Blindati scomodi
14.12.2009
Da Capodistria,
scrive Stefano Lusa
foto di Mnemomaz/flickr
Era scoppiato alla vigilia delle elezioni del 2008. E aveva visto coinvolto l'ex premier sloveno Janez Janša. E' il caso “Patria” sul quale si continua ad indagare in Finlandia e Austria mentre in Slovenia la magistratura sembra recalcitrante ad approfondire la vicenda
Il caso “Patria” continua a far tremare la Slovenia. Nel settembre del 2008, alla vigilia delle elezioni politiche, la televisione pubblica finlandese aveva trasmesso un documentario in cui, in pratica, si accusava l’allora premier, nonché leader del partito democratico, Janez Janša, di aver intascato tangenti. La vicenda riguardava la fornitura all’esercito sloveno di 135 blindati di produzione finlandese.
Il partito democratico invitò gli autori a provare quelle affermazioni e gridò subito al complotto politico ordito dal centrosinistra sloveno in collaborazione con i “socialdemocratici” finlandesi della Tv pubblica. Da Helsinki precisarono che non sapevano nemmeno che in Slovenia ci fossero le elezioni, che non avevano intenzione di svelare le loro fonti e che a provare il tutto ci avrebbe pensato la magistratura.
Per chiarire la vicenda sarebbero dovuti bastare alcuni mesi. S’ipotizzava, infatti, che già in primavera, o al più tardi a settembre, la questione sarebbe approdata in giudizio. Dopo le elezioni Janša fece chiaramente intendere che, nel caso in cui gli addebiti nei suoi confronti non sarebbero stati provati, si sarebbe dovuti ritornare alle urne. Il suo partito, infatti, aveva perso per un pugno di voti e quelle accuse avrebbero a suo avviso falsato l’esito della consultazione.
Significativamente dopo il voto la questione passò in secondo piano. Proprio per questo i democratici non si stancano mai di ribadire che dietro a tutto ci sarebbe stato uno sporco gioco politico.
La magistratura finlandese intanto continuava ad indagare in due direzioni. La prima riguardava una storia di spionaggio industriale. Gli inquirenti, infatti, avevano trovato nel computer di uno dei dirigenti di Patria l’offerta che aveva fatto la Sistemska tehnika, l’industria slovena che cercava di accaparrarsi l’affare. Il secondo filone delle indagini, invece, riguardava le accuse di corruzione; qui le cose parevano più complesse.
Proprio mentre si stava insediando il nuovo governo di centrosinistra i primi blindati cominciarono a venir consegnati all’esercito sloveno. Le bellicose dichiarazioni fatte in campagna elettorale, da alcuni esponenti della nuova maggioranza, sulla necessità di cancellare quella fornitura ben presto vennero mitigate dalle pesanti penali che si sarebbero dovute pagare se si fosse voluto rescindere il contratto.
Gli sloveni, comunque, non mancarono di contestare la qualità delle attrezzature consegnate e iniziarono a discutere della possibilità di tagliare drasticamente il numero di blindati da acquistare. Lubiana, però, non poteva fare a meno di quegli armamenti. Aveva infatti promesso alla NATO che il suo esercito avrebbe messo in organico un battaglione corazzato.
Se in Finlandia e in Austria le indagini proseguivano, in Slovenia le cose parevano procedere a rilento. Gli inquirenti non sembravano troppo interessati a mettere il naso nella vicenda, tanto che alcuni dei reati contestati sono giù caduti in prescrizione, fermando, così, le indagini che coinvolgevano l’ex ministro della Difesa ed attuale ministro dell’Ambiente, Karl Erjavec.
La lentezza slovena ha irritato Helsinki, tanto che nel giugno scorso gli esponenti finlandesi hanno addirittura criticato l’andamento delle indagini in Slovenia durante un vertice dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, della quale Lubiana vorrebbe entrare a far parte. Ci hanno messo otto mesi - hanno detto - per fare le prime perquisizioni, mentre in Austria non sono bastati che pochi giorni.
Al centro delle polemiche si è ben presto trovata anche la procuratrice generale della repubblica, Barbara Brezigar. Secondo le indiscrezioni uscite sui giornali dai tabulati telefonici acquisiti dalla polizia risulterebbe che avrebbe intrattenuto rapporti con uno degli indagati. La polizia si è presto premurata di precisare che su di lei non c’è nessun sospetto. Nel frattempo, però, si è assistito ad un vivace scontro tra la magistratura ed i ministeri degli Interni e della Giustizia, diretti da due uomini di punta della democrazia liberale.
La Brezigar - ex ministro della Giustizia, candidata nelle liste del partito democratico alle politiche del 2002 e candidata alle presidenziali del 2002, con il sostegno dei democratici e di Nuova Slovenia - era stata nominata alla carica di procuratrice generale della repubblica dal precedente governo di centrodestra. Non è un mistero che all’attuale compagine governativa non dispiacerebbe sbarazzarsi di lei.
I giudici sloveni, intanto, hanno deciso di aprire un’inchiesta nei confronti dell’autore del documentario trasmesso dalla televisione finlandese. A Magnus Berglund viene contestato di aver diffamato Janša. L’avvio della procedura nei suoi confronti è stata accolta da una nuova ondata di polemiche sia in Slovenia sia all’estero.
A metà ottobre Janša è stato sentito a Lubiana dagli inquirenti finlandesi. Nell’occasione gli è stato mostrato un documento elaborato per la società finlandese in cui si dice: “Il problema resta come arrivare al capo del governo (…) e al suo partito, ovvero come soddisfare le esigenze del premier e del suo partito”. Per l’ex-capo del governo, quindi, la polizia non avrebbe avuto in mano nessuna prova a suo carico.
Alla fine del mese scorso, però, il Delo – il quotidiano più autorevole in Slovenia - ha pubblicato un articolo in cui si spiegava che i soldi non sarebbero finiti nelle tasche dell’ex premier, ma sarebbero andati al suo partito per la campagna elettorale del 2008. A muovere queste accuse non era una grande penna del quotidiano, ma un giovane giornalista che da tempo seguiva la vicenda dei blindati. A suo dire il denaro, arrivato dalla Finlandia, sarebbe servito per pubblicare due free press spariti dalla circolazione subito dopo le elezioni dello scorso anno. A coordinare i due giornali, che avevano preso di mira la coalizione di centrosinistra, ci sarebbe stato addirittura Janša in persona.
Le informazioni pubblicate sarebbero arrivate direttamente da Kaj Erik Björkvist, l’inquirente finlandese che sta indagando sulla vicenda. I democratici hanno immediatamente negato tutto ed una secca smentita è giunta anche dallo stesso Björkvist.
L’ispettore ha precisato che il giornalista del Delo si era presentato da lui per fornire alcune informazioni e per consegnare dei documenti che riguardavano i free press. Björkvist poi ha aggiunto di non aver mai pronunciato le parole che gli sono state attribuite dal giornale. Il Delo dal canto suo ha riconfermato la sua versione dei fatti e ha precisato che quelle informazioni sono arrivate proprio da Björkvist e sono state ottenute durante un colloquio “off the record”.