I giorni che vanno dal 5 al 7 aprile 2009 saranno ricordati come una durissima prova per la fragile democrazia in Moldavia, a causa delle violenze che hanno segnato la chiusura di un difficile processo elettorale. La devastazione dei simboli ufficiali del potere, il parlamento e il palazzo presidenziale, ma soprattutto la furiosa repressione messa in atto dalla polizia contro i giovani manifestanti, gli oppositori politici ed i media ostili alle autorità, hanno creato un clima di pesante tensione all’interno della società moldava, tensione che minaccia di radicalizzarsi e di approfondire ulteriormente le divisioni già esistenti.
Repressione e accuse
Se durante le violenze esplose il 7 aprile le prime reazioni da parte delle forze dell’ordine sono state piuttosto timide, con lo scendere della notte e con lo scemare delle proteste la polizia ha messo in atto una violenta repressione che è andata avanti nei giorni successivi e che ha portato a centinaia di arresti.
Purtroppo, la maggioranza degli arrestati non aveva niente a che fare con le persone coinvolte nei violenti scontri con la polizia presso il parlamento e la presidenza, ma si trattava per lo più di manifestanti pacifici o semplici spettatori. Ciononostante, in molti sono stati sottoposti a violenze fisiche nelle celle di detenzione della polizia.
Gli scontri del 7 aprile hanno visto più di 200 poliziotti feriti e centinaia di arresti, ma la vera tragedia per chi è stato fermato è stata vissuta nelle celle di detenzione. Almeno 3 morti, 3 dispersi ed altri 41 giovani torturati o sottoposti a trattamenti inumani, il tutto durante la detenzione: sono i numeri presentati dal sindaco di Chişinău, il liberale Dorin Chirtoacă, e presentati alla pubblica opinione il 22 aprile, poche ore prima che Mirek Topolanek, primo ministro della Repubblica Ceca, attuale presidente dell’Unione Europea, giungesse in visita in Moldavia per documentarsi su quanto accaduto nelle ultime settimane.
Riguardo le accuse, le autorità hanno ammesso un solo decesso in relazione alle proteste, che secondo la versione ufficiale non sarebbe però stato causato da maltrattamenti da parte delle forze di polizia, ma da intossicazione da gas durante gli scontri.
E’ importante sottolineare il fatto che nelle prime reazioni agli eventi, le autorità non hanno dato alcuna importanza al rispetto dei diritti umani fondamentali. Alcuni magistrati, ad esempio, sono stati convocati presso le stazioni di polizia al fine di sanzionare gli arrestati senza garantire loro la presenza di un avvocato.
I media anti-governativi, poi, hanno iniziato a riportare voci secondo le quali alcune ragazze arrestate sarebbero state oggetto di abusi sessuali durante la detenzione. Anche se questa accuse rimangono ancora voci, è difficile immaginare cosa sia veramente accaduto nei primi giorni dell’arresto poiché molte persone detenute sono state immediatamente trasferite lontano da Chişinău presso distretti di polizia di provincia per nasconderli dagli occhi dei media di opposizione, che stanno ancora cercando di appurare quale sia stata la loro sorte.
Le reazioni internazionali
Le reazioni internazionali sugli eventi verificatisi nella Moldavia, sono stati concordi nel condannare la violenza, ma, la sostanza dei fatti è stata trattata in modo piuttosto ambiguo. Durante la visita del 22 aprile il premier ceco Topolanek, ha invitato al dialogo politico e al rispetto della legge e dei diritti umani come elementi che possono portare stabilità nella società moldava. In precedenza Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue ha insistito nel condannare con chiarezza la violenza e nel sottolineare la necessità del dialogo politico.
Dall’altra parte la Russia ha immediatamente dichiarato il proprio sostegno alle autorità comuniste di Chişinău, riconoscendo i risultati elettorali ufficiali ed appoggiando la versione ufficiale di un tentativo di colpo di stato, ma con la scelta diplomatica di non menzionare la Romania come ispiratore delle proteste.
Nel frattempo la missione OSCE per il monitoraggio delle elezioni, ha dichiarato le elezioni regolari; ciononostante la baronessa Emma Nicholson, membro del Parlamento europeo e facente parte della stessa missione, ha messo in dubbio la correttezza della relazione finale dell’OSCE, ritenendone le conclusioni “ammorbidite” rispetto alla realtà dei fatti.
Anche gli Stati Uniti hanno reagito attraverso il Dipartimento di Stato, sottolineando l’inammissibilità della tortura e delle violazioni dei diritti umani, come della necessità del dialogo tra le parti coinvolte nello scontro.
In seguito alle pressioni dell'opinione pubblica e della comunità internazionale riguardo i maltrattamenti sulle persone arrestate, il presidente moldavo, Vladimir Voronin, ha dichiarato che, tutte le persone coinvolte negli atti di violenza saranno amnistiate, con eccezione di chi ha pendenze con la giustizia. In questo modo le autorità stanno cercando di limitare le critiche sulla repressione politica scatenata dopo il 7 aprile.
Al momento la maggioranza degli arrestati viene rilasciata, ma gli osservatori sottolineano che mentre molti giovani sono già liberi, vari esponenti della opposizione politica, come l’ex consigliere di Voronin, Sergio Mocanu, ed il milionario Gabi Stati, sono ancora detenuti ed accusati di colpo di stato.
La tensione viene intanto esasperata dai mass-media controllati del governo che lanciano accuse all’opposizione di aver tentato di organizzare un colpo di stato. Mentre i media non controllati dal governo hanno uno spazio limitato, la propaganda ufficiale continua a generare odio e divisioni invece di cercare di calmare gli spiriti. In generale, la propaganda ufficiale ha avuto successo nel creare una percezione di massa a favore della versione delle autorità, soprattutto nelle campagne, dove la stampa d’opposizione riesce ad arrivare solo con grande difficoltà.
Conta, riconta e prospettive politiche
Nel tentativo di acquistare credibilità sulla corretta gestione del processo elettorale sfociato poi nella violenza, Voronin ha richiesto di ricontare i voti. L’opposizione ha rifiutato di partecipare all’operazione, dichiarando che i brogli sarebbero stati perpetrati manipolando le liste elettorale, con l’aggiunta di 300mila nuovi elettori rispetto alle precedenti elezioni, tenute nel 2007.
Secondo l’opposizione, quindi, le liste dovrebbero essere ricontrollate per identificare chi ha votato più volte, provando così gli avvenuti brogli. La riconta dei voti, portata a termine il 15 aprile, ha confermato i risultati iniziali. L’opposizione, invece, sta procedendo ai controlli sulle liste, e ha dichiarato di aver trovato molte irregolarità.
In ogni modo, prendendo in considerazione solo il risultato della riconta dei voti e senza tener conto della richiesta dell'opposizione di controllare le liste elettorali, il 22 aprile la Corte Costituzionale ha convalidato il risultato elettorale, mettendo la parola fine alla battaglia legale, visto che ogni decisione della Corte è definitiva per legge.
Nonostante le procedure necessarie alla convalida delle elezioni siano terminate, la situazione politica rimane tutt’altro che stabile. Il Parlamento appena eletto si riunirà in prima sessione il prossimo 5 maggio e dopo aver eletto le cariche istituzionali dovrà affrontare immediatamente il problema più serio: eleggere il nuovo presidente della Repubblica.
Il Partito dei comunisti potrà contare nel nuovo parlamento su 60 seggi, uno in meno di quanti ne servano per eleggere la massima carica dello stato. La strategia del partito di maggioranza per ottenere il voto che manca è già oggetto di speculazioni e tensioni, anche perché un eventuale fallimento nel nominare un nuovo presidente porterebbe a nuove elezioni parlamentari.