla consuetudine. La disputa sarebbe probabilmente rimasta circoscritta ed avrebbe potuto appassionare i costituzionalisti e gli esperti di questioni giuridiche più che l’opinione pubblica. In ogni modo era chiaro che il presidente non aveva alcuna fretta di procedere con le nomine. Turk, del resto, appariva alquanto irritato dal fatto che ad alcuni paesi fosse già stato chiesto il gradimento per i nuovi ambasciatori.
Nelle ultime due settimane però ci sono stati alcuni significativi colpi di scena che hanno fatto rimbalzare la vicenda all’attenzione dell’opinione pubblica. Il governo nella sua ultima riunione ordinaria, prima della scadenza del mandato, ha proposto di assegnare l’incarico di ambasciatore in Austria a Dimitrij Rupel, cioè nientemeno che al ministro degli Esteri uscente. In pratica Rupel ha proposto se stesso. Una contraddizione, questa, messa in evidenza a quanto sembra anche nel corso della riunione dell’esecutivo da uno dei ministri.
Rupel, del resto, è una figura del tutto particolare della vita politica slovena, che ha dimostrato ottime capacità di rimanere a galla nei momenti difficili. Protagonista della “primavera” slovena, divenne ministro degli Esteri ai tempi dell’indipendenza. Fu poi deputato e, nel 1995, diventò sindaco di Lubiana, ma rimase in carica solo per due anni perché nel 1997 divenne ambasciatore a Washington. Dalla capitale statunitense, nel 2000, rivolse dure critiche all’indirizzo della politica estera slovena. A quel punto venne richiamato in patria, ma non per essere rimosso dall’incarico, ma per tornare a fare il ministro degli Esteri. Nel 2004 ruppe con il centrosinistra, che stava apprestandosi a perdere le elezioni ed approdò alla corte del leader democratico Janez Janša. Ciò gli consentì di continuare a fare il ministro degli Esteri.
Dell’intenzione di Rupel di andare a Vienna, del resto, si vociferava da tempo. L’operazione sembrava addirittura poter volgere a buon fine stando al benevolo commento del vincitore delle scorse elezioni e probabile premier, Borut Pahor: “Se il ministro Rupel non è un candidato appropriato [per andare a ricoprire l’incarico di ambasciatore in Austria] allora chi è adatto?”
La mossa del governo, però, non ha mancato di suscitare perplessità e qualcuno ha addirittura gridato allo scandalo. Un modo – è stato scritto- per garantire un posto ad un ministro che non è stato eletto in parlamento. Ad essere contestata non è soltanto l’intenzione di Rupel di tornare a fare il diplomatico, ma anche quella di andare a fare l’ambasciatore in Austria. Il ministro viene infatti accusato di aver giocato un ruolo ambiguo nel 2006. All’epoca era in discussione la questione dei cartelli bilingui in Corinzia. La soluzione adottata scontentò la minoranza slovena e per alcuni sarebbe stata presa con il consenso di Lubiana.
Nessun commento sulla vicenda da parte del capo dello stato e nessun commento nemmeno da parte del ministro degli Esteri uscente, almeno sino a martedì scorso. Poi Rupel, come ha fatto spesso nella sua lunga carriera politica, ha preso la penna ed ha scritto una lettera aperta a Turk in cui l’invitava a superare il blocco nelle nomine degli ambasciatori. Il ministro ha anche precisato di non voler parlare del suo caso, ma si è premurato, comunque, di ricordare al presidente della Repubblica che egli è stato nominato ambasciatore alle Nazioni unite nel 1992, ovvero, quando proprio Rupel era ministro degli Esteri. Secca la replica di Turk: “Simili modalità di comunicazione, per un ministro degli Esteri, sono inadeguate ed indegne, perciò nessun commento sul contenuto della lettera”. Sarcastica invece la nota dell’ex corrispondente del Delo da Vienna ed oggi eurodeputata demo-liberale Mojca Drčar Murko: “La letteratura slovena non ha perso molto con il (…) passaggio [di Rupel] alla diplomazia, ma nemmeno la diplomazia slovena ha guadagnato granché”.