Kossovo, va bene così…
21.08.2002
In piena crisi energetica una lettera da un Kossovo che tarda ad uscire dall’emergenza ed anzi, per molti versi, peggiora.
Pec-Peja, sabato 17 agosto 2002, ancora il generatore a fare da sottofondo, e in più anche i telefoni, cellulari e fissi, hanno smesso di funzionare o funzionano solo per poche ore. La popolazione sembra non accorgersene e si limita al mugugno da bar. Eppure è capace di protestare, anche violentemente, per l’arresto di alcuni presunti criminali UCK.
Mi sorgono allora spontanee alcune domande:
Dove sono finiti tutti i soldi che il mondo ha inviato da queste parti? Che cosa hanno fatto le moltissime organizzazioni internazionali che sono venute qua per “migliorare le cose”, poiché rispetto a due anni fa la situazione, per quanto riguarda i servizi, è nettamente peggiorata. E tutti i militari KFOR, la polizia internazionale e locale, i Carabinieri, che ruolo hanno in questa fase del post-conflitto? Quello di proteggere le quattro suore del patriarcato di Pec-Peja? O di controllare se gli internazionali hanno il libretto della macchina in regola, mentre il resto della popolazione kosovara “disoccupata” viaggia con Mercedes, BMW ed altre macchine di grossa cilindrata, rubate, liberamente?
E la polizia ai posti di blocco posti per le strade, non si accorge del contrabbando che passa sotto i loro occhi? In tutto il Kossovo è praticamente impossibile trovare qualche cosa d’originale: pezzi di ricambio per auto, scarpe, vestiti, cibo, radio e tv, tutte le grandi marche sono presenti, ma non una è originale, talmente falsi da sembrare veri. Vuoi una macchina da 50.000 euro a 5.000? Vuoi vedere una Pay TV senza pagare l’abbonamento? Vuoi dei documenti per andare in qualsiasi parte del mondo? Vuoi della droga? Vuoi un’arma o una donna da vendere? Non c’è problema, in Kossovo tutto è possibile, nel paese forse più militarizzato del mondo, tutto ciò che è illegale è cosa normale. E allora va bene così, evidentemente quello che mi disse un esperto militare già alcuni anni fa è vero: avere un’area instabile dove tutti i traffici (droga, armi, prostituzione siano consentiti, conviene a tutti, e il Kossovo in particolare è la porta d’accesso tra oriente e occidente dei traffici “clandestini”.
Sarà forse per questo che la popolazione non scende in piazza per protestare contro la disoccupazione, si dice sia all’80%, contro la mancanza di corrente elettrica, contro il caro vita, contro UNMIK e contro il proprio governo che in questi anni hanno dimostrato un’incapacità e un’incompetenza allarmanti. In qualsiasi parte del mondo, al di fuori di quei paesi dove esiste un regime, il governo sarebbe già saltato, qui, “i governi” UNMIK e Rugova, sono ancora in piedi.
Tutti disoccupati, ma tutti vestiti bene, con belle macchine, e con una bella abbronzatura, magari presa in una settimana di vacanza in Turchia o in Bulgaria e per i meno fortunati ad Ulcin in Motenegro dove con “soli” 20 euro al giorno si può villeggiare.
Però i dati forniti da UMIK parlano chiaro, il Kossovo è paese a rischio, il conflitto è ancora presente e l’emergenza è ancora alle porte, e i nostri giornali e telegiornali descrivono quest’area come zona pericolosa, dove i “nostri” soldati rischiano ogni giorno la vita. Peccato che fino ad ora quelli che ci hanno lasciato la pelle lo hanno fatto da soli senza l’aiuto né di serbi né d’albanesi, però, “giustamente” KFOR si preoccupa di fare le pattuglie, dito sul grilletto e occhiali neri, tra la gente seduta tranquillamente nei bar della città, giustificando il tutto a causa dei rari incidenti causati da regolamenti di conti tra bande o per un bar bruciato perché probabilmente il proprietario non aveva pagato il pizzo. Nelle nostre città gli incidenti tra bande sono molti di più, quindi forse KFOR sarebbe più utile da noi, anche se sarebbe un lavoro meno eroico e soprattutto meno remunerativo.
Ci si ritrova allora a dedicare la maggior parte della giornata a risolvere e combattere contro problemi tecnici e contro l’indifferenza e l’apatia della gente. Ed i toni duri nei confronti della Comunità Internazionale sono giustificati dall’incredulità nel vedere tanta soddisfazione e convinzione degli operatori internazionali nella bontà del loro operato. Ed intanto i serbi sorridono, anche se di un sorriso amaro. In tutta questa storia di contrabbandi, auto rubate, bar bruciati ecc. loro non c’entrano niente, ed hanno un alibi di ferro: sono rinchiusi inermi nelle loro enclaves e guardano il Kossovo da queste irreali sbarre. Sorridono e dicono: “quando comandavamo noi, la corrente elettrica non è mai mancata, neppure durante la guerra”.
Mauro Barisone, operatore volontario in Kossovo