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Stoccolma junction

05.11.2009    Da Capodistria, scrive Stefano Lusa

(cliff1066/flickr)
Nella capitale svedese Slovenia e Croazia firmano l'accordo d'arbitrato sulle questioni di confine che le vede contrapposte da anni. Un passo in avanti a cui si è arrivati grazie all'ambiguità del termine junction, ''contatto'' o ''collegamento''?
Slovenia e Croazia hanno firmato ieri a Stoccolma l’accordo d’arbitrato. L’intesa è stata raggiunta dopo una lunga trattativa che ha visto il coinvolgimento dell’Unione europea e a quanto pare anche degli Stati Uniti. Il documento dovrebbe portare alla soluzione del contenzioso confinario tra i due paesi, che si trascina oramai da 18 anni, cioè dal momento della proclamazione dell’indipendenza. Bisognava tracciare qualche chilometro di frontiera sul mare e definire alcuni tratti sulla terra ferma. Una faccenda che a prima vista sembra di poco conto, ma che in questi anni è servita ad accendere gli animi, a provocare notevoli tensioni tra Lubiana e Zagabria e ad incrinare l’immagine internazionale dei due paesi.

La Slovenia, nel dicembre scorso, aveva bloccato la trattativa di adesione della Croazia all’Unione europea. A suo dire, infatti, i documenti negoziali presentati da Zagabria avrebbero rischiato di pregiudicare la definizione della frontiera. Ne è seguito un duro contrasto che l’Unione europea ha cercato, suo malgrado, di risolvere.

Il principale nodo del contendere era quello dell’accesso della Slovenia alle acque internazionali. I diplomatici lo hanno dipanato con il solito artificio linguistico. Nella versione ufficiale del documento è stato usato il termine inglese junction. A questo punto ognuno l’ha interpretato alla sua maniera. Nella traduzione slovena si parla, così, di “contatto” con le acque internazionali, mentre in quella croata di “collegamento”. I due concetti sono tutt’altro che uguali. In ogni modo spetterà ai giudici trovare una via d’uscita.

La soluzione ricorda molto quella usata dalla comunità internazionale per dividere, a metà degli anni Cinquanta, il Territorio libero di Trieste, tra Italia e Jugoslavia. Per Belgrado il Memorandum di Londra stabiliva il confine vero e proprio, mentre per Roma tracciava soltanto una tutt’altro che definitiva “linea di demarcazione”.

Questa settimana entrambi i governi hanno cercato di spiegare alla propria opinione pubblica che avevano ottenuto quello che volevano. Il premier croato Jadranka Kosor lo ha fatto lunedì al Sabor, quando si è presentata per cercare di procurarsi luce verde per la firma dell’intesa. E’ riuscita a raccogliere praticamente solo i voti della sua maggioranza. Lo stesso è accaduto martedì al comitato esteri della Camera di stato slovena, quando il capo del governo Borut Pahor, ha cercato di spiegare che quello raggiunto era un buon accordo. Ha convinto esclusivamente i deputati dei partiti che sostengono il suo gabinetto, mentre gli altri hanno gridato al tradimento.

La saga confinaria tra i due paesi, però, non è ancora conclusa. Adesso Pahor e la Kosor dovranno far ratificare il documento. In Slovenia, secondo il governo, basterà la maggioranza semplice. L’opposizione contesta questa interpretazione e intanto annuncia il ricorso al referendum, mentre l’esecutivo ha già manifestato l’intenzione di inviare l’accordo al vaglio della Corte costituzionale. Poi ci sarà da ratificare l’ingresso della Croazia nell’Unione europea. Questa volta ci vorrà la maggioranza di due terzi, ma questo momento appare, comunque, ancora abbastanza lontano e poi arrivati a quel punto bisognerà vedere chi avrà il coraggio di dire no.

In Croazia la Kosor avrà bisogno subito di una maggioranza di 2/3. Si tratterà quindi di ottenere l’avvallo del principale partito d’opposizione, cioè, dei socialdemocratici, che per il momento si sono dimostrati tutt’altro che entusiasti. Alla fine, però, molti sono pronti a scommettere che il Sabor dirà di sì.

A complicare la vicenda intanto ci ha pensato anche la Chiesa. Da Zagabria i vescovi croati hanno tuonato contro l’accordo, quelli sloveni hanno subito risposto per le rime. Per criticare l’intesa sono anche scesi in campo eminenti intellettuali. In Croazia a guidare la fronda è Davorin Rudolf, l’esperto di diritto internazionale che fino a pochi mesi fa menava le danze nella trattativa con Lubiana e che prima del raggiungimento di quest’ultimo accordo aveva ricevuto il ben servito dal suo governo. In Slovenia, invece, non manca di farsi sentire un suo allievo, Marko Pavliha, che con argomentazioni opposte al suo maestro difende gli “interessi nazionali” sloveni. Come se ciò non bastasse anche alcuni grandi vecchi della politica e della cultura slovena come France Bučar e Boris Pahor non hanno mancato di parlare dell’ingiusto confine che sarebbe stato tracciato nel dopoguerra a danno della Slovenia. Vedremo quale peso avranno in caso di referendum e cosa farà Lubiana se i cittadini dovessero bocciare la soluzione appena raggiunta.

Ad ogni modo, Lubiana e Zagabria non sono arrivati mai tanto vicini alla conclusione della diatriba. L’unico accordo serio risale al 2001, con l’intesa tra l’allora premier sloveno Janez Drnovšek ed il suo omologo croato Ivica Račan. All’epoca la questione del contatto della Slovenia con le acque internazionali venne risolta disegnando un corridoio sino al mare sloveno.

Quel documento che fu accolto con sospetto da entrambe le parti, poi fu definitivamente accantonato da Zagabria. Račan non ebbe nemmeno il coraggio di portarlo in parlamento. Adesso, almeno da questo punto di vista, si è fatto un notevole passo avanti.

Se non ci saranno intoppi la commissione d’arbitrato dovrebbe cominciare ad operare al momento della firma dell’Accordo di associazione della Croazia all’Unione europea. A quel punto Zagabria sarà de facto anche se non de jure membro dell’Unione.

Con l’avvallo definitivo dell’arbitrato la vertenza confinaria tra i due paesi sarà risolta, visto che la decisione dei giudici sarà inappellabile e Lubiana e Zagabria non potranno fare altro che accettarla. Proprio questo è quello che fa paura sia in Slovenia, sia in Croazia.

L’incertezza che regna da entrambe le parti sarebbe, per alcuni, è il segno evidente che la soluzione trovata è equilibrata e che non avvantaggerebbe nessuno. Si tratterebbe - come hanno ripetuto in questi giorni Pahor e la Kosor - di una soluzione dove entrambi i paesi vincono. La Croazia entrerebbe nell’Unione europea, mentre la Slovenia risolverebbe la questione del confine.

Quello che appare evidente e che sia Pahor sia la Kosor su questo accordo si giocano la loro carriera politica. “Se l’accordo naufragherà – ha commentato l’ex diplomatico ed oggi deputato di Zares Franco Juri - ci saranno nuove tensioni ed un peggioramento dei rapporti tra i due paesi”. Juri poi ha aggiunto che un fallimento sarebbe una cattiva cosa per Slovenia e Croazia, per i Balcani occidentali e per l’Europa.

Proprio Juri è stato in parlamento la voce più critica nei confronti del blocco imposto da Lubiana al processo d’adesione della Croazia all’Unione europea. Questa sua criticità gli è costata l’ennesimo incarico importante nella politica estera slovena. Sarebbe dovuto andare a ricoprire il posto di presidente del Comitato esteri della Camera di stato. Una funzione questa, che nell’ordinamento sloveno corrisponde a quella di un mini ministro degli Esteri. Avrebbe, infatti, dovuto sostituire il suo compagno di partito, Ivo Vajgl che è stato eletto al Parlamento europeo. Difficilmente però, dopo queste sue prese di posizione, avrebbe ottenuto i voti necessari per essere eletto, così, alla fine ha deciso di non insistere più di tanto e l’incarico è andato ad una deputata socialdemocratica.
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