Autunno diplomatico
24.11.2009
scrive Azra Nuhefendić
(Foto Nico Cavallotto, Flickr)
Il fallimento degli incontri di Butmir sulla riforma di Dayton. La riunione del Consiglio di Implementazione della Pace decide il prolungamento del mandato dell'OHR, ma il futuro istituzionale della Bosnia Erzegovina appare più che mai incerto
Dai tempi degli Accordi di Dayton la Bosnia Erzegovina (BiH) non riceveva tanta attenzione diplomatica come negli ultimi due mesi. Quattordici anni dopo la firma dei trattati di pace, nella base militare di Butmir si è discusso di come far funzionare uno Stato che Nerzuk Čurak, docente universitario di Sarajevo, ha descritto come “diversamente abile”.
Gli incontri di Butmir si sono tenuti in due tornate, alla fine di ottobre e nella prima metà di novembre; diplomatici europei ed americani, insieme, hanno cercato di convincere i politici bosniaci della necessità di concordare dei cambiamenti (minimi) agli Accordi di Dayton, cambiamenti necessari per far funzionare lo Stato.
Il 18 novembre scorso, poi, si sono riuniti a Sarajevo i rappresentanti del Consiglio per l’Implementazione della Pace (PIC), organismo composto da 55 Stati e organizzazioni internazionali deputato a vigilare sull’applicazione degli Accordi di Pace in Bosnia Erzegovina.
Nella giornata di lunedì (23), infine, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon ha ricevuto il rapporto sulla situazione nel Paese redatto dell’Alto Rappresentante della comunità internazionale in BiH, Valentin Inzko.
Obiettivo dei dialoghi di Butmir era quello di modificare la costituzione della BiH (creata a Dayton) per tentare di rafforzare lo Stato centrale, ufficializzando tra l'altro il trasferimento delle competenze già disposte dalle entità a favore del governo centrale, ma non ancora inserite in costituzione, e armonizzando questo testo con le disposizioni della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo. Il tentativo più generale era quello di creare le condizioni che permettano la chiusura dell’Ufficio dell'Alto Rappresentante (OHR) e l'ingresso della BiH nell’Unione Europea e nella NATO.
Tutto inutile. I politici locali sono rimasti fermi, barricati sulle proprie convinzioni. I resoconti dei media riproponevano uno scenario già visto: i serbi non accettano niente, i bosniaco musulmani (bosgnacchi) pretendono troppo e i croati si lamentano per la loro posizione ineguale.
In questo momento, in particolare, i bosgnacchi insistono sul fatto che si cambi il cosiddetto voto delle entità che, secondo il presidente del partito SDA (a maggioranza bosgnacca) Sulejman Tihić, “rende lo Stato ostaggio della Republika Srpska”.
I serbo bosniaci non accettano nessun cambiamento, tranne quello di dividere la Federacija BiH (l'altra entità) in due, concedendone quindi generosamente una parte ai croato bosniaci. Ai serbi va bene come stanno le cose e, per confermarlo, hanno dichiarato il 21 novembre, data della firma degli Accordi di Dayton, festa nazionale.
Per i croato bosniaci, invece, non c'è niente di soddisfacente tranne la proposta di una propria (terza) entità.
Il direttore del settimanale di Sarajevo “Dani”, Senad Pećanin, ritiene che i principali colpevoli del fallimento di Butmir siano i partner europei e americani, perché le riforme della costituzione che hanno proposto non sono sostanziali, ma solo cosmetiche. Pećanin ricorda che in vari documenti, come una risoluzione del Congresso Americano, del Parlamento Europeo, del Consiglio d’Europa e nelle conclusioni della Commissione di Venezia, si ripete che il voto delle entità rappresenta l’ostacolo principale al funzionamento dello Stato.
Il giornalista del quotidiano “Oslobodjenje” Zija Dizdarević, invece, scrive che ai politici bosniaci non conviene sostenere i cambiamenti, perché uno Stato normale e funzionante potrebbe metterli in guai giudiziari per questioni di corruzione. Dizdarević fa anche un elenco, cominciando dal Primo ministro della Republika Srpska, Milorad Dodik, per continuare con Dragan Čović, politico croato bosniaco, e concludere con il capo del partito SDP (socialdemocratico) Zlatko Lagumdžija.
Dopo il fallimento di Butmir, la riunione del Consiglio per l’Implementazione della Pace del 18 novembre è stata anemica. I partecipanti non potevano far nulla più che constatare che in Bosnia Erzegovina non è cambiato niente. L’unica decisione importante assunta è che l’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR) rimarrà in BiH ancora il prossimo anno.
Questa è una brutta notizia per i serbo bosniaci, che vedono l’OHR come un “ostacolo per lo sviluppo della democrazia in BiH, per la società civile, e un organismo che impedisce l'ingresso della BiH nell’Unione Europea” (così è scritto nel rapporto inviato al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki- Moon).
Infatti, finché c’è l’OHR la BiH non può sperare di essere considerata uno Stato sovrano e indipendente. Chiudere l’OHR, però, non la renderà tale. Bisognerà fare le riforme costituzionali e affrontare i problemi ancora aperti, come richiede l’Unione Europea, prima che la domanda di candidatura della BiH venga presa in considerazione.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, lunedì, ha poi ricevuto il rapporto dell'Alto Rappresentante Valentin Inzko. Diversamente dal suo predecessore, Miroslav Lajčak, Inzko non risparmia le parole nei confronti di coloro che ritiene responsabili per la situazione in BiH. Denuncia la Republika Srpska perché “attacca in continuazione gli organi dello Stato, boicotta le autorità e le leggi, sfida l’autorità dell’Alto Rappresentante, insiste sulla retorica nazionalista e anti-Dayton”.
Inzko attacca anche il Primo ministro della Republika Srpska, Miroslav Dodik, per le sue “affermazioni piene di provocazioni sui crimini di guerra, sui giudici internazionali, sulla presunta illegalità della Bosnia, perché parla di referendum [per la secessione, ndr] e descrive le mie decisioni come illegittime, anti costituzionali e criminali”.
Ma per il blocco politico e la divisione della BiH “non è importante chi singolarmente è colpevole, ma come trovare la soluzione”, sostiene il professor Bruce Hitchner, dell'Università americana Taft, direttore del progetto “Accordi di Dayton”.
“A lungo termine lo status quo è inaccettabile. I vostri vicini andranno avanti, avranno la possibilità di usufruire di investimenti internazionali, di migliorare il tenore di vita, di avere nuove possibilità di lavoro. La strada verso l'integrazione europea è l'unica che possa garantire alla BiH stabilità e successo economico”, avverte l’ambasciatore americano in Bosnia Erzegovina, Charles English.
Dopo gli ennesimi sforzi diplomatici, tuttavia, la situazione in BiH è rimasta immutata. Come procedere?