Trovato a: http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/11496/1/167>
Gli analisti turchi esaminano i riflessi delle elezioni europee sul percorso di avvicinamento di Ankara all’Unione Europea. Più che la nuova composizione dell’europarlamento ciò che incide sui negoziati sembrano essere i ritardi del governo nell’attuare le riforme
La nuova formazione del Parlamento europeo, con la prevalenza delle rappresentanze politiche di destra e l’aumento dei deputati contrari all’ingresso della Turchia nell’Unione europea, si presenta come un ulteriore ostacolo nel processo di integrazione del paese candidato al gruppo dei 27.
La bassa affluenza alle urne e la conseguente parziale rappresentatività della popolazione europea sono state tra le considerazioni principali degli analisti politici turchi. Tra di loro diversi hanno sottolineato che la nuova composizione parlamentare avrà comunque un’incidenza relativa sui negoziati della Turchia con l’UE, mentre la vera incidenza continua ad averla il ritardo del governo nell’attuare le riforme.
“L’esito delle elezioni non avrà un effetto sul processo di adesione della Turchia nell’immediato, giacché un’eventuale votazione per approvare il suo ingresso nell’UE non si attende per almeno dieci, se non quindici, anni”, scrive Semih İdiz su Milliyet, “quindi la cosa non riguarderà né l’attuale parlamento e né i governi europei che adesso si trovano ad opporsi al suo ingresso”.
Si trova d’accordo con il giornalista anche prof. Cengiz Aktar, presidente del dipartimento di relazioni con l’UE dell’Università di Bahçeşehir, che però aggiunge: “Il Parlamento europeo non ha il potere di influire sul piano decisionale nei rapporti tra la Turchia e l’UE, ma dovrà approvare i fondi per il periodo tra il 2014 e il 2018. E naturalmente quei fondi riguarderanno il processo di adesione della Turchia”.
Aktar spiega anche che il Parlamento europeo uscente “nell’ultimo periodo aveva appena iniziato a conoscere la Turchia. Ora è importante vedere se continuerà questa tendenza o meno. [I parlamentari] erano intenzionati a capire bene la Turchia. I rapporti venivano redatti in quell’ottica. Non credo che questa tendenza subirà un cambiamento.”
Sempre İdiz aggiunge: “Il punto cruciale [delle elezioni] riguarda il successo ottenuto dalla destra estremista, che, se non tenuta sotto controllo, è un virus che potrebbe annientare nel tempo l’idea dell’ ‘Unione europea’. Stando così le cose, il risultato emerso dalle elezioni per il Parlamento europeo dovrebbe far riflettere non tanto la Turchia, bensì coloro che in Europa sono ancora legati all’idea di una ‘Europa unita’”.
In merito alle consultazioni parlamentari dell’UE, il premier Erdoğan ha criticato i partiti che hanno fatto dell’opposizione alla Turchia materia di campagna elettorale, affermando che “la distribuzione dei seggi nel Parlamento europeo non significa e non permette, come sostiene qualcuno, un cambiamento nelle politiche fondamentali dell’UE o nella direzione dei suoi obiettivi fondamentali”. Erdoğan ha anche aggiunto che “l’adesione della Turchia, non è una questione da sorvolare o da passare in secondo piano portando come motivazione i confini [geografici] o sollevando polemiche sull’allargamento. Noi proseguiamo l’iter verso l’UE sulla base delle azioni, e non delle parole”.
Le parole di Erdoğan si riferiscono principalmente alle posizioni del presidente francese Sarkozy e della cancelliera tedesca Merkel, entrambi contrari a una piena adesione della Turchia all’UE e favorevoli invece ad una “partnership privilegiata”. Egemen Bağış, negoziatore capo delle trattative con l’UE dall’inizio di quest’anno, nell’intervista rilasciata a “Le Monde” lo scorso 12 giugno ha detto che “La Turchia o diventerà un membro dell’UE a tutti gli effetti oppure non lo diventerà proprio”.
Bağış ha anche portato “come prove” del processo di riforme attuato dalla Turchia l’apertura del canale di trasmissione in lingua curda
TRT6, la proclamazione del primo maggio come festa nazionale, la restituzione al poeta Nâzım Hikmet della cittadinanza turca, l’istituzione di una comitato per le pari opportunità in parlamento, l’adesione al protocollo di Kyoto.
La Commissione europea, favorevole a queste novità non considerate tuttavia alla pari di vere riforme, continua a incitare il governo ad accelerare su questo piano per non perdere credibilità di fronte a una maggioranza di governi UE che ancora sostengono l’adesione della Turchia.
Dall’inizio delle trattative nel 2005, la Turchia ha aperto solo 10 capitoli negoziali su 35. Negli ultimi sei mesi in cui la presidenza di turno all’UE spettava alla Repubblica ceca, paese favorevole all’adesione della Turchia, il primo capitolo su “politiche sociali e occupazione” non si è potuto aprire per la mancata applicazione della riforma dei sindacati attesa da tre anni, che è stata di nuovo rimandata “a causa della crisi economica”. L’apertura del secondo capitolo sull’ “Imposizione fiscale” è invece attesa per l’ultimo giorno di giugno, dopo il quale alla Repubblica ceca subentrerà la Svezia, altro paese favorevole all’ingresso della Turchia nell’UE. Intanto il 25 giugno il premier Erdoğan si recherà per la seconda volta in un anno a Bruxelles in occasione del Forum Crans Montana (24-27 giugno) dove incontrerà il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso.
Il prossimo semestre sarà quindi un periodo di prova importante per la Turchia. Secondo quanto anticipato, il Rapporto annuale della Commissione europea, che verrà divulgato tra ottobre e novembre prossimi, dedicherà tra gli altri un ampio spazio alla libertà d’espressione e dei media che continua a subire censure e sanzioni, al tema della riforma della Costituzione e alla legge che regola i partiti politici, alla lotta contro la tortura, all’indipendenza della magistratura, alla questione curda.
La questione di Cipro invece, per la quale sono ancora congelati 8 capitoli negoziali, resta sempre uno dei punti nodali delle trattative e a dicembre scadrà anche il tempo concesso alla Turchia per rispettare l’applicazione del protocollo aggiuntivo all’accordo di associazione con la Comunità europea. Secondo tale protocollo la Turchia dovrebbe aprire i propri porti a Cipro sud. L’applicazione del protocollo non sembra ancora possibile, nonostante vi sia il rischio di bloccare il proprio processo negoziale in caso di inadempimento.
Il commissario per l’allargamento dell’UE Olli Rehn, secondo quanto riportato dall’NTVMSNBC, tenderebbe però ad escludere un blocco delle trattative perché “questo tipo di richieste finirebbero sicuramente per ostacolare il processo di risoluzione della questione di Cipro”. Rehn avrebbe anche aggiunto che “seppur il processo di risoluzione dovesse prolungarsi e la Turchia non si attenesse agli obblighi che gli derivano dal protocollo aggiuntivo, l’apertura del seminario spirituale o l’avvio dell’iter per il riconoscimento dello status ecumenico al Patriarca greco ortodosso, sarebbero comunque compensativi”.
Tra le riforme attese dalla Commissione europea risulta infatti anche quella sui diritti delle minoranze religiose presenti in Turchia. Sull’apertura del seminario religioso presso l’isola Heybeli, cui si era espresso anche
Barack Obama in forma di “auspicio” durante la sua visita in Turchia lo scorso aprile, il premier Erdoğan ha recentemente affermato che “si potrebbe aprire” a condizione che il governo greco riconosca ufficialmente i
mufti scelti dalle minoranze turche della Tracia occidentale.