Voglio il debito
20.07.2009
Da Pristina,
scrive V. Kasapolli
(Santinbon/flickr)
Paradossale braccio di ferro tra Pristina e Belgrado sul pagamento dei debiti contratti dal Kosovo in periodo jugoslavo. Ciascuno dei contendenti vuole pagare (ma non troppo) affermando così la propria sovranità
Quando, nel luglio del 2008, il Kosovo ha formalmente depositato la sua richiesta di ingresso nelle principali istituzioni finanziarie internazionali – Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale – a Pristina si parlò di prospettive rosee in merito a futuri fondi garantiti per gli investimenti, ma proprio nessuno comprese che, prima di ogni altra cosa, il Kosovo avrebbe dovuto iniziare a pagare i debiti ereditati dal suo passato jugoslavo.
I leader kosovari concordarono, pochi giorni dopo la firma degli accordi di ingresso nelle due istituzioni, di iniziare a pagare alla Banca Mondiale, a partire dal luglio 2009, i 231 milioni di debiti contratti per prestiti ottenuti negli anni '80.
Dall'inizio del mese, sulla questione, continuano ad arrivare in Kosovo notizie ed è stato annunciato che il debito originario era di 381 milioni di dollari, 150 dei quali però sono stati presi in carico dagli Stati Uniti.
Questi accordi, nonostante il peso finanziario che comportano, rappresentano un punto di svolta cruciale per Pristina da quando quest'ultima ha dichiarato l'indipendenza nel febbraio del 2008. Sino ad oggi, infatti, Belgrado ha sostenuto la linea di pagare direttamente i debiti contratti dal Kosovo in passato, in quanto quest'ultimo, dalla prospettiva delle autorità serbe, fa ancora parte della Serbia. Il pagamento da parte del Kosovo dei debiti contratti presso la Banca Mondiale apre quindi una prima incrinatura a questo approccio.
Un successo politico per il Kosovo indubbiamente. Ma non senza ombre. Il debito del più giovane stato d'Europa non ammonterebbe solo a 231 milioni di dollari. Le autorità serbe infatti stimano che il debito si attesti su 1.2 miliardi di dollari. Le autorità kosovare, da parte loro, contestano la cifra e sostengono che il debito si fermi ben al di sotto del miliardo di dollari. Ai prestiti elargiti in passato dalla Banca Mondiale vanno infatti aggiunti quelli del cosiddetto Club di Parigi – un gruppo informale di rappresentanti finanziari dei 19 paesi più ricchi al mondo – e dal Club di Londra, gruppo informale di creditori privati.
Ciò che è certo è che con questi prestiti si sono finanziati progetti in Kosovo durante gli anni '80, sottoscritti ai tempi dalla Banca popolare del Kosovo e dalla Federazione Jugoslava. La direzione delle banche pubbliche è stata poi centralizzata durante il periodo Milosevic, negli anni '90, ciòrende ora la Serbia l'unico soggetto eligibile per gestire i pagamenti, perché proprio a Belgrado si troverebbe tutta la documentazione necessaria.
La stessa Costituzione del Kosovo contiene alcune previsioni in merito ai debiti contratti in periodo jugoslavo e le riprende dal piano Ahtisaari (ex mediatore Onu per i negoziati sullo status del Kosovo). Il piano prevedeva che la questione avrebbe dovuto essere risolta da negoziati bilaterali tra le parti, in assenza di accordo, sarebbe stata demandata ad un arbitrato internazionale.
Nulla di questo però è accaduto, visto che la Serbia non ha sottoscritto il piano Ahtisaari, non vincolandosi in questo modo ai suoi contenuti. E Belgrado continua – nonostante l'eccezione del pagamento dei debiti alla Banca Mondiale - la sua battaglia per dimostrare che il Kosovo è ancora parte della Serbia, e quindi non ha ancora rinunciato a pagare, per conto del Kosovo, il suo debito estero.
In realtà i politici in Serbia sono divisi sulla questione. Il ministro delle Finanze Mladan Dinkic ha invitato il governo a interrompere il pagamento del debito kosovaro, a partire da quando è stata dichiarata l'indipendenza. “E' assurdo continuare a farlo”, ha affermato Dinkic all'indomani della dichiarazione di indipendenza, ritenendo non fosse giusto per i contribuenti serbi pagare per servizi realizzati in aree del Kosovo dove ora non vive nemmeno un serbo.
Il campo opposto è guidato dal primo ministro Mirko Cvetkovic e dal presidente Boris Tadic, i quali affermano che rinunciare al pagamento del debito kosovaro significhi rinunciare al Kosovo. Funzionari del ministero serbo per il Kosovo hanno in più occasioni profondamente criticato l'ipotesi di rinunciare al pagamento del debito kosovaro, mentre “noi (Serbia) stiamo lavorando per riguadagnare la nostra sovranità economica sul Kosovo”.
Una posizione più indipendente è quella dell'Istituto economico europeo, con sede a Bruxelles, che suggerisce la sospensione dei pagamenti sino a quando non verrà raggiunta una soluzione internazionale condivisa sullo status del Kosovo.
L'eredità jugoslava
Il Kosovo, nel 1991, anno di inizio del processo di dissoluzione della Jugoslavia, era parte della Serbia. In quegli anni, a seguito della decisione della commissione d'arbitrato Badinter, venne deciso che gli stati successori della Jugoslavia si sarebbero assunti una percentuale del debito estero pari al livello di loro partecipazione nell'economia della federazione.
La Serbia (assieme al Montenegro) si è dovuta assumere circa il 38% del debito, che iniziò a pagare nel 2002, anno di un accordo di rinegoziazione con la Banca Mondiale, il Club di Parigi e quello di Londra. Alcuni economisti kosovari affermano ora che il Kosovo dovrebbe prendersi carico solo del 4% di quella percentuale, ma che dovrebbe essere al tempo stesso titolare del 4% delle proprietà statali.
Altri, tra i quali Muhamet Mustafa, a capo dell'Istituto per la ricerca per lo sviluppo RIINVEST, affermano che le autorità kosovare dovrebbero rinunciare a debiti e patrimonio, per evitare le lunghe procedure che ne potrebbero nascere. Mustafa aggiunge però che Belgrado sta in qualche modo cercando di imporre al Kosovo il pagamento del debito ereditato, escludendolo invece dall'eredità dei valori patrimoniali.
“Se la Serbia desidera normalizzare le relazioni con il Kosovo occorre accordarsi sull'assunzione, da parte di entrambe le parti, del debito estero e ripagare il Kosovo per tutti i danni di guerra legati agli anni '90, tra i quali: l'espulsione del 70% dei dipendenti pubblici albano-kosovari, i danni subiti dal budget della provincia autonoma, il vero e proprio furto dei fondi contenuti dai sistemi pensionistici e nei risparmi, che valgono da soli centinaia di milioni di euro”, afferma Mustafa, che tra l'altro fu uno dei rappresentanti del Kosovo durante i negoziati di Vienna nel 2006 sulle questioni economiche correlate alla Serbia, discussioni che, alla fine, terminarono col confluire nel piano Ahtisaari.
Anche il movimento Vetvendosje ha chiesto al governo di non ripagare il debito estero sino a quando la Serbia non pagherà al Kosovo i danni di guerra e non restituirà i capitali kosovari sottratti nel periodo del conflitto.
Nel caso in cui il Kosovo decidesse di pagare i debiti contratti nel periodo jugoslavo sarà però necessaria la collaborazione serba, dato che Pristina non possiede la documentazione originale. L'Istituto GAP, think tank con sede a Pristina, ha invitato il governo ad assumersi quest'onere. “Il Kosovo dovrebbe, nel cammino verso la sostenibilità e credibilità, assumersi l'obbligo morale di ripagare i debiti che appartengono al Kosovo stesso”.
Il dibattito si sta sviluppando in un periodo in cui il Kosovo si prepara a chiedere alle istituzioni e ai finanziatori internazionali nuovi prestiti per sostenere investimenti in Kosovo. Shpend Ahmeti, a capo dell'Istituto GAP, ricorda che alla Conferenza dei donatori del luglio del 2008 il Kosovo avrebbe dovuto chiedere ai donatori di ripianare il suo debito estero, piuttosto che 1.2 miliardi di euro per promuovere nuovi progetti. “Il Kosovo si sarebbe liberato di un vecchio peso, avrebbe evitato l'inflazione, mentre la maggior parte dei soldi ottenuti dalla Conferenza dei donatori viene spesa in consulenze di esperti che vengono dai paesi Ue”.
Secondo le indicazioni arrivate dal Fondo Monetario Internazionale, dal 2008 il Kosovo ha accantonato circa 50 milioni di euro dal suo budget in modo da trovarsi preparato per iniziare a pagare il suo debito estero. Recentemente l'Fmi ha avvertito il governo in merito alla crescita delle uscite, argomentando che Pristina sta spendendo di più di quanto si possa permettere, adottando leggi senza copertura finanziaria certa. L'Fmi ha inoltre richiesto al governo di abbandonare i propri piani di incremento del settore pubblico prima delle elezioni locali che si terranno nel novembre di quest'anno.
La Serbia potrebbe ora mettere pressione al governo kosovaro, riallocando parte del debito che sta attualmente pagando al Club di Parigi e a quello di Londra. Una mossa del genere, però, significherebbe il riconoscimento da parte di Belgrado della soggettività giuridica internazionale del Kosovo, come già avvenuto nel caso del debito nei confronti della Banca Mondiale.
La Serbia, assieme alla Bosnia Erzegovina, è riuscita ad ottenere recentemente ingenti prestiti dalle maggiori istituzioni finanziarie, dimostrando di essere un “debitore responsabile e affidabile”. Ciò significa che se il Kosovo vuole divenire un interlocutore altrettanto affidabile – ed assumersi gli oneri del debito passato ed ottenere nuovi prestiti per finanziare i grossi progetti infrastrutturali quali nuove strade e centrali elettriche – dovrà riuscire a continuare ad accantonare ogni anno i suoi 50 milioni di euro.
E in futuro, quando si proclama vittoria per l'ingresso in istituzioni internazionali quali Fondo monetario Internazionale e Banca Mondiale, bisognerà avere il coraggio di informare i cittadini e i contribuenti anche sulle conseguenze che le responsabilità legate alla soggettività internazionale portano con se.