In nessun luogo, da nessun dove
30.10.2009
scrive Risto Karajkov
Bekim Sejranović
“Nigdje, Niotkuda” di Bekim Sejranović, romanzo autobiografico sulla solitudine del crescere. Dall'infanzia in Bosnia, allo spostamento in Croazia, l’esilio in Norvegia e il tentativo fallito di tornare nella sua terra. Nostra intervista con l'autore, vincitore del premio “Meša Selimović”
Lo scorso settembre, a Tuzla, in Bosnia Erzegovina, si è tenuta la nona edizione dell’incontro letterario “Cum grano salis”. Il romanzo “Nigdje, Niotkuda” (In nessun luogo, da nessun dove), di Bekim Sejranović, ha vinto il premio “Meša Selimović” 2008 come miglior prosa di Serbia, Croazia, Bosnia Erzegovina e Montenegro.
“Nigdje, Niotkuda” è un racconto autobiografico sulla solitudine del crescere. Secondo alcune recensioni, il libro potrebbe essere visto sia come un romanzo breve del XX secolo, che come un “catalogo di tutti i suoi esilii”.
Il romanzo segue la vita del protagonista, dalla sua infanzia in Bosnia, allo spostamento in Croazia, l’esilio in Norvegia e il tentativo fallito di tornare nella sua terra.
Sejranović è nato a Brčko nel 1972. Ha trascorso gli anni dell’adolescenza e dell’università a Rijeka, in Croazia, Nel 1993 si è spostato a Oslo, dove ha frequentato un master in letteratura dei paesi slavo-meridionali. Lì ha lavorato come traduttore e come insegnante. Ha pubblicato e tradotto un’antologia di racconti brevi norvegesi intitolata “Veliki, pusti krajolik” (Vasto e deserto paesaggio). Ha pubblicato anche un libro di racconti brevi, “Fasung”. Al momento vive tra Hvar e Oslo.
La candidatura di Sejranović per il premio di quest’anno è stata presentata dal selezionatore per la Croazia, Miljenko Jergović. Jergović ha vinto il “Meša” nel 2007 per il romanzo “Ruta Tannenbaum“.
Osservatorio Balcani e Caucaso ha incontrato Bekim Sejranović per parlare del suo romanzo, della scrittura, dell’ispirazione, dell’esilio.
Com’è nato il tuo romanzo “Nigdje, Niotkuda”? Quanto tempo hai lavorato a questo libro? Cosa ti ha portato a scriverlo?
Il romanzo è una sorta di seguito del mio primo libro, una raccolta di storie brevi, “Fasung”, che può essere letto anche come un romanzo dalla struttura libera. “Nigdje, Niotkuda” è nato come un racconto più lungo, ma non riuscivo mai a finirlo.
Continuavano ad emergere nuovi episodi, uno dopo l’altro, così per quasi cinque anni. Ho trovato l’ispirazione nelle persone che ho incontrato in questi anni, nei luoghi in cui sono stato, nei libri che ho letto, nella musica che ho ascoltato. In altre parole, in tutto ciò che ho osservato.
Di cosa parla il tuo romanzo?
Per uno scrittore è la domanda più ostica. In uno dei romanzi di Charles Bukowski, viene posta la stessa domanda al suo alterego, Henry Chinaski. Chinaski risponde: “Di tutto”. Allora il ragazzo gli chiede: “Anche di mia suocera?”. E’ simile a ciò che sento io; credo che si debba sempre tentare di scrivere su tutto. Certo, è un vano proposito, però...
Ho letto alcune recensioni del libro. Qualcuno ha scritto che potrebbe essere visto come “una moderna storia di esuli”...
Si potrebbe definire così. I personaggi che si incontrano nel libro sono in esilio, erranti, sempre in giro. Ma il loro esilio non è solamente fisico. E’ soprattutto esistenziale. Puoi trascorrere una vita intera nella stessa strada e nello stesso paese, pur sentendoti esiliato. L’esilio è una condizione dell’animo umano e credo che tutti noi iniziamo a sentirci esiliati in questo mondo moderno, che lo vogliamo o no.
Dove cerchi il tuo senso di appartenenza...nella musica, nell’amore, nella scrittura?
Forse la risposta più appropriata sarebbe “nel mio girovagare senza meta”. Ho iniziato a viaggiare molto presto nella mia vita, all’inizio non per mia volontà, poi ho semplicemente continuato a farlo. Ed è assurdo, perché quando cercavo di fermarmi in un posto, realizzavo di non poterlo fare. Girovagare è diventato così la mia quotidianità, anche se a volte faticoso, e anche noioso. Dall’altra parte, la vita è semplice quando vai in giro. Cerchi un posto caldo e sicuro per dormire, del cibo, vuoi vedere cosa c’è dietro l’angolo. La vita in un unico posto può presto tramutarsi in una serie di banalità.
Cosa vuol dire per te casa?
Un luogo dove fermarsi per un po’.
Quando hai sentito per la prima volta l’esigenza di scrivere?
Nella mia adolescenza, credo. Suonavo in un gruppo punk, ci chiamavamo Paranoia, e io scrivevo i testi. Eravamo talmente pessimi che poteva anche sembrare qualcosa di bello.
Qual è il tuo prossimo progetto?
La bozza per il mio nuovo romanzo è ora nelle mani del mio editore, probabilmente sarà pubblicato il prossimo anno. Ho qualche idea per i nuovi libri. Aspetto che maturino, che facciano “pling” nella mia testa e poi mi metto a scrivere.