''Visti'' religiosamente
28.07.2009
scrive Rando Devole
(subjecttochange/flickr)
L'Albania lasciata fuori dalla liberalizzazione dei visti. Per ora. E sui media e Internet c'è chi afferma che la si discrimina perché molti dei suoi cittadini sono di religione musulmana. Un commento
La notizia dell’imminente liberalizzazione dei visti da parte dell’Unione europea per la Macedonia, il Montenegro e la Serbia, ha suscitato molte reazioni politiche e numerosi commenti in Albania. La liberalizzazione dei visti, solo per alcuni paesi balcanici, è stata interpretata principalmente sul piano politico, anche se l’interpretazione dell’opposizione, com’era prevedibile, non coincideva con quella della maggioranza. La lettura politica della decisione dell’Ue appariva corretta e piuttosto scontata; proprio per questo ha destato parecchio clamore la lettura “religiosa” del messaggio proveniente da Bruxelles.
La mancata inclusione dell’Albania nel gruppo dei paesi che potranno viaggiare presto senza visti nell’Ue è stata percepita da qualcuno come un'esclusione basata sul fattore religioso. Che tale lettura sia finita sui giornali, per non contare i siti Internet in lingua albanese, significa che non abbiamo a che fare solo con voci di strada senza nessun valore. Titoli come “Vengono esclusi dalla liberalizzazione di visti tre paesi mussulmani: Albania, Kosovo e Bosnia”, con sottotitoli che accennano apertamente ad un “razzismo” da parte dell’Europa cristiana, che avrebbe aperto le porte solo a tre paesi ortodossi dei Balcani, dimostrano che la valutazione basata sul fattore religioso, per quanto sia minoritaria, non va assolutamente ignorata.
A favore di questa tesi, oltre all’appartenenza religiosa dei paesi ammessi ed esclusi, sono riportatati i cosiddetti standard richiesti dall’Ue, come il livello di corruzione, i passaporti biometrici, i controlli al confine e così via. Tali standard, dicono i sostenitori, non sono stati raggiunti dai paesi che possono viaggiare tra poco liberamente nello spazio europeo; eppure il beneficio dei visti è arrivato comunque. L’Albania, menzionata da tutti come un buon esempio per il controllo delle frontiere, è rimasta fuori, sebbene abbia cominciato a produrre in massa i nuovi passaporti biometrici usciti dalla migliore tecnologia attuale. Ergo, il criterio deve essere un altro, ossia l’appartenenza religiosa, che ultimamente (vedi il caso Turchia) sta avendo qualche peso nella politica dell’allargamento dell’Ue.
La logica che tiene in piedi le interpretazioni dell’esclusione dell’Albania dal gruppo dei “senza visti”, non è convincente e non può nascondere il fatto che tutta l’analisi su cui è fondata si basa sui meccanismi del complottismo e del vittimismo. Che tale interpretazione proceda il suo cammino sul file teso della paranoia non esclude la coerenza interna di questi ragionamenti. D’altronde la trasformazione dell’Albania da un paese autarchico durante il totalitarismo al ghetto indotto di oggi, ha portato inevitabilmente all’ossessione collettiva dei visti. È comprensibile quindi, che lo stato di frustrazione in cui giacciono oggi gli albanesi, recintati dai visti europei, provochi delle allucinazioni nella fase dell’analisi della loro situazione.
I visti costituiscono tutt’ora un nervo scoperto per gli albanesi. È vero che la loro sensibilità deriva da una reale necessità di viaggiare liberi, ma è altrettanto vero che la questione “visti” è stata pompata sia dalle aspettative gonfiate dalle dichiarazioni europee, sia dall’ultima campagna elettorale, dove i visti erano “il punto” fondamentale. Le responsabilità della classe politica albanese per aver strumentalizzato i visti vanno di pari passo con le responsabilità dell’Unione europea, che ha fatto più o meno lo stesso, sebbene per altri motivi. Quest’ultima, con l’aggravante di non aver saputo chiarire bene che cosa intendesse per standard. Come si è ben notato in seguito, gli standard sono stati percepiti dall’opinione pubblica albanese come una questione meramente tecnica (passaporti biometrici di alta qualità), dimenticando la dimensione politica dei criteri di adesione.
È evidente che l’Unione europea non discrimina l’Albania basandosi sulle sue religioni; dirlo potrebbe sembrare superfluo, persino assurdo, ma a quanto pare è necessario. Mentre ai politici di Bruxelles spetta il compito di spiegare bene e senza affermazioni sibilline gli intenti dell’Europa, agli albanesi spetta verificare se il vittimismo porta qualche giovamento alla causa dell’integrazione. Non ci vuole molto per capire che la spiegazione della mancata liberalizzazione dei visti con motivi religiosi sia eufemisticamente riduttiva; per di più dannosa, non per la infondatezza della tesi stessa, quanto per la mentalità vittimistica che promuove intrinsecamente.
Il timore è che l’insuccesso di adesso, se così si può chiamare, non diventi un alibi per la classe politica e l’opinione pubblica albanese, che troverebbe conseguentemente nel “no” europeo la spiegazione di tutte le contraddizioni e le manchevolezze del Paese. E le conseguenze del rilassamento generale sarebbero facilmente immaginabili. In questo senso, l’ammissione delle lacune albanesi da parte del premier, Sali Berisha, (intervista a Deutsche Welle, 18/07/2009) appare molto positiva. Ovviamente, è importante che la questione dei visti esca dalla visione strumentale di tutte le parti.
Sarebbe preferibile che il concetto “Europa”, nel senso comune albanese, si sviluppasse come uno spazio di libertà e di valori democratici da costruire faticosamente e costantemente nel Paese, non come una meta geografica da raggiungere a tutti i costi. Gli standards, di qualsiasi tipo siano, vanno raggiunti per sé, non per l’Europa. In altre parole, un autoritratto critico, almeno per iniziare, sarebbe molto salutare per un domani all’interno dell’Ue. Per costruire una tale cultura però, c’è bisogno innanzitutto di un’Europa più generosa e meno ambigua; e comunque di un’Europa che lasci da parte l’approccio tecnicistico (anche nei confronti della classe dirigente albanese), per abbracciare la vera politica, mescolata possibilmente con un po’ di modestia, dato che anche le scelte politiche europee non sono sempre infallibili.
A chi interpreta le decisioni europee nei confronti dell’Albania come dettate da precetti religiosi, e dunque discriminanti, si potrebbe citare scherzosamente la battuta del comico Groucho Marx: “Non mi interessa far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me”; una battuta che si potrebbe parafrasare così per l’occasione: “Non vorremmo far parte di un’Europa che discrimina la gente per la sua religione”. Si raggiunge l’assurdo, una vera "contradictio in terminis", ma a quel punto non sarebbe più l’Europa di oggi, neanche quella che vogliamo domani.