Il riavvicinamento al cattolicesimo di singoli e piccole comunità kosovaro albanesi convertitesi all’islam in epoca ottomana. Il ruolo della chiesa cattolica locale e le relazioni con la comunità islamica. La controversa costruzione della cattedrale a Pristina
Di: Star
Lo scorso 26 dicembre più di trentacinque persone in età adulta sono state battezzate da un inviato del vescovo di Prizren nella chiesa di Klina, gremita di fedeli. I “convertiti” provenivano tutti dal villaggio di Llapushnik, nel Kosovo centrale, la cui quasi totalità della popolazione professava fino a poco tempo fa il credo islamico. Per tradizione e nel passato queste famiglie erano già state fedeli al cattolicesimo e si erano poi convertite storicamente tardi all’islam. La scelta di intraprendere il cammino per la “riconversione" alla fede cattolica ha condotto a una divisione del villaggio in due fazioni. La separazione tra le parti è ora anche fisica: le famiglie “cattoliche” vivono su una collina che dista dal resto del paese circa cinque chilometri. Le due parti non interagiscono fra di loro. Indicativo il fatto che la parte “cattolica” si rifornisca di generi alimentari nella città più vicina pur di non frequentare le attività commerciali presenti nella parte bassa del villaggio, gestite dai musulmani.
Quanto accaduto e in corso a Llapushnik non è tuttavia un caso isolato. Negli ultimi anni si è assistito in misura crescente al fenomeno delle conversioni dall’islamismo al credo cattolico di comunità cripto-cristiane e non solo.
Nel novembre 2006 l’intero clero cattolico kosovaro si è riunito per l’inaugurazione di un’antica chiesetta fatta ristrutturare dagli abitanti di un villaggio interamente musulmano nella municipalità di Malishevo. Questo è stato il primo passo verso un riavvicinamento al cattolicesimo di gran parte delle famiglie della comunità. In seguito alla riapertura dell’edificio religioso, infatti, gli abitanti hanno chiesto alla chiesa cattolica del Kosovo una presenza costante nel villaggio, sotto forma di catechismo per bambini e adulti. E oggi i primi nuclei familiari stanno riabbracciando la fede cattolica.
Dinamiche ed eventi simili si sono verificati anche in Val Rugova, municipalità di Peja/Pec, dove nell’estate del 2006 è stata riaperta una chiesa dedicata a san Pietro in un villaggio di montagna interamente musulmano. Il vescovo Gjergji, dal 2006 alla guida del clero kosovaro, sta inoltre inviando dei salesiani nella città di Gjilan/Gnjilane dove alcune famiglie hanno manifestato interesse per il credo cattolico.
Prizren, la chiesa cattolica
In generale, le conversioni odierne sono motivate ed avvertite dalla comunità cattolica come un ritorno alla fede personale e familiare d’origine. Gli albanesi cattolici ribadiscono con forza che prima dell’avvento dell’impero ottomano la regione era totalmente cristiana, divisa tra cattolici e ortodossi, e che solo con la vittoria turca a Kosovo Polje/Fushe Kosove l’islam vi fece il suo ingresso. Il processo di islamizzazione cominciò poco dopo l'inizio del dominio ottomano e prese un considerevole lasso di tempo, almeno un secolo. Le prime a convertirsi furono le città, seguite poi dai villaggi. Il clero cattolico sottolinea oggi come la conversione al nuovo credo fu lenta e motivata da ragioni che spesso avevano poco a che fare con la fede e risiedevano invece in interessi di tipo economico e nell’opportunità di una maggiore inclusione sociale. A conferma di tutto ciò, la chiesa kosovara porta l’esempio di alcune famiglie in cui le donne rimasero fedeli al cattolicesimo mentre i capi famiglia si convertirono all’islam in modo da evitare il pagamento delle tasse che colpivano solo la componente maschile della popolazione.
Un altro fenomeno diffuso sino agli inizi del secolo scorso fu quello del cripto-cattolicesimo: uomini convertitisi pubblicamente all’islam per evitare il pagamento delle tasse, nel loro intimo continuavano però a rimanere fedeli a Cristo. La fede cattolica era un segreto da nascondere tramite immagini di santi cucite dalle madri nelle tasche interne dei vestiti dei figli in modo che nessuno potesse vederle; le messe erano celebrate al sicuro delle stalle e gli uomini prendevano parte segretamente all’eucarestia quando questa era portata dal sacerdote alle donne di casa. È anche grazie ad escamotage di questo tipo che nuclei di cattolici hanno potuto conservarsi fino ad oggi in Kosovo e rappresentano oggi il 5% circa della popolazione albanese.
Lo stesso clima di segretezza con cui veniva celebrato il culto cattolico nei secoli scorsi accompagna oggi le conversioni. L’atteggiamento delle autorità cattoliche nei confronti delle comunità che desiderano convertirsi è, infatti, estremamente prudente, per evitare fratture con la comunità islamica o spaccature interne alla cittadinanza. Ufficialmente la Diocesi di Prizren, a cui fanno capo tutte le parrocchie del Kosovo, fa di tutto per nascondere all’esterno l’esistenza di questi casi e nega di avere una vera e propria strategia per la riconversione al cattolicesimo di fedeli musulmani. Il vescovo Gjergji ha recentemente affermato che “la gente qui ha sopportato tempi duri. E ora cerca Dio. Molte persone, specialmente giovani, sia musulmani che cristiani, vengono da noi. E noi vogliamo poterli aiutare e rispondere ai loro bisogni”.
I giovani però sono stati e sono ancora i primi ad andarsene, ad abbandonare il paese alla ricerca di un futuro migliore e di un lavoro nella vicina Europa. Il fenomeno sembra colpire indistintamente la comunità musulmana e quella cattolica. Ma incide proporzionalmente molto di più in quest’ultima, essendo i cattolici solo 65.000 unità. Resta, quindi, difficile credere che dietro le “riconversioni”, e in parte i matrimoni misti, non vi sia un tentativo della chiesa cattolica locale di arginare l’emorragia di fedeli provocata dalle emigrazioni. Queste ultime, infatti, provocano in media ogni anno una perdita di circa cento individui per parrocchia.
Numericamente parlando, le conversioni sono ancora poca cosa e sembrano non preoccupare più di tanto le alte sfere della comunità islamica. Tuttavia, a livello locale le reazioni ai casi di conversione non mancano. Il presidente del consiglio islamico di Drenas/Glogovac, Osman Musliu, ha dichiarato qualche mese fa che “l’esercizio della fede è un diritto individuale di ognuno, è un fatto personale e privato. Seguiamo da tempo e con attenzione i tentativi di alcune persone che vanno in giro porta a porta, casa per casa, propagandando la conversione alla religione cristiana di rito cattolico e la costruzione di una chiesa cattolica nel villaggio di Llapushnik. Tutto ciò rappresenta una provocazione religiosa e politica in un periodo molto delicato per il Kosovo”.
I politici albanesi non sembrano per ora interessarsi al fenomeno e i media locali hanno sinora dato scarsissimo risalto agli episodi di conversione, mostrando invece ben più interesse per la costruzione della prima cattedrale cattolica a Pristina. Iniziata nel 2006 dal vescovo Sopi, predecessore di Gjergji, con l’avvallo del defunto presidente Rugova, la cattedrale che sarà dedicata a Madre Teresa dovrebbe essere pronta per il 2010. I lavori di costruzione, resi possibili dalle ingenti donazioni delle comunità di albanesi residenti all’estero, hanno subito gravi ritardi principalmente a causa di problemi legati alla proprietà del suolo su cui l’edificio sorgerà e alla mancanza di un appoggio convinto all’iniziativa da parte del clero islamico.
La comunità cattolica è oggi permeata da un marcato senso d’identità e invasa da un forte desiderio di riscatto, caratteri entrambi nati negli anni in cui essa non ha potuto professare apertamente la propria fede. Nel Kosovo post-indipendenza resta da vedere come questo desiderio di affermazione si concilierà con lo status di esigua minoranza religiosa e che tipo di rapporti di forza si instaureranno tra cattolici e musulmani all’interno di una comunità albanese per oltre il 90% di fede islamica.