Un anno di Pahor
26.11.2009
Da Capodistria,
scrive Stefano Lusa
Un fotomontaggio con protagonista il premier sloveno Borut Pahor
Un anno di centrosinistra al governo in Slovenia. Molte le aspettative deluse, anche perché imperversa la crisi economica. E i maligni affermano che la cosa migliore che il premier sia riuscito a fare è lustrare le scarpe ai giocatori della nazionale di calcio dopo la loro qualificazione ai mondiali
Sabato scorso il governo sloveno ha celebrato il suo primo anno di attività. Lo ha fatto, come al solito tra le polemiche all’interno della maggioranza e dei partiti che la compongono. Zares ha chiesto, infatti, un vertice di coalizione dopo la bocciatura di una legge sull’incompatibilità tra l’incarico di sindaco e quello di deputato. Era uno degli impegni – hanno precisato dal partito di Golobič e Franco Juri – che ci eravamo presi con l’accordo di coalizione. Il Desus, invece, ha praticamente dato il benservito a due dei suoi sette deputati. A quello che è oramai l’ex capogruppo Franc Žnidaršič e a Vili Rezman non sono state perdonate le polemiche fatte nascere al momento della nomina del nuovo ministro per le Autonomie locali Henrik Gjerkeš.
La vigilia del primo anno di governo Pahor, comunque, è stata allietata dall’insperata qualificazione della Slovenia ai mondiali di calcio, in programma il prossimo anno in Sud Africa. La Slovenia doveva vedersela nello spareggio decisivo con la Russia. A Mosca i russi l’avevano battuta per 2-1. Per qualificarsi gli sloveni dovevano vincere senza subire gol e così hanno fatto. A Maribor si sono imposti per 1-0. Il gol decisivo è stato segnato alla fine del primo tempo da Zlatko Dedić, l’ennesimo campioncino di origine bosniaca che fa la fortuna del calcio sloveno. Nato a Bihać, Zlatko è cresciuto a Capodistria e si è formato calcisticamente nelle giovanili del Parma ed oggi gioca in Germania.
Ancora una volta, com’era accaduto tra il 2000 ed il 2002, la frenesia per il calcio si è impossessata di tutto il paese ed i politici non hanno mancato di fare la loro parte, presentandosi in massa alle ultime partite della nazionale. Qualcuno s’è chiesto, tra i denti, dove fossero prima; ma comunque, come sempre, il premier Borut Pahor è riuscito a conquistare la scena. Alla fine della partita decisiva è sceso negli spogliatoi ed ha lustrato le scarpe ai giocatori. Lo aveva promesso dopo una delle ultime gare di qualificazione.
I maligni commentano che è stata la miglior cosa che abbia fatto quest’anno. Il suo governo, infatti, per molti non è che una cocente delusione. Del resto Pahor non ha avuto vita facile, considerato che non si era nemmeno insediato e già doveva fare i conti con la crisi economica mondiale che stava investendo la Slovenia.
I dati parlano chiaro: il prodotto interno lordo è calato del 7,3%, il debito pubblico è salito dal 22,5% del Pil al 34,2%, la paga media è passata da 981,5 euro a 929,3, i disoccupati da 63.000 sono aumentati a quasi 100.000, la produzione industriale è calata del 20% e le esportazioni del 22%.
Oggettivamente l’esecutivo poteva fare ben poco per arginare la crisi. Il governo di centrosinistra, emulando gli schemi già seguiti in altri paesi d’Europa, ha adottato tutta una serie di provvedimenti per cercare di frenare la disoccupazione, aumentare la competitività delle aziende e ridare ossigeno al mercato finanziario. Gli interventi, però, si sono dimostrati poco efficaci e tardivi. In compenso quest’anno si viaggerà con un deficit di bilancio da record: 2 miliardi di euro, ovvero il 5% del Pil.
L’economia slovena del resto è molto aperta e legata all’andamento dell’economia europea. A Lubiana quindi si spera soprattutto che l’economia tedesca cominci nuovamente a tirare, per poter ricominciare a marciare anche in Slovenia. In ogni modo ci vorranno ancora come minimo alcuni mesi.
Pahor, intanto, ha cercato di spostare le direttrici della politica economica slovena ad oriente. Ha firmato con la Russia l’accordo per la costruzione del gasdotto South stream, per poi recarsi a parlare con il leader libico Gheddafi. Per ora l’incontro si è rivelato fruttuoso visto che in cambio di una cavallo lipizzano ha ricevuto due cammelli.
In politica interna Pahor ha adottato un modo tutto suo di governare. Ha cercato di dialogare con l’opposizione ed ha annunciato che non ci sarebbero stati avvicendamenti di tipo politico. Nelle nomine, quindi, l’unico criterio sarebbe stato quello della competenza. Il premier ha messo in piedi un complicato meccanismo che alla fine si è rilevato fallimentare. Grosse imprese a partecipazione statale sono rimaste per mesi senza i nuovi dirigenti, mentre i vari organismi discutevano della persona più adatta da scegliere. I partner di coalizione poi, hanno cercato di mettere in luce gli errori e le presunte malversazioni dei funzionari, considerati legati al vecchio governo, che avrebbero voluto sostituire ed hanno, comunque, cercato di infilare i loro uomini nei posti chiave. L’opposizione invece sin da subito ha cominciato ad accusare l’esecutivo di tagliare teste con criteri esclusivamente politici.
Come se ciò non bastasse i partner di governo hanno litigato senza troppo ritegno tra loro, tanto che molti pensano che l’unico collante che tiene insieme la coalizione sia l’anti-janšismo, cioè l’opposizione al vecchio premier ed al suo governo di centrodestra. Del resto gli elettori, un anno fa più che votare per Pahor avevano scelto se continuare a far governare Janša o consegnare le redini del paese a qualcun'altro.
Ad ogni modo ciò che sicuramente ha caratterizzato maggiormente questo primo anno di governo Pahor è stata la polemica sull’ingresso della Croazia all’Unione europea. La Slovenia prima aveva imposto il blocco alla trattativa d’adesione e poi aveva accettato di dare luce verde in cambio di un accordo di arbitrato che avrebbe risolto il contenzioso confinario tra i due paesi.
Per ora il parlamento croato ha dato il suo avvallo al documento, mentre in Slovenia le cose si stanno complicando. Se in Croazia il governo ha trovato il consenso anche dell’opposizione, in Slovenia questa ipotesi appare più difficile. L’esecutivo, così, ha mandato l’accordo al vaglio della Corte costituzionale. Se i giudici non avranno nulla da eccepire dovrebbero entrare in gioco i cittadini. I partiti di coalizione, infatti, hanno deciso di indire un referendum consultivo sull'accordo di arbitrato. L’intento evidente è quello di giocare d’anticipo, cercando di evitare che ci possa essere una consultazione abrogativa promossa dall’opposizione. L’operazione, comunque, serve anche a Pahor, per scaricare la responsabilità di una decisione difficile sui cittadini.
L’essere riuscito teoricamente a trovare un modo per risolvere il contenzioso confinario con la Croazia, dopo 18 anni di polemiche, viene presentato oggi come una dei maggiori risultati di Pahor. Nessuno, però, pare tener conto che il prezzo pagato a livello di immagine internazionale è stato altissimo. Quello che fino allo scorso anno era un ordinato stato centroeuropeo, grazie a questa polemica è tornato ad essere, agli occhi dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, un riottoso paese balcanico.